giovedì 13/04/2023 • 06:00
Si analizzano le principali domande pregiudiziali sollevate nel 2022 avanti la Corte di giustizia UE in materia di ricarica veicoli elettrici, nota di variazione in caso di mancato pagamento, rimborso dell’IVA versata in eccesso e nuove prove nei rimborsi.
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La prestazione di ricarica dei veicoli elettrici deve essere considerata una cessione di beni o una prestazione di servizi?
La previsione di un termine di decadenza per la presentazione di una domanda di compensazione o rimborso dell'imposta in caso di non pagamento totale o parziale del corrispettivo è conforme alla Direttiva IVA?
È possibile richiedere all'amministrazione finanziaria il rimborso dell'IVA versata in eccesso ai fornitori, benché sia sempre possibile che detti fornitori, sulla base di una rettifica delle fatture, agiscano successivamente nei confronti di quest'ultima, e che quindi – eventualmente – l'amministrazione finanziaria sia tenuta a rimborsare due volte lo stesso importo dell'IVA?
È consentito che, nell'ambito dei rimborsi a soggetti passivi non stabiliti nello Stato membro di rimborso, ma in un altro Stato membro, non consentire, nella fase del ricorso, di far valere fatti nuovi e di invocare o produrre nuovi mezzi di prova?
Queste alcune delle importanti domande pregiudiziali sollevate nel 2022 avanti la Corte di giustizia UE.
Ricarica veicoli elettrici
Una Corte tributaria polacca ha chiesto alla Corte di giustizia UE di pronunciarsi se una prestazione complessa fornita nei punti di ricarica a favore degli utenti dei veicoli elettrici e che comprende:
La questione può avere impatti anche sulla nostra legislazione e prassi considerato che di recente l'Agenzia delle entrate con la Risp. 13 gennaio 2023 n. 27 ha chiarito che la cessione di un pacchetto commerciale di servizi reso a fronte di un unico corrispettivo che consente di poter ricaricare auto elettriche, costituisce un'operazione unica ai fini IVA, composta da una cessione di beni (i.e. fornitura di energia) e da altre prestazioni accessorie.
La causa è stata rubricata con il numero C-282/22 e interessa gli artt. 2 e 3 DPR 633/72.
Nota di variazione in caso di mancato pagamento
Una Corte tributaria bulgara ha chiesto alla Corte di giustizia UE di pronunciarsi sull'interpretazione dell'articolo 90 della Direttiva IVA. In particolare, sono state sollevate le seguenti questioni pregiudiziali:
Tale pronuncia può avere conseguenze anche in Italia. Nella nostra legislazione, infatti, l'art. 26 c. 3 DPR 633/72 prevede un termine di decadenza (1 anno) per l'emissione della nota di variazione in caso di mancato pagamento del corrispettivo. La pronuncia interessa anche il rapporto intercorrente tra l'art. 26 e l'art. 30-ter DPR 633/72.
La causa è stata rubricata con il numero C-314/22 e interessa gli artt. 26 e 30-ter DPR 633/72.
Rimborso IVA versata in eccesso
Una Corte tributaria tedesca ha chiesto alla Corte di risolvere una questione concernente l'IVA versata in eccesso nel caso in cui i fornitori si rifiutino di rettificare le fatture e di restituire al ricorrente l'IVA da lui pagata in eccesso.
In particolare, è stato chiesto alla Corte se le disposizioni della Direttiva IVA impongano che al ricorrente vada riconosciuta una pretesa diretta nei confronti dell'amministrazione finanziaria al rimborso dell'IVA versata in eccesso ai suoi fornitori, oltre interessi, benché sia sempre possibile che detti fornitori, sulla base di una rettifica delle fatture, agiscano successivamente nei confronti di quest'ultima, e che quindi – eventualmente – l'amministrazione finanziaria non possa rivalersi verso il ricorrente, con il conseguente rischio che essa sia tenuta a rimborsare due volte lo stesso importo dell'IVA.
Anche questa questione interessa, in Italia, il rapporto intercorrente tra la nota di variazione in diminuzione di cui all'articolo 26 e il rimborso dell'IVA non dovuta di cui all'articolo 30-ter che ha sostituito la richiesta di rimborso “anomalo” ex art. 21 c. 2 D.Lgs. 546/92.
La causa è stata rubricata con il numero C-453/22 e interessa gli artt. 26 e 30-ter DPR 633/72.
Nuove prove nei rimborsi
Una Corte tributaria ungherese ha chiesto alla Corte UE se in relazione al rimborso dell'IVA, previsto dalla Direttiva 2006/112/CE, ai soggetti passivi non stabiliti nello Stato membro di rimborso, ma in un altro Stato membro, debba essere interpretato nel senso che è conforme ai requisiti in materia di ricorsi di detta Direttiva una normativa nazionale (…) che non consente, nella fase del ricorso, di far valere fatti nuovi e di invocare o produrre nuovi mezzi di prova che il richiedente conosceva prima dell'adozione della decisione di primo grado ma che non ha presentato, nonostante fosse stato invitato a farlo dall'autorità tributaria, o non ha fatto valere.
Tale domanda va letta in correlazione con la recentissima sentenza Nec plus ultra cosmetics, relativa alla causa C-664/21 del 2 marzo 2023 secondo cui è possibile che una normativa nazionale possa vietare l'acquisizione di nuovi elementi o di prove supplementari che giustifichino la non imponibilità di una cessione intracomunitaria durante il periodo intercorrente tra la chiusura della prima fase di una verifica e la notifica di un definitivo “Avviso di accertamento”, purché siano rispettati i principi di equivalenza, effettività e neutralità dell'IVA.
Proprio in tema di rimborsi, la precedente sentenza GE Auto Service Leasing relativa alla causa C-294/20 del 9 settembre 2021 aveva chiarito che è possibile negare il rimborso IVA al soggetto passivo non residente che non ha, nei termini prescritti, presentato all'autorità competente, anche su richiesta di quest'ultima, tutti i documenti e le informazioni necessarie per comprovare il suo diritto al rimborso. Rientra infatti nella discrezionalità degli Stati membri la possibilità di introdurre misure nazionali che rifiutino di prendere in considerazione le prove fornite dopo la decisione di rigetto della domanda di rimborso, purché non siano meno favorevoli di quelle che disciplinano analoghe situazioni di natura interna (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile esercitare i diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione (principio di effettività). I Giudici hanno tuttavia precisato che il solo fatto che il soggetto passivo fornisca i documenti e le informazioni comprovanti la sussistenza del suo diritto al rimborso, dopo che la decisione di diniego di tale rimborso è stata adottata dall'autorità amministrativa competente, non può essere considerata, in quanto tale, una pratica abusiva in quanto non finalizzata ad ottenere un'agevolazione.
Ciò può avere impatti anche sulla legislazione nazionale dal momento che l'art. 52 c. 5 DPR 633/72 stabilisce che il contribuente non può utilizzare in sede contenziosa libri, scritture e documenti dei quali abbia rifiutato l'esibizione in occasione dei controlli.
La causa è stata rubricata con il numero C-746/22 e interessa gli artt. 38-bis2 e 52 DPR 633/72.
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Renato Portale
- Dottore commercialista in LeccoRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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