X

Homepage

  • Fisco
  • Lavoro
  • Contabilità
  • Impresa
  • Finanziamenti
  • Mondo Digitale
  • Speciali
  • Info dagli ordini
  • Podcast
  • Video
  • Rassegna stampa
  • Archivio ultime edizioni
  • Il mio archivio

Scopri i nostri servizi esclusivi

Registrati alla Newsletter

Iscriviti al canale WhatsApp

Segui il canale Spotify

  • Fisco
  • Lavoro
  • Contabilità
  • Impresa
  • Finanziamenti
  • Mondo Digitale
  • Speciali
Altro
  • Fisco
  • Lavoro
  • Contabilità
  • Impresa
  • Finanziamenti
  • Mondo Digitale
  • Speciali

venerdì 28/04/2023 • 06:00

Lavoro Dal Tribunale di Roma

La violazione della policy aziendale legittima il licenziamento

Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 2589 del 14 marzo 2023, ha dichiarato legittimo il licenziamento per giusta causa intimato ad un dipendente per aver tenuto una condotta contraria alla policy aziendale contenuta nel Codice etico e nel Codice di comportamento aziendali.

di Elena Cannone - Avvocato

+ -
  • Tempo di lettura 1 min.
  • Ascolta la news 5:03

  • caricamento..

Il caso trae origine dal procedimento disciplinare avviato da una società nei confronti di un proprio dipendente per aver scoperto che aveva intrattenuto una relazione sentimentale con una collega facente parte del suo gruppo di lavoro, tramite il sistema whistleblowing e l’acquisizione di conversazioni con la stessa intercorse via Whatsapp. Ciò in violazione della policy aziendale contenuta nel Codice di comportamento e nel Codice etico.

A fronte degli addebiti mossi, il lavoratore rendeva le proprie giustificazioni per iscritto che la società non accoglieva procedendo con il suo licenziamento per giusta causa.

Il lavoratore impugnava così giudizialmente il provvedimento espulsivo, eccependo la sua nullità, l’insussistenza del fatto contestato nonché la sproporzione della sanzione rispetto all’entità dell’infrazione commessa e, per l’effetto, chiedendo:

  • in via principale, di essere reintegrato nel posto di lavoro, con condanna della società al pagamento di un’indennità risarcitoria nella misura massima prevista per legge, commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR ed al versamento dei contributi;
  • in via subordinata, che venisse dichiarata l’estinzione del rapporto di lavoro, con condanna della società al pagamento di una indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata sulla base dell’ultima retribuzione utile ai fini del TFR nonché dell’indennità sostitutiva preavviso.

A fronte delle doglianze mosse dal lavoratore, la società, costituitasi in giudizio, deduceva che al codice disciplinare era stata data adeguata pubblicità conformemente a quanto previsto dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori con conseguente piena legittimità del procedimento disciplinare azionato nei suoi confronti; il licenziamento era stato intimato a causa della gravità della condotta tenuta; le conversazioni tra lo stesso e la collega, prodotte e riportate nella lettera di contestazione, non erano in contrasto con la normativa in materia di protezione dei dati personali; non vi era stato alcun controllo o ingerenza nella sua vita privata, essendo state oltretutto le conversazioni fornite dalla sua collega.

La decisione del Tribunale di Roma

  • Pubblicità del codice disciplinare

Il Tribunale di Roma, investito della causa, preliminarmente osserva che ai sensi dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori “le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano”.

Orbene, l’affissione del codice disciplinare è una forma di pubblicità condizionante il legittimo esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro il cui adempimento deve essere dal medesimo provato. Detta modalità, che non ammette equipollenti, ha la funzione di assicurare la conoscibilità legale della normativa disciplinare. In sostanza, “come il lavoratore non può invocare la ignoranza delle norme disciplinari regolarmente affisse, così il datore di lavoro, ove sia mancata la regolare affissione delle stesse norme, non può utilmente sostenere che il lavoratore ne fosse altrimenti a conoscenza”.

Ciò detto, il Tribunale ritiene priva di pregio l’eccezione formulata dal lavoratore circa la mancata affissione del codice disciplinare nei luoghi di lavoro, essendo stato provato in giudizio che vi è stata data idonea pubblicità, mediante la sua pubblicazione nei locali aziendali e sul sito internet della società (unitamente a tutta la documentazione e all’estratto del CCNL) senza dimenticare che lui stesso ne aveva preso visione all’atto dell’assunzione.

  • Utilizzo in giudizio delle conversazioni a mezzo “Whatsapp”

Il Tribunale prende poi posizione sulla doglianza del lavoratore circa l’inutilizzabilità delle conversazioni a mezzo “WhatsApp” intrattenute con la collega per violazione del principio di riservatezza della corrispondenza privata ex art. 15 della Cost e della normativa in materia di protezione dei dati personali.

Sul punto, il Tribunale non ravvede alcuna violazione, prevalendo, per giurisprudenza costante, l’esercizio di diritto di difesa sulle esigenze di riservatezza, purché i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro conseguimento (cfr. Cass. 19531/2021; Cass. 33809/2021).

Secondo il Tribunale, la società non ha acquisito le informazioni private tra i due dipendenti in maniera arbitraria o in esercizio del potere di controllo vietato dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, trattandosi, peraltro, di conversazioni prodottele direttamente dalla collega del lavoratore.

In ogni caso, a parere del Tribunale, le riproduzioni informatiche delle conversazioni di messaggistica WhatsApp costituiscono “riproduzioni meccaniche ai sensi dell’articolo 2712 c.c. idonee a provare i fatti rappresentati, salvo il disconoscimento puntuale e circoscritto da parte del soggetto contro cui sono prodotte”. Disconoscimento che si deve concretizzare “nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra la realtà fattuale e la realtà riprodotta” e non, come nel caso di specie, in una mera contestazione generica del contenuto delle conversazioni oggetto dell’addebito.

In questo contesto, a nulla poi rileva per il Tribunale l’eccezione sollevata dal lavoratore circa l’inutilizzabilità di tali messaggi poiché oggetto di copia forense operata da tecnico di parte. A sostegno della sua posizione, il Tribunale richiama la giurisprudenza secondo la quale “l’acquisizione di dati informatici, mediante la cosiddetta copia forense, è una modalità conforme alla legge, che mira a proteggere, nell’interesse di tutte le parti, l’integrità e affidabilità del dato così acquisito” (cfr. Cass. 1822/2022).

  • Legittimità del licenziamento

Il Tribunale, affrontate le succitate eccezioni preliminari, passa a verificare nel merito la legittimità del licenziamento intimato al lavoratore, partendo proprio dall’art. 2119 c.c. Articolo, secondo il quale “ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto (…) senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. (…)”. Pertanto, per valutare la legittimità del licenziamento disciplinare occorre, innanzitutto, verificare la sussistenza dell’addebito mosso nei confronti del dipendente.

Nel caso di specie, il Codice di comportamento aziendale sancisce il divieto di relazioni tra i dipendenti addetti alla medesima unità. Divieto questo, rispondente all’esigenza di garantire l’imparzialità e la trasparenza delle scelte lavorative adottate dai dipendenti, nonché la serenità dell’ambiente lavorativo.

A ciò aggiungasi che, ai sensi del Codice etico, ciascun destinatario (ivi incluso ciascun dipendente) è tenuto ad “evitare tutte le situazioni e tutte le attività in cui si possa manifestare un conflitto di interesse con gli interessi della Società o che possano interferire con la propria capacità di assumere, in modo imparziale, decisioni nel migliore interesse della Società e nel pieno rispetto (…) di tutte le direttive e procedure aziendali”.

È indubbio per il Tribunale che il lavoratore abbia violato il divieto di relazioni tra dipendenti alla medesima unità, essendo pacifico che entrambi facevano parte del medesimo gruppo di lavoro.

Accertata così la sussistenza del fatto addebitato, il Tribunale si sofferma sull’art. 2106 c.c. che impone al giudice non solo detto accertamento ma anche di valutare se il fatto sia talmente grave da giustificare la sanzione in concreto comminata dal datore di lavoro, tenendo anche conto dell’elemento intenzionale del lavoratore.

Nel caso di specie, il Tribunale ritiene l’addebito lesivo del Codice di comportamento e del Codice etico aziendali nonché, in più in generale, dei doveri di correttezza e lealtà che devono sottendere un normale rapporto di lavoro.

Infatti, la diligenza, richiesta dall’art. 2105 c.c. nell’espletamento della prestazione lavorativa, ricomprende anche l’obbligo di tenere un comportamento conforme alle disposizioni organizzative e ai protocolli di comportamento imposti al datore di lavoro, a protezione degli interessi aziendali.

“Dai canoni generali di buona fede sorgono obblighi aggiuntivi di protezione della controparte contrattuale, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio dei propri interessi. Pertanto, sul lavoratore incombe l’obbligo di comunicare al datore di lavoro qualsiasi situazione di potenziale conflitto che possa compromettere gli interessi aziendali”.

Proprio sulla scorta di questi principi, il Tribunale osserva che il lavoratore ha anteposto volontariamente il suo interesse personale all’avanzamento di carriera rispetto agli interessi aziendali, celando una situazione di potenziale conflitto di interesse in violazione dell’obbligo e compromettendo la serenità nei luoghi di lavoro con i componenti del suo gruppo di lavoro. Come se non bastasse il lavoratore, in quanto profilo senior, era nella posizione di esercitare pressioni sulla collega che rivestiva un profilo junior.

Le pressioni esercitate sulla collega al fine di indurla a tacere anche lo stato di gravidanza e ad abbandonare il posto di lavoro assumono carattere di gravità tale da pregiudicare il vincolo fiduciario di cui all’art. 2105 c.c. Basti pensare che, ai sensi dell’art. 2087 c.c., il datore di lavoro ha l’obbligo di vigilare sulla sicurezza e sulla salute psicofisica dei dipendenti, assumendo anche responsabilità per le condotte abusive tenute nel contesto lavorativo.

Ad avviso del Tribunale, la condotta ascrivibile al lavoratore risulta dal punto di vista oggettivo e soggettivo connotata da una gravità tale da non poter essere punita con una sanzione conservativa.

Ciascuna sanzione deve essere applicata, valutando in concreto non solo la gravità della condotta e l'entità delle mancanze ascritte al lavoratore, ma anche e specialmente “le circostanze che le accompagnano”. In altri termini, la singola condotta deve essere valutata anche nel contesto in cui è stata posta in essere, mutuando da esso il concreto e specifico disvalore.

In considerazione di tutto sopra esposto, il licenziamento di cui è causa risulta proporzionale rispetto al fatto addebitato al lavoratore ai sensi del CCNL di settore, con conseguente rigetto del ricorso presentato e sua condanna al pagamento delle spese legali.

Fonte: Trib. Roma 14 marzo 2023 n. 2589

Contenuto riservato agli abbonati.
Vuoi consultarlo integralmente? Abbonati o contatta il tuo agente di fiducia.
Se invece sei già abbonato, effettua il login.
Quotidianopiù è anche su WhatsApp! Clicca qui per iscriverti gratis e seguire tutta l'informazione real time, i video e i podcast sul tuo smartphone.

© Copyright - Tutti i diritti riservati - Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A.

Registrati gratis

Per consultare integralmente tutte le news, i podcast e i video in materia di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti e mondo digitale, la rassegna stampa del giorno e ricevere quotidianamente la tua newsletter

Iscriviti alla Newsletter

Rimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione

Funzionalità riservata agli abbonati

Per fruire di tutte le funzionalità e consultare integralmente tutti i contenuti abbonati o contatta il tuo agente di fiducia.

Trovi interessante questo video?

Per continuare a vederlo e consultare altri contenuti esclusivi abbonati a QuotidianoPiù,
la soluzione digitale dove trovare ogni giorno notizie, video e podcast su fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti e mondo digitale.
Abbonati o contatta il tuo agente di fiducia.
Se invece sei già abbonato, effettua il login.

Ricerca Vocale

Clicca sul microfono per cominciare a registrare il messaggio.

“ ”