martedì 11/04/2023 • 06:00
La delega fiscale prevede una serie di limitazioni alla facoltà dei contribuenti di presentare interpelli preventivi. Se, da un lato, tali limitazioni verranno, in parte, compensate dalla previsione dell’emanazione di un maggior numero di documenti di prassi, i nuovi limiti finiranno per penalizzare i contribuenti di minori dimensioni.
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L'istituto dell'interpello preventivo ha trovato compiuta disciplina nell'art. 11 L. 212/2000 (c.d. statuto del contribuente). In base a tale disposizione, il contribuente può interpellare l'amministrazione per ottenere una risposta riguardante fattispecie concrete e personali relativamente a:
Oltre a ciò, l'interpello può essere presentato per chiedere la disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d' imposta, o altre posizioni soggettive del soggetto passivo altrimenti ammesse dall'ordinamento tributario, fornendo la dimostrazione che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non possono verificarsi.
L'interpello preventivo si colloca, pertanto, nel più ampio contesto della c.d. compliance , concetto questo che, in ambito tributario, indica il superamento della rigida contrapposizione tra il contribuente, che pone in essere comportamenti fiscalmente rilevanti, e l'Amministrazione Finanziaria che attua specifici controlli per contrastare l'errata applicazione delle norme tributarie e ciò a prescindere dal fatto che la violazione di queste ultime sia dipesa da errori involontari o dall'intento di evadere le imposte. Con la compliance si cerca, invece, di instaurare un rapporto di collaborazione tra il contribuente, che si fa parte diligente nell'eliminazione degli errori commessi o nella prevenzione degli stessi, e l'Amministrazione Finanziaria che premia tale impegno con varie agevolazioni, in particolare con la riduzione delle sanzioni irrogabili. Esempi tipici di questo rapporto Fisco-contribuente sono il ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/97) e l'adempimento collaborativo (artt. da 3 a 7 D.Lgs. 128/2015). Entrambi gli istituti si focalizzano sull'operato del contribuente il quale, con il ravvedimento provvede spontaneamente alla individuazione e alla eliminazione degli errori commessi, beneficiando di uno sconto sulle sanzioni graduato in funzione del ritardo con cui decide di ravvedersi. Con l'adempimento collaborativo, invece, il contribuente si impegna a dotarsi di una vera e propria funzione aziendale specializzata nella riduzione del rischio fiscale. L'importanza del ravvedimento operoso è stata poi rafforzata con l'introduzione delle c.d. lettere di compliance con cui l'Agenzia delle entrate informa il contribuente circa l'esito di taluni controlli invitandolo a ricorrere al ravvedimento prima dell'emissione dell'atto impositivo. Ne sono esempi le lettere di compliance che invitano i contribuenti a presentare, entro i 90 giorni dalla scadenza, le dichiarazioni omesse quando i controlli evidenziano la percezione di più di un reddito di lavoro dipendente, o quelle che lo informano della possibile mancata indicazione nel Quadro VJ della dichiarazione IVA degli acquisti fatti in reverse charge.
Il ravvedimento operoso e le lettere di compliance si pongono, quindi, a valle dei comportamenti fiscalmente rilevanti attuati dai contribuenti. L'interpello preventivo, come pure l'adempimento collaborativo, si collocano, invece, a monte degli stessi nell'ottica di prevenire l'adozione di comportamenti che possono sfociare nella violazione delle norme tributarie.
La possibilità di conoscere, l'orientamento dell'Agenzia delle entrate su una determinata fattispecie prima che si producano i relativi effetti fiscali (la preventività è uno degli elementi essenziali per l'ammissibilità dell'istanza di interpello),rappresenta il punto di forza di questo istituto che permette, in sostanza, di evitare comportamenti fiscali errati. Di qui il grande interesse dei contribuenti testimoniato dal notevole numero di istanze presentate le cui risposte, peraltro, vengono in gran parte pubblicate sul sito dell'Agenzia delle entrate. Se da un lato, quindi, l'interpello preventivo rappresenta un validissimo istituto nell'ottica dell'istaurazione di un rapporto collaborativo tra Fisco e contribuente, dall'altro esso impegna buona parte delle risorse dell'Agenzia delle entrate. Di conseguenza, la legge delega per la riforma fiscale, contiene una serie di novità il cui fine è quello di limitare la presentazione degli interpelli.
La revisione dello Statuto del contribuente
In particolare, nell'ambito della generale revisione dello Statuto del contribuente, l'art. 4, lettera c), prevede una specifica “razionalizzazione delle disciplina degli interpelli” articolata come segue:
Il punto di partenza è, dunque, rappresentato dall'emanazione di un maggior numero di documenti di prassi con cui l'Agenzia delle entrate fornisca la propria interpretazione delle varie norme tributarie. Viene, inoltre, previsto che venga elaborata una casistica delle fattispecie di abuso del diritto. Sotto questo aspetto, è sicuramente da condividere la volontà del Legislatore di dare evidenza ad una fattispecie tributaria, l'abuso del diritto (o elusione fiscale che dir si voglia) che rappresenta una delle “zone grigie” del diritto tributario e come tale potenziale fonte di contenzioso. Apprezzabile, dunque, la previsione che l'elaborazione di tale casistica avvenga “… anche a seguito dell'interlocuzione con gli ordini professionali, con le associazioni di categoria e gli altri enti esponenziali di interessi collettivi, nonché tenendo conto delle proposte pervenute attraverso pubbliche consultazioni” soggetti questi che meglio di tutti possono individuare i casi in cui l'abuso del diritto può manifestarsi.
Il secondo punto appare un corollario del primo, posto che il divieto di presentazione degli interpelli potrà essere motivato in tutti quei casi in cui, per la fattispecie sottoposta all'esame dell'Agenzia, quest'ultima abbia già espresso il proprio orientamento in un provvedimento di prassi.
Novità assoluta, l'introduzione, per i contribuenti di minori dimensioni, di peculiari limitazioni alla procedura di interpello ai soli casi in cui non sia possibile ottenere risposte scritte mediante “… servizi di interlocuzione rapida, realizzati anche attraverso l'utilizzo di tecnologie digitali e di intelligenza artificiale”. Si tratta, ad evidenza, di servizi tutti ancora da sviluppare che, pare di capire, garantirebbero ai contribuenti di minori dimensioni la possibilità di ottenere i chiarimenti normalmente ottenibili presentando un interpello ricorrendo, invece, a tali nuovi servizi. Degno di nota il fatto che la legge delega non contenga alcun parametro per stabilire quali contribuenti andrebbero considerati di minori dimensioni (volume dei ricavi o compensi, volume d'affari IVA, ammontare dei corrispettivi annui, utilizzo di lavoratori dipendenti, valore dei beni strumentali, ecc.) che quindi andranno definiti in sede di stesura della legge delegata.
Infine, l'aspetto più delicato delle nuove limitazioni al diritto di presentazione degli interpelli dato dalla previsione dell'introduzione di un “contributo di accesso” da graduare, dice la legge delega, in base a diversi fattori quali la tipologia del contribuente o il valore della questione oggetto dell'istanza.
L'introduzione di una sorta di contributo unificato per l'accesso agli interpelli, che ne rende più oneroso il ricorso, finisce, indubbiamente, per consentirne l'utilizzo ai soli contribuenti di maggiori dimensioni e dunque per penalizzare tutti gli altri. Sulla legittimità di questo particolare limite milita, però, come sottolineato dalla relazione di accompagnamento alla legge delega, il fatto che non trattasi di una novità in senso assoluto, posto che un analogo contributo è già richiesto per l'accesso agli Accordi preventivi per le imprese con attività internazionale, di cui all'art. 31-ter DPR 600/73, anche questi, di fatto, con accesso limitato ai soli contribuenti di maggiori dimensioni.
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