A seguito della riforma Cartabia, l'organo disciplinare non può più, in caso di sentenza penale irrevocabile di patteggiamento, ritenere accertato il fatto costituente l'illecito penale per il quale è stata comminata la condanna, neppure quando tale fatto è il medesimo contestato in sede di apertura del procedimento disciplinare, bensì dovrà procedere ad un autonomo accertamento dei fatti contestati.
A confermalo è il CNDCEC rispondendo a una richiesta di chiarimenti sulle conseguenze dell'ultima riforma della giustizia presentata dall'Ordine di Lecce attraverso il canale Pronto Ordini.
Come noto, le novità introdotte dalla riforma Cartabia sul tema, contenute all'art. 25 D.Lgs. 150/2022, sono volte a ridurre, fino a neutralizzare, gli effetti extra-penali della sentenza di patteggiamento: infatti, mentre nel sistema previgente, l'inefficacia si estendeva ai “soli giudizi civili ed amministrativi”, ora si estende anche a quelli disciplinari e ricomprende espressamente anche quelli tributari e contabili. Ne deriva quindi che la sentenza di patteggiamento è equiparabile ad una pronuncia di condanna esclusivamente nell'ambito penalistico sostanziale e processuale, mentre perde tale qualità al di fuori di esso. In tale contesto, l'organo di disciplina potrà, peraltro, ricavare elementi istruttori dagli atti del processo celebrato dal giudice penale analogamente a quanto avviene nei casi di procedimenti penali caratterizzati dalla pronuncia di sentenze di condanna non irrevocabili successivamente annullate solo per intervento, nelle more del processo, della scadenza di termini di prescrizione del reato.
Nel parere espresso, il CNDCEC ritiene, inoltre, plausibile l'interpretazione secondo la quale l'art. 25 in commento, non è, pur essendo contenuto nel codice di procedura penale, norma penale di miglior favore bensì norma attinente gli effetti non penali di sentenze penali. Ne deriva che esso non ha - secondo questa interpretazione - efficacia retroattiva, né, di conseguenza, si applica retroattivamente; i provvedimenti disciplinari adottati prima dell'entrata in vigore della disposizione in questione, e che non ne hanno (potuto) tenere(uto) conto, non meritano quindi di essere revocati né annullati in autotutela. Tuttavia, stante la novità della norma, il Consiglio raccomanda comunque estrema cautela.
Le nuove disposizioni hanno effetti anche con riguardo agli aggravi d'istruttoria: il procedimento disciplinare va concluso entro 18 mesi - salvo espressa proroga che deve essere disposta dall'organo di disciplina per esigenze istruttorie, fino a 30 mesi - dalla notifica dell'apertura del procedimento stesso; si tratta di termini che secondo la più recente giurisprudenza hanno natura perentoria.
Le novità in parola non impattano invece sulle altre sentenze penali irrevocabili di condanna diverse da quelle pronunciate ex art. 444, comma 2, c.p.p. per le quali continua a trovare applicazione l'immutato art. 653, comma 1 bis, c.p.p. secondo il quale “la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso”.
Fonte: PO CNDCEC 9 giugno 2023 n. 56