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mercoledì 26/04/2023 • 06:00

Impresa Contro Louboutin

Amazon, condanna dalla CGUE per contraffazione

La CGUE si è pronunciata nuovamente sulla responsabilità degli intermediari online per violazione del marchio. In due procedimenti per contraffazione Louboutin sosteneva la responsabilità per contraffazione di Amazon, sebbene l'internet company non vendesse direttamente i prodotti contraffatti, ma provvedesse solo alla loro distribuzione e stoccaggio.

di Gilberto Cavagna di Gualdana - Avvocato, BIPART studio legale, diritto della proprietà intellettuale e dell’arte

di Anna Conzon - Of counsel Bipart Studio Legale

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  • Tempo di lettura 7 min.
  • Ascolta la news 5:03

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Recentemente la Corte di Giustizia dell'Unione Europea (“CGUE”) è tornata a pronunciarsi sulla responsabilità degli intermediari online per violazione del marchio. L'occasione è stata il rinvio pregiudiziale presentato dai Tribunali di Lussemburgo e Bruxelles (cause riunite C 148/21 e C 184/21), dinanzi ai quali erano pendenti due procedimenti per contraffazione promossi da C. Louboutin, nei quali la nota casa di calzature di moda sosteneva che Amazon fosse riconosciuta responsabile della contraffazione del proprio marchio in quanto le scarpe con la famosa suola rossa venivano commercializzate sulla piattaforma da soggetti terzi e sebbene la Internet company non vendesse direttamente i prodotti contraffatti, ma provvedesse soltanto alla loro distribuzione e stoccaggio.

Questioni pregiudiziali

I Tribunali di Lussemburgo e Bruxelles avevano in particolare posto alla CGUE alcune questioni pregiudiziali che miravano a verificare se l'art. 9, par. 2 lett. a) del Regolamento UE 2017/1001 – che prevede come “Fatti salvi i diritti dei titolari acquisiti prima della data di deposito o della data di priorità del marchio UE, il titolare del marchio UE ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio, in relazione a prodotti o servizi, qualsiasi segno quando: a) il segno è identico al marchio UE ed è usato in relazione a prodotti e servizi identici ai prodotti o ai servizi per i quali il marchio UE è stato registrato”  - si potesse applicare alle modalità impiegate da Amazon nei confronti del marchio di proprietà di C. Louboutin e di conseguenza, chiarire in quali circostanze l'uso di un segno contraffatto nell'offerta di vendita di un terzo venditore possa essere attribuito al gestore di un sito di vendite online.

Nozione di “uso”

La CGUE ha innanzitutto ricordato come la nozione di “uso”, ai sensi dell'art. 9, par. 2, del Regolamento 2017/1001, non è definita e, per giurisprudenza costante della Corte, il verbo “usare” implica, nella sua accezione abituale, un comportamento attivo e un controllo, diretto o indiretto, sull'atto che costituisce l'uso, come emerge anche dai comportamenti esemplificati nella norma, tra i quali infatti figura l'offerta, l'immissione in commercio o lo stoccaggio dei prodotti contraffatti a tali fini.

Gestore del marketplace

La CGUE ha poi chiarito come il gestore di un mercato online che venda beni, propri e di terzi, nella propria piattaforma, possa essere considerato l'utilizzatore di un segno identico al marchio di un altro soggetto (anche) qualora venditori terzi offrano in vendita sulla sua piattaforma prodotti recanti tale segno, senza il consenso del titolare, se un utente ragionevolmente informato e avveduto possa stabilire un collegamento tra i servizi di tale gestore e il segno distintivo.

Amazon, dal canto suo, contestava che l'uso del marchio in questione potesse esserle imputato, basandosi su alcune sentenze pronunciate dalla Corte in controversie relative a gestori di mercati online, come eBay, e osservava che l'inclusione del suo logo nelle inserzioni dei venditori terzi non implica che essa si appropri di tali inserzioni e che i servizi accessori che offre ai venditori terzi non costituiscono parte della sua comunicazione commerciale.

Invero, il fatto di creare le condizioni tecniche necessarie per l'uso di un segno e di essere remunerati per tale servizio non significa, per Amazon, che chi rende detto servizio usi egli stesso il segno, nemmeno qualora agisca nel proprio interesse economico.

Modalità di inserzione delle offerte di vendita

Tuttavia, nella valutazione della CGUE, assumono invece particolare rilevanza proprio le modalità di inserzione effettivamente utilizzate dal gestore; così ad esempio, se il gestore del marketplace utilizza una modalità omogenea di presentazione delle offerte di vendita pubblicate sul proprio sito, perché consente la visualizzazione simultanea di annunci suoi e di venditori terzi, espone il proprio logo su tutti gli annunci e offre servizi aggiuntivi ai venditori terzi, tali circostanze possono rendere difficile per i consumatori distinguere l'origine di ciascun annuncio e la fonte dei prodotti contraffatti.

In tal senso la sentenza ha infatti statuito che: “[…] il gestore di un sito Internet di vendita online che integra, oltre alle proprie offerte di vendita, un mercato online utilizzi esso stesso un segno identico a un marchio dell'Unione europea altrui per prodotti identici a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, quando venditori terzi propongono in vendita sul mercato in parola, senza il consenso del titolare di detto marchio, siffatti prodotti recanti il suddetto segno, se un utente normalmente informato e ragionevolmente attento di tale sito stabilisce un nesso tra i servizi del menzionato gestore e il segno in questione, il che si verifica in particolare quando, tenuto conto di tutti gli elementi che caratterizzano la situazione di cui trattasi, un utente siffatto potrebbe avere l'impressione che sia il gestore medesimo a commercializzare, in nome e per conto proprio, i prodotti recanti il suddetto segno”. Ricordando come, su questo punto “è rilevante a tale riguardo il fatto che detto gestore ricorra a una modalità di presentazione uniforme delle offerte pubblicate sul suo sito Internet, mostrando allo stesso tempo gli annunci relativi ai prodotti che vende in nome e per conto proprio e quelli relativi a prodotti proposti da venditori terzi su tale mercato, che esso faccia apparire il proprio logo di noto distributore su tutti i suddetti annunci e che esso offra ai venditori terzi, nell'ambito della commercializzazione dei prodotti recanti il segno in questione, servizi complementari consistenti in particolare nello stoccaggio e nella spedizione di tali prodotti”.

Criterio interpretativo della CGUE

Dunque, per la CGUE il criterio interpretativo è chiaro; si può ritenere che il gestore di un sito di vendita online utilizzi esso stesso un marchio contraffatto quando i venditori terzi offrano in vendita prodotti recanti tale segno e l'utente stabilisca un nesso tra i servizi gestore e il segno in questione. I fattori che possono dimostrare un legame tra un gestore di marketplace e un marchio per la Corte possono essere:

(1) l'utilizzo di un metodo uniforme di presentazione dei prodotti offerti sulla piattaforma che rende indistinguibile se un prodotto è stato venduto da una terza parte o dal gestore della piattaforma;

(2)  la visualizzazione di annunci pubblicitari per i prodotti del gestore del mercato contemporaneamente a prodotti di terzi;

(3i) l'esposizione del logo dell'operatore del mercato sugli annunci di vendita di prodotti di terzi; (iv) la fornitura di servizi aggiuntivi a un venditore terzo, come stoccaggio, spedizione e pubblicità.

La decisione è in controtendenza rispetto a precedenti pronunce relative alla responsabilità degli intermediari online per violazione del marchio, come nel caso Google France (C236/08- C- 239-08), L'Oreal (C-324/09) e un'altra riguardante i servizi di stoccaggio di Amazon, Coty Germany (C-567/18); in quei casi, i giudici avevano infatti ritenuto che non vi fosse alcuna responsabilità diretta da parte degli intermediari online per violazione del marchio in relazione a contenuti/prodotti offerti da terzi. Ma non è la prima decisione di segno contrario. Nella causa tra Lifestyle Equities e Amazon, la Corte d'Appello inglese aveva infatti stabilito che gli annunci pubblicitari e la vendita di alcuni prodotti della marca statunitense a clienti del Regno Unito e dell'UE da parte di Amazon costituivano “uso” del marchio e Amazon era stata dichiarata responsabile della violazione dei marchi registrati di Lifestyle.

La pronuncia Louboutin vs Amazon può apparire in contraddizione con le decisioni precedenti; vedremo quali sarà in futuro l'orientamento dominante e in quale direzione, è il caso di dirlo alla luce del bene contraddistinto nella pronuncia in commento, si muoverà la Corte.

Fonte: CGUE cause riunite C 148/21 e C 184/21

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