martedì 25/04/2023 • 06:00
Con la sentenza n. 16353 la Terza Sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata sull’ambito di applicazione della definizione di “crediti inesistenti” prevista dall’art. 13 D.Lgs. 471/97, sostenendo che la stessa non ha rilevanza in sede penale.
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Il fatto
I giudici di primo grado avevano condannato l'amministratore di una società per i delitti di indebita compensazione, omesso versamento dell'IVA e fraudolenta sottrazione di beni. Nello specifico, i giudici di merito, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, avevano ritenuto che la definizione di crediti inesistenti prevista dal novellato art. 13 D.Lgs. 471/97 potesse essere applicata ai soli illeciti tributari e non avesse quindi rilevanza ai fini dell'accertamento del reato di cui all'art. 10-quater D.Lgs. 74/2000.
Al contrario, la Corte di Appello, nel riformare parzialmente la sentenza di primo grado, ha accolto invece la tesi difensiva secondo cui la definizione di crediti inesistenti ex art. 13 D.Lgs. 471/97 ha invece rilevanza in sede penale nella valutazione delle condotte di indebita compensazione ai sensi dell'art. 10-quater D.Lgs. 74/2000.
Inquadramento normativo
L'art 15 D.Lgs. 158/2005 ha modificato l'art. 13 D.Lgs. 471/1997 rubricato “Ritardati od omessi versamenti diretti e altre violazioni in materia di compensazione”, introducendo una nuova definizione di “crediti inesistenti” basata sul duplice presupposto della mancanza totale o parziale del presupposto costitutivo dei crediti medesimi, e della non riscontrabilità della compensazione indebita mediante i controlli di cui agli artt. 36 bis e 36ter del DPR n. 600/1973 e dell'art. 54bis DPR 633/72.
Lo stesso D.Lgs. 158/2005 ha apportato modifiche anche all'art. 10quater D.lgs. 74/2000 rubricato “Indebita compensazione”, introducendo una distinzione tra “crediti inesistenti” e “crediti non spettanti”, e cioè prevedendo una diversificazione del trattamento sanzionatorio nelle due diverse ipotesi di indebita compensazione.
Il principio espresso della Cassazione
I giudici della Terza Sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 16353 del 18 aprile 2023, non hanno condiviso l'impostazione della Corte di Appello, ritenendo quindi che la definizione di “crediti inesistenti” di cui all' art. 13 D.Lgs. 471/97 rileva nel solo ambito degli illeciti di natura amministrativa. E, nell'esprimere tale principio, i giudici forniscono una serie di argomentazioni basate sulla voluntas legis e su considerazioni di ordine sistematico.
Innanzitutto, i giudici di legittimità sottolineano come le due norme siano state modificate dal medesimo D.Lgs. 158/2015 il quale da un lato ha diversificato il regime sanzionatorio tra crediti inesistenti e crediti non spettanti in caso di reato di indebita compensazione, e dall'altro ha ridefinito la nozione di crediti inesistenti al quinto comma dell'art. 13 D.lgs. 471/97. Ebbene, osservano i giudici, proprio perché le due norme sono state modificate con lo stesso testo normativo, il mancato richiamo dell'art. 13 D.Lgs. 471/97 nel corpo dell'art. 10quater D.Lgs. 74/2000 costituisce un forte argomento a sostegno dell'inapplicabilità della definizione di “credito inesistente” contenuta nel citato art. 13 anche in sede penale.
Non solo. I giudici della Suprema Corte a sostegno della propria posizione riportano un'altra argomentazione di ordine sistematico. I giudici infatti escludono la possibilità di poter estendere la definizione di credito inesistente anche in ragione della diversa e più grave ipotesi presa in considerazione dall'art. 10quater e cioè la compensazione con i “crediti non spettati”.
Infatti, in tema di reati tributari, per “credito non spettante” si intende quel credito che, pur certo nella sua esistenza e nell'ammontare, sia, per qualsiasi ragione normativa, ancora non utilizzabile o non più utilizzabile. L'art. 13 invece non definisce il “credito non spettante”, non chiedendone peraltro gli stessi presupposti richiesti per i crediti inesistenti, – e cioè, la rilevabilità da una delle procedure di accertamento ex artt. 36bis e 36ter DPR 600/73 e dell'art. 54bis DPR 633/72. Ciò comporta quindi l'impossibilità di estendere la disciplina amministrativa all'ambito penale non solo in ragione dell'autonomia e diversità del concetto di “credito non spettante”, ma anche perché altrimenti si determinerebbe l'illogica conseguenza che per l'accertamento della condotta ritenuta più grave (e cioè la compensazione con crediti non spettanti) non sarebbero richiesti presupposti invece richiesti per quella ritenuta meno grave (e cioè la compensazione con crediti inesistenti)
Alla luce di tali considerazioni, i giudici di legittimità hanno giudicato quindi erronea la ricostruzione normativa compiuta dalla Corte di Appello, sostenendo che per la configurabilità del reato di indebita compensazione ex art. 10quater D.Lgs. 74/2000 non si possa far riferimento alla nozione di “crediti inesistenti” prevista per gli illeciti di natura tributaria.
In realtà però l'art. 10quater non contiene alcuna definizione di crediti inesistenti e di crediti non spettanti, ma presuppone che gli stessi siano individuati dal giudice in base ad un ragionamento logico. Poiché però la normativa tributaria ha introdotto una definizione, questa non può essere ritenuta del tutto irrilevante ai fini penali in quanto la definizione riguarda comunque l'esistenza del credito tributario utilizzato in compensazione. Come potrebbe infatti il giudice penale dare una interpretazione difforme rispetto alla definizione dell'art. 13 D.Lgs. 471/97 senza un diverso sostegno normativo?
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