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martedì 02/05/2023 • 06:00

Fisco DALLE SEZIONI UNITE

Se il curatore è inerte, il fallito può impugnare l’atto impositivo

Riconosciuta la legittimazione processuale del contribuente dichiarato fallito, occorrendo, a tal fine, la sola inerzia “pura e semplice” del curatore. Ma se manca l'inerzia, il difetto di legittimazione è assoluto e può essere rilevato anche d'ufficio.

a cura di

redazione Memento

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  • Tempo di lettura 3 min.
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In caso di rapporto d'imposta i cui presupposti si siano formati prima della dichiarazione di fallimento, il contribuente dichiarato fallito a cui sia stato notificato l'atto impositivo lo può impugnare, ex art. 43 L. fall., a condizione che il curatore si sia astenuto dall'impugnazione e che, cioè, quest'ultimo abbia assunto un comportamento oggettivo di pura e semplice inerzia, indipendentemente dalla consapevolezza e volontà che l'abbiano determinato. L'insussistenza di uno stato di inerzia del curatore, come definito, comporta il difetto della capacità processuale del fallito in ordine all'impugnazione dell'atto impositivo e va conseguentemente rilevato, anche d'ufficio, dal giudice in ogni stato e grado del processo. 

I due principi sono stati espressi dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 11287 del 28 aprile 2023, intervenuta per fornire l'indirizzo comune da seguire, a fronte dei molteplici e difformi orientamenti della giurisprudenza in materia.

Due le questioni rimesse al massimo consesso della Suprema Corte: il presupposto della legittimazione straordinaria del contribuente insolvente (se rilevi la mera inerzia del curatore intesa come omesso ricorso alla tutela giurisdizionale, ovvero se occorra accertare se l'inerzia sia o meno frutto di una valutazione ponderata da parte degli organi della procedura concorsuale) e gli effetti di tale soluzione sulla natura (relativa o assoluta) dell'eccezione di difetto di legittimazione e sulle difese, al riguardo, del contribuente.

Relativamente alla prima questione, l'interpretazione fornita dalle Sezioni Unite supera ogni distinzione venutasi a creare nel panorama giurisprudenziale con riguardo al tipo di inerzia del curatore: ai fini della legittimazione del contribuente fallito occorre la “pura e semplice” inerzia e non, dunque, l'inerzia consapevole o qualificata o vestita che dir si voglia. Come chiarito dai giudici, tale soluzione evita di creare “un disequilibrio eccessivo in tutti quei casi in cui l'inerzia del curatore non si giustifica tanto con un convincimento di effettiva e vagliata infondatezza, in fatto o diritto, della contestazione della pretesa tributaria, quanto in una prognosi economica del tutto contingente di sua certa o verosimile incapienza (tenuto conto dei privilegi di legge de cui è assistita) in sede di riparto”.

Tuttavia, se non ricorre l'inerzia del curatore, così intesa, scatta il difetto della capacità processuale del fallito, in ordine all'impugnazione dell'atto impositivo, che andrà rilevato, anche d'ufficio dal giudice, in ogni stato e grado del processo. Ciò significa che si tratta di un difetto di legittimazione assoluto da poter e dover essere rilevato d'ufficio dal giudice ogniqualvolta emerga dagli atti di causa l'interesse della curatela per il rapporto dedotto in lite.

Al riguardo, le Sezioni Unite chiariscono che “il solo fatto che il curatore si sia attivato in sede giurisdizionale in relazione al medesimo rapporto patrimoniale dedotto in giudizio dal fallito - sia nel medesimo processo da quest'ultimo intentato, sia in altro separato processo di cui si abbia contezza - denota l'interesse del medesimo per la lite e, con ciò, l'apprensione del rapporto stesso al concorso; il che integra appunto, con il difetto di inerzia e dismissione, il presupposto della regola generale di cui all'articolo 43 l.fall., in base alla quale per questo genere di rapporti “sta in giudizio il curatore” e non altri”.

Fonte: Cass. SS.UU. 28 aprile 2023 n. 11287

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