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venerdì 05/05/2023 • 06:00

Fisco Dalla Corte di Giustizia

Rettifica della detrazione IVA esclusa per i beni dismessi

La rettifica della detrazione dell’IVA non deve essere operata per i beni ceduti come rifiuto in regime di imponibilità o che siano oggetto di distruzione o smaltimento, purché debitamente provata o giustificata e i beni abbiano perso qualsiasi utilità nell’ambito dell’attività economica del soggetto passivo.

di Marco Peirolo - Dottore commercialista e componente della Commissione IVA e altre imposte indirette CNDCEC

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  • Tempo di lettura 6 min.
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La Corte di giustizia UE, con la sentenza resa nella causa C-127/22 del 4 maggio 2023, è intervenuta in merito all'ambito applicativo delle disposizioni che disciplinano non già le modalità di rettifica della detrazione, ma l'insorgenza del relativo obbligo, stabilendo, in particolare, se il riversamento all'Erario dell'IVA detratta sia dovuto per i beni ceduti come rifiuti, oppure distrutti o smaltiti.

I fatti di causa

Nel periodo compreso tra il 2014 e il 2017, una società di diritto bulgaro ha dismesso diversi beni, quali impianti, attrezzature o apparecchi considerati inadatti all'uso o alla vendita per varie ragioni, in particolare l'usura, la difettosità oppure il carattere obsoleto o inadeguato.

Tali dismissioni sono state effettuate nel rispetto della normativa nazionale applicabile e, in concreto, le stesse sono consistite nella cancellazione dal bilancio della società dei beni di cui trattasi, che in taluni casi sono stati venduti come rifiuti ad imprese terze e regolarmente assoggettati ad imposta e, in altri, distrutti o smaltiti.

A seguito della dismissione, la società ha rettificato la detrazione dell'IVA operata in sede di acquisto, ma nel 2019 ha chiesto alle Autorità fiscali il rimborso dell'imposta riversata all'Erario nel presupposto che l'obbligo di rettifica previsto dalla normativa interna fosse incompatibile con l'art. 185, par. 2, della Direttiva n. 2006/112/CE, che esclude la rettifica della detrazione in caso di distruzione, perdita o furto debitamente provati o giustificati.

Il giudice del rinvio si è interrogato, in primo luogo, sull'eventuale incidenza del fatto che, nel caso di specie, una parte dei beni dismessi sia stata venduta come rifiuti nell'ambito di operazioni imponibili non rientranti nell'attività economica abituale della società. In secondo luogo, si è chiesto se la dismissione implichi che siano mutati gli elementi presi in considerazione per determinare l'importo della detrazione, ai sensi dell'art. 185, par. 1, della Direttiva n. 2006/112/CE, qualora i beni di cui trattasi siano stati, in seguito, distrutti o eliminati, con esclusione di qualsiasi impiego nell'ambito di operazioni esenti o non rientranti nell'ambito di applicazione dell'IVA. In terzo luogo, prevedendo che la dismissione possa costituire una “perdita”, ai sensi dell'art. 185, par. 2, della stessa Direttiva n. 2006/112/CE, il giudice nazionale si è chiesto se l'elemento essenziale sia, in tale ipotesi, che il bene sia stato oggettivamente distrutto o se sia anche richiesto che ciò risulti da eventi indipendenti dalla volontà del soggetto passivo e che quest'ultimo non avrebbe potuto né prevedere né impedire.

Beni ceduti come rifiuti

Ad avviso della Corte, lo scarto di un bene, che secondo il soggetto passivo è divenuto inutilizzabile nell'ambito della sua attività economica abituale, seguito dalla vendita di tale bene in quanto rifiuto, regolarmente assoggettata a IVA, non comporta che siano mutati gli elementi presi in considerazione per determinare l'importo della detrazione, ai sensi dell'art. 185, par. 1, della Direttiva n. 2006/112/CE, con la conseguenza che la rettifica dell'imposta detratta non è dovuta.

Tale disposizione stabilisce che la rettifica deve essere operata, in particolare, quando, successivamente alla dichiarazione IVA, sono mutati gli elementi presi in considerazione per determinare l'importo della detrazione.

Nel caso di specie, i beni di cui trattasi sono stati venduti dal soggetto passivo nell'ambito di operazioni imponibili, risultando pertanto soddisfatta la condizione che consente l'applicazione e il mantenimento del diritto alla detrazione, in conformità all'orientamento della giurisprudenza comunitaria che richiede, a tal fine, l'utilizzo dei beni nell'ambito di un'attività economica soggetta a IVA (causa C-249/19, Ryanair).

A questo riguardo, è irrilevante la circostanza che la vendita dei rifiuti non rientri nell'attività economica abituale del soggetto passivo o che il valore dei beni di cui trattasi sia inferiore rispetto al valore iniziale, per il fatto che essi sono venduti come rifiuti, o che, per lo stesso motivo, la loro natura iniziale sia stata modificata, con un risultato quindi coerente a quanto recentemente precisato dall'Agenzia delle Entrate con la risposta n. 25/2023.

Beni oggetto di distruzione o di smaltimento

La Corte ha, inoltre, affermato che lo scarto di un bene, che secondo il soggetto passivo è divenuto inutilizzabile nell'ambito della sua attività economica abituale, seguito dalla sua distruzione volontaria, comporta che siano mutati gli elementi presi in considerazione per determinare l'importo della detrazione. Tuttavia, siccome la distruzione, indipendentemente dal suo carattere volontario, rientra nell'eccezione contemplata dall'art. 185, par. 2, della Direttiva n. 2006/112/CE, non è previsto l'obbligo di rettifica, purché la distruzione sia debitamente provata o giustificata e il bene abbia oggettivamente perso qualsiasi utilità nell'ambito dell'attività economica del soggetto passivo.

Ai fini in esame, hanno aggiunto i giudici comunitari, lo smaltimento debitamente provato di un bene è equiparato alla sua distruzione a condizione che comporti concretamente la sua sparizione irreversibile.

A fondamento di queste conclusioni, la Corte ha osservato che le ipotesi di distruzione, perdita o furto di cui all'art. 185, par. 2, della Direttiva n. 2006/112/CE corrispondono a casi di perdita economica subìta, fermo restando che il verificarsi di tali casi deve essere debitamente dimostrato o giustificato.

Nel caso di specie, poiché la distruzione dei beni di cui trattasi è derivata da un intervento del soggetto passivo, si deve ritenere che si tratti di una “distruzione” e non, quindi, di una “perdita”.

Non è richiesto che la distruzione di un bene debba essere totalmente indipendente dalla volontà del soggetto passivo, non potendosi infatti escludere che, in talune ipotesi, la distruzione presupponga un intervento volontario di quest'ultimo, come nell'ipotesi di distruzione del bene divenuto inadatto al suo utilizzo nell'ambito dell'attività economica abituale del soggetto passivo.

Resta inteso che, per escludere la rettifica della detrazione, la distruzione deve essere debitamente dimostrata o giustificata in ragione della perdita oggettiva di utilità del bene nell'ambito dell'attività economica abituale dell'operatore.

Imperatività del divieto di rettifica della detrazione

Infine, la Corte ha stabilito che l'art. 185, par. 1, della Direttiva n. 2006/112/CE esclude la possibilità, da parte degli Stati membri, di prevedere l'obbligo di rettificare la detrazione dell'IVA nelle situazioni sopra esposte, in cui i beni oggetto di dimissione siano stati ceduti come rifiuti oppure distrutti/smaltiti.

Al ricorrere delle condizioni in precedenza esposte, la normativa nazionale che, come quella bulgara, prevede l'obbligo di riversare all'Erario l'imposta detratta in sede di acquisto dei beni successivamente dismessi, si pone in contrasto con l'ordinamento comunitario.

Fonte: CGUE 4 maggio 2023 (C-127/22)

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