mercoledì 08/03/2023 • 06:00
In occasione della Festa della Donna, QuotidianoPiù dedica uno spazio di riflessione sull'occupazione femminile, analizzando le criticità delle politiche di inclusione e fornendo soluzioni per un'inversione di rotta.
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Oggi, molti commenti sono dedicati alla segregazione occupazionale delle lavoratrici, alla mancanza di un'adeguata conciliazione dei loro tempi di vita e lavoro, alla conseguente denatalità. Altri alle gesta, ai sacrifici e alle proteste che hanno visto protagonisti le donne.
Bene.
Ma questo particolare momento storico ci impone anche di andare oltre la retorica. Di risalire alle reali ragioni del fallimento delle politiche di inclusione e ricercare nuove soluzioni.
Le ragioni di questo fallimento sono due.
La legge
La prima è che le sfide sull'occupazione femminile sono state rimesse soltanto alla legge. Ma la legge, generale ed astratta, non è in grado, in quanto tale, di superarle da sola.
Astrattezza e generalità hanno significato tutela dei bisogni secondo la tipica tassonomia legislativa e dunque della lavoratrice, non in quanto principalmente persona, ma in quanto donna.
Ed invece, è alla persona nella sua interezza, e non secondo le sue categorie: sesso, razza, dell'età, che guarda la nostra Costituzione. Sono gli ideali personalisti di filosofi come Maritain e Mounier, ad ispirarla.
L'uguaglianza
La seconda ragione è il travisamento del concetto di uguaglianza di cui il Paese è stato vittima.
Uguaglianza non significa omologazione delle differenze. Non significa egualitarismo come l'ha definito Norberto Bobbio oppure identità: quella “notte in cui tutte le vacche sono nere” per rifarsi alla critica di Hegel a Schelling. Ma, al contrario, bilanciamento dei peculiari bisogni di ciascuna persona con quella dei bisogni generali della collettività. Del resto, una sinfonia è figlia di consonanze e dissonanze, così come l'effetto chiaroscuro di un gioco di luce ed ombre.
Eloquenti le parole di un noto giurista del passato come Carlo Esposito secondo cui: “un diritto che non distinguesse situazione da situazione e considerassi eguali tutte le situazioni non sarebbe un diritto difficilmente pensabile; ma sarebbe un diritto impensabile, perché non disporrebbe niente.”
Per molti anni, è prevalsa l'idea che l'uguaglianza delle lavoratrici si esaurisse nel semplice riconoscimento di diritti eguali a quelli dei lavoratori e non imponesse anche la taratura di questi diritti sulle peculiarità della lavoratrice.
Emblematica la gincana del diritto alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro che, a tutt'oggi, manca di adeguata protezione.
Eppure, l'articolo 37 della Costituzione riconosce alla donna gli stessi diritti, e a parità di lavoro, le stesse retribuzioni del lavoratore ma ad una condizione: che l'attività lavorativa non sia in grado di pregiudicare le esigenze di vita privata.
E non era certo quello di costringere la lavoratrice ad una funzione di cura familiare la finalità della norma. Ma anzi, all' opposto, quella di impedire che tale funzione prendesse il sopravvento sugli affari lavorativi. Lo ricordò Aldo Moro in sede di lavori.
La certificazione per la parità di genere
Veniamo alle soluzioni.
I tempi sono maturi per un'inversione di rotta, di cui si candida ad essere interprete la certificazione per la parità di genere, la c.d. Prassi Uni/PdR 125 del 2022 introdotta dalla legge n. 162 del 2021.
A prevalere gradualmente devono essere una logica e un'idea diverse.
Da un lato, una logica legislativa che abiuri alla tradizionale tassonomia e si preoccupi di tracciare cornici entro cui possono svilupparsi processi virtuosi sulla parità di genere. Dall'altro, un'idea opposta a quella dell'”egualitarismo”, che rimetta il compito di decifrare i variegati bisogni delle lavoratrici agli attori più prossimi ad essi: le comunità aziendali. Entro il 2026, secondo la direttiva europea n. 2381 del 2022 c.d. Women on Board, tutte le grandi società quotate in Italia dovranno anche adottare misure per incrementare la presenza delle donne alla loro guida
In definitiva, ad essere richiesta è la capacità di autocoscienza degli errori del passato. Le soluzioni verranno. Solo così quel glass ceiling sarà ben presto infranto. E il mondo del lavoro tornerà ad essere un luogo felice. Anche per le donne.
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