lunedì 08/05/2023 • 06:00
L’Agenzia delle dogane ha l’onere di provare che il prodotto importato ha un’origine diversa da quella dichiarata, non essendo sufficiente richiamarsi a un’indagine internazionale o a un “avviso agli importatori” della Commissione europea.
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Illegittime le contestazioni sull'origine dei prodotti tessili importati dal Bangladesh
È illegittima la contestazione dell'origine dei prodotti tessili importati dal Bangladesh, quando l'operatore disponga di una valida prova dell'origine. A stabilirlo sono la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Genova, con la sentenza 253/2023, e la Corte di primo grado di La Spezia, con la sentenza 44/2023, le quali hanno chiarito che l'Agenzia delle dogane ha l'onere di provare concretamente la propria pretesa, non potendo richiamarsi a un generico avviso agli importatori della Commissione europea, in cui sono espressi “dubbi” sulla veridicità delle attestazioni di origine rilasciate dalle autorità del Bangladesh.
Tali dubbi (peraltro ormai superati da un nuovo Avviso agli importatori del 2022) non sono sufficienti a determinare la revisione doganale, in presenza di una valida attestazione dell'origine, rilasciata in fattura dal fornitore, attraverso il proprio codice REX.
La contestazione dell'Agenzia delle dogane sulle importazioni dal Bangladesh
Negli ultimi anni, le attestazioni di origine rilasciate dalle Autorità del Bangladesh e le fatture emesse dai fornitori sono state oggetto di numerose contestazioni. L'Autorità doganale italiana ha, infatti, notificato a numerose società importatrici diversi avvisi di rettifica, contestando l'origine dei beni tessili prodotti in Bangladesh.
Nei casi esaminati dalle sentenze in commento, l'Agenzia delle dogane aveva sollevato alcuni dubbi sulla validità della prova dell'origine delle merci provenienti dal Bangladesh. Tali dubbi si fondavano su un “avviso agli importatori” 2008/C 41/06 del 15 febbraio 2008, con cui la Commissione europea informava gli operatori unionali dell'esistenza di “fondati sospetti”, in merito all'origine dei prodotti tessili classificati nei capitoli 61 e 62 del Sistema Armonizzato.
L'istituzione europea ipotizzava che tali prodotti non avessero subito una lavorazione sufficiente a conferire l'“origine doganale Bangladesh”. Stando, infatti, a quanto riportato dalla nota agli importatori del 2008, durante una missione di cooperazione unionale, effettuata con la collaborazione delle autorità locali, sarebbe emerso che molteplici attestazioni di origine “Form A” erano da considerare “falsi o rilasciati sulla base di informazioni fraudolente o fuorvianti”.
Tuttavia, va specificato che nell'avviso non era stabilito che tutti i certificati di origine emessi in Bangladesh fossero falsi, ma ci si limitava a esortare gli importatori unionali a prestare “attenzione”, al fine di adottare opportune misure di prevenzione dei rischi di contestazione, svolgendo un'attenta selezione dei fornitori e inserendo opportune clausole contrattuali.
Nel caso di specie, dopo aver richiesto conferma dell'autenticità e della regolarità delle fatture e dei certificati di origine alle autorità del Bangladesh, l'Agenzia delle dogane, non avendo ricevuto un tempestivo riscontro, aveva escluso l'applicazione dell'agevolazione daziaria prevista per i Paesi in via di sviluppo (c.d. Spg), che permette di importare senza dazi doganali, pretendendo invece il pagamento di un dazio pari al 12% del valore della merce.
Il superamento dei “dubbi” sull'origine Bangladesh da parte della Commissione UE
Come rilevato dalle sentenze in commento, il sospetto verso i tessuti importati dal Bangladesh è stato superato dall'avviso agli importatori 2022/C 166/06 del 20 aprile 2022, con cui la stessa Commissione europea ha specificato che “i ragionevoli dubbi” su cui si fondava il precedente avviso del 2008 “non sono più suffragati da alcun elemento di prova che dimostri il persistere dei rischi sottostanti”.
Alla luce di questo nuovo avviso della Commissione Ue, diverse Corti di merito hanno dichiarato illegittimi gli avvisi di rettifica sull'origine dei prodotti tessili importati dal Bangladesh, in quanto tali beni non possono più considerarsi di origine “sospetta” (CGT I di La Spezia, 24 novembre 2022, n. 366).
Il sistema delle preferenze generalizzate (Spg)
Il Bangladesh è uno dei Paesi in via di sviluppo economico, destinatari di agevolazioni unilaterali riconosciute dall'Unione europea all'interno del Sistema delle preferenze generalizzate. Il c.d. Spg è uno strumento, adottato in deroga al principio Wto della “nazione più favorita” nel quadro della c.d. enabling clause, che consiste in esenzioni o riduzioni tariffarie per i beni importati da Stati in via di sviluppo economico.
Il sistema Spg prevede un'esenzione totale o parziale dei dazi doganali e delle relative aliquote stabilite in via generale, per i Paesi terzi, dalla TARIC (Tariffa doganale comune dell'Unione Europea). Per fruire di tali riduzioni, i prodotti importati devono rispettare i presupposti sostanziali previsti dall'art. 64, par. 3, Reg. UE 952/2013 (prodotti interamente ottenuti o lavorazioni sufficienti nel Paese beneficiario) ed essere accompagnati da una prova documentale dell'origine preferenziale (certificato di origine o dichiarazione su fattura).
Dal 2021, in ambito Spg è stato superato il meccanismo del certificato di origine preferenziale rilasciato delle autorità doganali del Paese di esportazione, per evolvere verso un sistema di autocertificazione dell'origine preferenziale da parte dell'esportatore registrato al sistema Rex (sistema esportatori registrati). Gli operatori appartenenti ai Paesi beneficiari Spg, preventivamente autorizzati dalla Dogana, possono autocertificare l'origine preferenziale dei prodotti direttamente in fattura, indicando il proprio codice Rex.
La vicenda esaminata dalle Corti tributarie di Genova e La Spezia
Con le sentenze in esame, le Corti di Giustizia tributaria di Genova e La Spezia hanno riconosciuto che, in presenza di una valida prova dell'origine preferenziale, spetta all' Agenzia delle dogane deve fornire elementi di prova idonei a superare l'origine dichiarata.
In particolare, nei casi esaminati, gli esportatori erano regolarmente iscritti al sistema Rex, e avevano autocertificato l'origine preferenziale dei beni esportati direttamente in fattura.
Nonostante tale attestazione fosse assolutamente regolare, le Autorità doganali italiane, basandosi sull'”avviso agli importatori” del 2008, avevano alle autorità bengalesi di confermare la veridicità della documentazione presentata dagli importatori, ma queste non avevano fornito tempestiva risposta.
L'assenza di riscontro da parte delle autorità estere, nell'ambito di un'attività di cooperazione internazionale ed un generico avviso della Commissione europea non sono elementi sufficienti per rappresentare una prova di una diversa origine doganale del prodotto.
Nel dirimere la questione, la Corte di Genova ha fatto riferimento ad un orientamento della Corte di Cassazione, secondo il quale “è illegittimo l'accertamento doganale fondato esclusivamente su generiche ricostruzioni, quando le informazioni contenute in tali documenti non possano essere inequivocabilmente riferite alle operazioni contestate, ossia quando gli stessi, come nel caso in esame, non facciano “alcun preciso riferimento alle merci oggetto delle riprese fiscali” (Cass. n. 5931, 28 febbraio 2019).
Anche la Corte di La Spezia, ribadendo l'importanza dell'attività di controllo, anche postuma, svolta dalle Autorità doganali, ha specificato che “spetta all'Amministrazione finanziaria, nel quadro dei principi generali che governano l'onere della prova, dimostrare l'esistenza dei fatti costitutivi della maggior pretesa tributaria”, così come previsto anche dalla nuova formulazione dell'art. 7, comma 5 bis, d.lgs. 546 1992, a seguito della riforma di cui alla legge 130/2022.
Fonte: CGT I di Genova n. 253/2023
CGT I di La Spezia n. 44/2023
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