giovedì 13/04/2023 • 06:00
La Cassazione, con l'ordinanza 9212/2023, ha chiarito che tra le attività stagionali possono comprendersi solo le attività organizzate per un espletamento temporaneo e non anche le situazioni aziendali collegate a “picchi di stagionalità”, per le quali non opera la deroga al divieto di superamento del limite dei 36 mesi.
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È quanto espresso nella recente ordinanza n. 9212/2023, pubblicata in data 03/04/2023 dalla Suprema Corte di Cassazione, che torna sul tema della deroga al divieto di superamento del limite massimo di 36 mesi di durata cumulativa dei contratti a termine di cui all'art. 5, c. 4 bis, D.Lgs. 368/2001, valevole per le attività stagionali.
La deroga valevole per le attività stagionali
La decisione del Giudice di legittimità prende le mosse dal ricorso promosso dalla datrice di lavoro avverso la decisione della Corte di merito, che aveva accertato l'intervenuta decorrenza di contratti a termine per un periodo complessivamente superiore a trentasei mesi e, operata una interpretazione letterale e sistematica dell'art. 5, c. 4 ter, D.Lgs. 368 del 2001, che deroga all'art. 5 comma 4 bis dello stesso decreto, aveva ritenuto che, per applicare la deroga al tetto temporale imposto dalla norma, fosse necessario che l'attività stagionale risultasse tipizzata e se ne evidenziasse, nella norma collettiva autorizzata ad individuarla, la speciale natura.
I giudici del gravame, dunque, nell'escludere la sovrapponibilità tra la nozione di attività stagionale e quella di attività continuati
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