In sede di risposta a interpello, l'Agenzia delle Entrate è intervenuta in tema di esenzione al 95% della remunerazione derivante da partecipazioni avente i requisiti per l'applicazione del regime della Direttiva "madre-figlia" precisando che, per vedersi riconosciuto il beneficio, è ancora necessaria la verifica del cd. "doppio equity", ossia la verifica - richiesta per i titoli emessi da società emittenti non residenti - della "totale correlazione ai risultati economici" e della "totale indeducibilità" nella determinazione del reddito estero della società emittente.
L'interpretazione resa dal Fisco si discosta da quella suggerita dall'istante secondo cui, a seguito della modifica dell'art. 89 TUIR, avvenuta per opera della novella del 2016 (art. 26 L. 122/2016), per le remunerazioni delle partecipazioni al capitale pagate da "emittenti qualificati UE" e ricevute da soggetti passivi IRES, sarebbe venuta meno la necessità di verificare il requisito della "totale correlazione", dal momento che la norma richiede, ai fini della "dividend exemption", soltanto che la remunerazione sia indeducibile dal reddito del soggetto estero.
Come chiarito dalle Entrate, invece, la novella non altera l'impianto normativo precedente, ma mira ad eliminare quelle casistiche che determinavano la "doppia imposizione" degli utili distribuiti dalle società figlie alle corrispondenti società madri, cui si applica la Direttiva PSD, dovuta al contemporaneo intervento dei differenti regimi tributari dei due Stati UE. In particolare, le nuove disposizioni sarebbero intervenute a risolvere gli eventuali casi di doppia imposizione economica che potevano prodursi per effetto del disposto dell'art. 89 c. 3 TUIR, il quale, richiamando l'art. 44, c. 2, lett. a), ultimo periodo, richiedeva, in ogni caso, ai fini dell'esenzione della remunerazione, la totale indeducibilità della stessa dal reddito del soggetto emittente estero. In tal senso, l'art. 89 c. 3-ter TUIR ha, quindi, esteso l'esenzione di cui al precedente comma 2, alle remunerazioni delle partecipazioni, dei titoli e strumenti finanziari, limitatamente alla quota di esse non deducibile nella determinazione del reddito del soggetto erogante, con ciò superando il requisito della "totale indeducibilità" dal reddito estero ai fini dell'esenzione.
“In altri termini – si legge nella risposta delle Entrate - la circostanza che vi sia una parziale deducibilità presso l'emittente estero, dal 2016, non impedisce in toto il riconoscimento del regime dei dividendi presso il percettore, ma lo limita pro quota (…) si ritiene che la disposizione normativa in esame non abbia, quindi, inciso sul requisito della "totale correlazione" della quota di remunerazione indeducibile dal reddito estero”.
Come noto, ai fini della tassazione delle remunerazioni, l'assimilazione alle azioni degli strumenti finanziari di qualunque natura emessi all'estero continua a realizzarsi solo allorché questi strumenti diano luogo ad una remunerazione totalmente collegata ai risultati economici (cfr. Circolare n. 4 del 2006). Così si esprime ancora oggi l'art. 44, c. 2, lett. a), in quanto nessuna modifica ha interessato la definizione normativa di strumento finanziario "partecipativo" (anche emesso all'estero) in esso contenuta. Detto requisito, pertanto, anche dopo la riforma introdotta con la novella del 2016, deve ritenersi ancora necessario ai fini del riconoscimento dell'esenzione (parziale) della remunerazione proveniente dai soggetti emittenti qualificati UE ai sensi dell'art. 89 c. 3-ter TUIR.
Fonte: Risp. AE 17 marzo 2023 n. 256