giovedì 22/06/2023 • 06:00
È legittima la clausola penale inserita nella lettera di assunzione a carico del lavoratore che non prende servizio alla data concordata, quand'anche ad esso sia stato accluso il patto di prova. A stabilirlo è il Tribunale di Forlì con la sentenza del 21 marzo 2023.
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Un lavoratore sottoscriveva il 27 luglio 2020 una lettera con cui veniva assunto come dirigente, con funzioni di Direttore Amministrativo, avente efficacia differita al successivo 15 ottobre poiché all'atto della firma il medesimo era in forza presso un'altra società.
Alla lettera veniva accluso un patto di prova della durata di 6 mesi e al suo interno veniva prevista una penale a carico del lavoratore, pari all'indennità sostitutiva del preavviso prevista dal CCNL di settore in caso di licenziamento, qualora lo stesso, per motivi a lui imputabili, non avesse preso effettivo servizio alla data concordata.
Il 15 settembre 2020 il lavoratore comunicava alla società la volontà di proseguire il rapporto di lavoro con il suo originario datore di lavoro. A seguito di detta comunicazione la società gli chiedeva il pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso così come convenuto nella lettera di assunzione.
Non ricevendo riscontro, la società proponeva dinnanzi al Tribunale territorialmente competente ricorso per decreto ingiuntivo che veniva accolto. Il lavoratore proponeva così opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso.
Il lavoratore, non contestando i propri originari intendimenti, ne contestava la pretesa, segnalando che la previsione contrattuale del patto di prova la rendeva incongrua, poiché stabiliva un periodo entro cui le parti avrebbero potuto recedere liberamente, senza indennizzo di sorta.
Il lavoratore sottolineava la buona fede della sua condotta, avendo comunicato la sua intenzione con congruo preavviso, senza sfruttare la previsione del periodo di prova e, quindi, senza cagionar alcun danno.
La lettera sottoscritta non costituiva, a suo dire, un impegno preliminare bensì un contratto di lavoro definitivo e, pertanto, la comunicazione era da considerarsi alla stregua di una lettera di recesso, identica a quella che avrebbe inviato in caso di dimissioni durante il periodo di prova.
In via cautelativa, il lavoratore, qualora fosse stato riconosciuto il danno in capo alla società e la validità della clausola penale contrattualmente stabilita, chiedeva che quest'ultima venisse ridotta equitativamente a zero, tenuto conto della sua condotta e della sussistenza del patto di prova. Ad ogni modo segnalava che la medesima doveva essere quantificata tenendo in riferimento solo la retribuzione netta e non quella lorda, non avendo appunto mai preso servizio.
Si costituiva la società, chiedendo il rigetto dell'opposizione avversaria, poiché infondata in fatto e in diritto, e la conseguente conferma del decreto ingiuntivo opposto con condanna del lavoratore al pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso.
La società, tra le altre, lamentava il danno subito per la sua mancata presa in servizio che l'aveva costretta a rivolgersi ad un consulente per lo svolgimento delle attività amministrative e ad affidarsi ad una società di ricerca e selezione del personale per l'individuazione del nuovo Direttore Amministrativo.
La decisione del Tribunale
Il Tribunale ritiene, innanzitutto, pacifica la natura contrattuale della lettera sottoscritta il 24 luglio 2020, riferendosi le parti ad essa in termini di contratto di assunzione.
Inoltre, a suo parere, le parti non hanno inteso solo differire al 15 ottobre 2020 la presa di servizio, fermo restando l'immediata efficacia del restante regolamento contrattuale, ma anche lo stesso momento costitutivo del rapporto di lavoro. Tant'è che nella lettera si legge: “Sua assunzione alle nostre dipendenze alle seguenti condizioni: …decorrenza: 15.10.2020”. Pertanto, la comunicazione del lavoratore non può assumere il valore di recesso in corso di rapporto.
Il Tribunale considera poi la “clausola di rispetto della data concordata di presa servizio” inserita nel contratto di assunzione del 24 luglio 2020 valida ed efficacia ai sensi dell'art. 1322 c.c. Se, infatti, è vero che la disciplina del contratto di lavoro segue un regime speciale ai sensi del libro V del codice civile, è altrettanto vero che in questa materia rimane vigente il principio di autonomia contrattuale delle parti così come stabilito dal predetto articolo.
Nel caso di specie, la clausola che stabilisce il pagamento di una penale e la risoluzione del contratto qualora il lavoratore non prenda servizio alla data stabilita, è chiara espressione della relativa autonomia contrattuale, tanto da essere dallo stesso specificatamente sottoscritta.
Risulta, a parere del Tribunale, infondata anche l'eccezione di incompatibilità della penale con la previsione del patto di prova. Le due previsioni hanno oggetto e finalità differenti e, nel caso di specie, sono volte a tutelare due differenti momenti del rapporto di lavoro.
Infatti, la previsione dell'applicazione della penale e la clausola risolutiva espressa nel contratto afferivano ad un momento precedente all'effettiva presa di servizio, tutelando l'interesse della società all'assunzione del lavoratore ed al risarcimento forfettario del danno derivante da un eventuale inadempimento dell'impegno di prendere servizio alla data concordata. Il patto di prova, invece, doveva trovare attuazione al momento della presa in servizio del lavoratore, rispondendo all'interesse di verificare la reciproca convenienza del rapporto, accertando il datore di lavoro le capacità del lavoratore e quest'ultimo verificando l'entità della prestazione richiestagli e le condizioni di svolgimento del rapporto.
In sostanza, perché si possa invocare la libera recedibilità prevista per il periodo di prova, è necessario che il rapporto si sia costituito e che le parti abbiano consentito e svolto l'esperimento che ne costituisce l'oggetto. Nel caso di specie, il lavoratore non aveva ancora effettivamente preso servizio presso la società e, pertanto, la penale è dovuta dal medesimo che ammette il suo ripensamento comunicato alla società.
Inoltre, il Tribunale considera irrilevante la tempestività della comunicazione di ripensamento, essendo stata invocata dalla parte resasi inadempiente e, in quanto tale, tenuta a risarcire il danno ad essa imputabile.
Sul punto, il Tribunale ricorda che è costante in giurisprudenza l'affermazione secondo cui “la clausola penale è intesa a rafforzare il vincolo contrattuale e a stabilire preventivamente la prestazione cui è tenuto uno dei contraenti qualora si renda inadempiente, con l'effetto di limitare a tale prestazione il risarcimento, indipendentemente dal danno effettivo” (cfr. Cass. 23198/2021), salvo “la risarcibilità di un danno ulteriore qualora ciò sia convenuto” (cfr. Cass. 1720/1963). In altri termini, la funzione della clausola è di permettere la monetizzazione di tale pregiudizio “indipendentemente dalla prova della concreta esistenza del danno effettivamente sofferto” (cfr. Cass. 4664/1976), fermo restando che la clausola stessa “costituisce solo una liquidazione anticipata del danno destinata a rimanere assorbita, nel caso di prova di ulteriori e maggiori danni, nella liquidazione complessiva di questi” (cfr. Cass. 2016/12956).
Il Tribunale osserva, altresì, che le parti hanno inteso parametrare l'importo dovuto a titolo di penale alla misura dell'indennità sostitutiva del preavviso prevista dal CCNL di settore in caso di licenziamento. E non avendo il rapporto trovato attuazione per mancata costituzione, è chiaro che la penale vada necessariamente rapportata alla retribuzione dovuta contrattualmente, considerando corretto il calcolo offerto dalla società.
Il credito, a parere del Tribunale, è certo, liquido ed esigibile e nel suo importo non suscettibile di riduzione.
In questo contesto, il Tribunale sottolinea che ai fini dell'esercizio di riduzione della penale, il giudice non deve valutare l'interesse del creditore con esclusivo riguardo al momento della stipulazione della clausola, ma anche con riguardo al momento in cui la prestazione è stata tardivamente eseguita o è rimasta definitivamente ineseguita. Ciò in quanto anche nella fase attuativa del rapporto trovano applicazione i principi di solidarietà, correttezza e buona fede (cfr. Cass. 11908/2020).
La misura della penale, pattuita con riferimento al parametro rappresentato alla retribuzione lorda, non risulta eccessiva al momento della pattuizione né appare eccessiva a considerare l'interesse del creditore alla data dell'adempimento. La società ha, infatti, dimostrato di aver sostenuto determinati costi per far fronte all'impatto organizzativo determinato da 8 mesi di scopertura in un ruolo strategico quale quello del Direttore Amministrativo. Importo questo comprensivo del compenso pagato alla società cui era stata affidata la ricerca della figura professionale e del compenso del consulente, prima che venisse individuato il sostituto.
In considerazione di tutto quanto sopra esposto, il Tribunale rigetta l'opposizione e conferma il decreto ingiuntivo opposto, dichiarandolo esecutivo e condannando il lavoratore anche al pagamento delle spese di lite.
Fonte: Trib. Forlì 21 marzo 2023
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