Il Consiglio dei Ministri del 16 marzo 2023 ha dato il via all'iter approvativo del DDL Delega fiscale, una vera e propria revisione dei principi fiscali volta a stimolare la crescita del sistema economico italiano, a più di cinquant'anni dalla storica delega della legge 825/1971.
Infatti per gli addetti al lavoro nella materia fiscale, la vera e grande delega è tuttora rappresentata dalla legge 9 ottobre 1971, n. 825, che si occupava sia delle disposizioni sostanziali che di quelle procedurali.
I decreti delegati – che allora avevano la forma di un D.P.R., ora sostituito dal D.Lgs. – furono emanati in due tempi (di seguito le decorrenze):
1° gennaio 1973 – IVA, registro, riscossione;
1° gennaio 1974 – imposte sui redditi, accertamento delle imposte sui redditi.
Questo richiamo remoto non è per fare archeologia tributaria, ma per evidenziare la differenza strutturale tra questi due gruppi di provvedimenti, tuttora vigenti e che dovranno formare oggetto di revisione o forse di riscrittura per alcuni, come nel caso in cui si intendesse produrre un testo unico IVA.
Le disposizioni del 1973 erano omnicomprensive, occupandosi tanto degli aspetti sostanziali, quanto degli adempimenti, mentre le successive erano specifiche per ambito.
Ma come sopra indicato, noi abbiamo ancora il D.P.R. 600 del 1973, che si occupa soltanto di accertamento dei redditi, duplicando le disposizioni della legge IVA con identico contenuto.
Sicuramente qui ci vorrà un'unica norma per gli accertamenti di tutti i tributi, di cui si parla da quando gli uffici sono stati unificati nell'Agenzia delle entrate.
Fatta questa premessa di sistema – sarà molto interessante vedere come saranno costruiti gli schemi dei decreti legislativi – passiamo in rassegna gli aspetti più significativi della delega.
IRPEF
Per l'IRPEF si parla di “graduale riduzione” verso l'aliquota impositiva unica.
Il finanziamento di questo obiettivo è ovviamente dichiarato, con la revisione delle deduzioni e delle detrazioni fiscali, le cd. tax expenditures.
Si tratterebbe anche di una semplificazione per i contribuenti e chi li assiste: per gli oneri nella scorsa dichiarazione dei redditi l'Agenzia delle entrate ha dovuto emanare due circolari, di complessive 550 pagine.
Condivisibile è l'individuazione di un'unica no tax area per qualsiasi tipologia di reddito, attualmente differenziata per effetto delle detrazioni diversificate.
Redditi finanziari
Uno dei punti più importanti è quello dell'individuazione di un'unica categoria di “redditi finanziari”.
L'attuale suddivisione tra redditi di capitale e redditi diversi penalizza chi subisce capital gains negativi, e deve pagare le imposte sugli interessi o i dividendi, che non possono essere compensati. Per non parlare dell'assurda continua proroga delle disposizioni del 2001 sulla rivalutazione delle partecipazioni, che vale solo in caso di vendita (capital gain) e non se la società viene liquidata (reddito di capitale). Qui si poteva già intervenire prima, prendendo atto che dal 2004 il testo unico delle imposte sui redditi era cambiato, avendo soppresso il credito di imposta sui dividendi, che era la giustificazione del doppio regime.
La categoria dei redditi finanziari era già prevista da una delega precedente, ma non fu mai attuata per evidenti motivi di gettito: è troppo confortevole per l'erario incassare comunque le imposte sui redditi di capitale, relegando le perdite nell'altra categoria, da cui si rischia di non poter uscire in mancanza di altre partecipazioni da vendere in utile.
Rendimenti delle forme di previdenza complementare
In questo ambito è un po' timida la delega per la tassazione dei rendimenti delle forme di previdenza complementare, cioè dei fondi pensione.
A livello europeo – dove si deve gestire anche la mobilità del personale tra gli Stati – il suggerimento è per un regime EET: esenzione, cioè deduzione illimitata dei contributi; esenzione per i rendimenti dei fondi e tassazione piena della prestazione pensionistica, come avviene nelle forme di previdenza obbligatoria. Qui si dice solo che i fondi avranno una generica “aliquota agevolata”.
Gli obiettivi della legge delega formeranno oggetto di singoli specifici approfondimenti in questa sede.
Regime IVA
Al momento ci limitiamo ad evidenziare l'urgenza della definizione del regime IVA degli enti del terzo settore. Il nostro Stato è da tempo in procedura d'infrazione europea, perché ha scambiato il regime della soggettività di questi enti (articolo 4, legge IVA) con quello di esenzione delle loro prestazioni economiche (articolo 10).
Alla fine del 2021 questi due articoli vengono riscritti, per essere sospesi sino al 1° gennaio 2024 con una disposizione di pochi giorni successiva. Oltre a tutto in questo momento le banche dati tributarie non riescono nemmeno ad evidenziare agevolmente quale sia la norma tuttora vigente.
Il termine per i decreti delegati è di almeno un anno, e quindi slitta oltre quello di entrata in vigore della norma IVA che era stata sospesa perché di non facile attuazione.
Un auspicio: cerchiamo di anticipare il testo unico IVA alla fine del 2023, così abbiamo anche risolto questo problema, apparentemente minore, ma che interessa il grande mondo del non profit.