mercoledì 08/03/2023 • 06:00
In materia di cessioni intra-UE, le autorità nazionali possono imporre al soggetto passivo un termine per provare la sussistenza delle condizioni previste per la non imponibilità IVA, purché siano rispettati i principi di effettività ed equivalenza. A stabilirlo è la sentenza 2 marzo 2023, C-664/21.
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La prova della cessione intra-UE
Con la sentenza 2 marzo 2023, C-664/21, la Corte di Giustizia ha chiarito che gli Stati membri possono stabilire un termine entro il quale deve essere fornita la prova della cessione intra-UE, a condizione che siano rispettati i principi unionali in materia di IVA di equivalenza ed effettività.
Com'è noto, gli articoli 131 e 138 della Direttiva 2006/112 prevedono la non imponibilità IVA per le cessioni di beni spediti o trasportati fuori dal loro territorio, ma all'interno dell'Unione europea, dal venditore, dall'acquirente o per loro conto, effettuate nei confronti di un altro soggetto passivo, o di un ente non soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso da quello di partenza della spedizione o del trasporto dei beni.
Per beneficiare della non imponibilità IVA il soggetto passivo deve essere in grado di provare il trasporto o la spedizione dei beni nello Stato membro di destinazione.
La normativa unionale non fissa un termine entro il quale il soggetto passivo deve fornire alle Autorità fiscali la prova della cessione intra-UE, lasciando agli Stati membri la possibilità di stabilire un limite temporale. Applicando per analogia i principi già espressi in materia di rimborsi IVA, la Corte di Giustizia ha chiarito che il termine imposto dalle Autorità fiscali degli Stati membri deve essere, in ogni caso, congruo rispetto ai principi unionali in materia di IVA.
La questione esaminata dal Giudice europeo
La vicenda esaminata dalla Corte di Giustizia trae origine da un avviso di accertamento emesso dall'Autorità fiscale slovena nei confronti di un soggetto passivo con sede in Svizzera. La società aveva effettuato una cessione intra-UE, ma non era stata in grado di fornire la prova del trasporto verso un altro Stato membro entro il termine previsto dalla normativa slovena: la società, infatti, ha presentato la prova della cessione al termine della verifica fiscale, in sede di osservazioni, prima della notifica dell'avviso di accertamento.
I giudici sloveni, chiamati a pronunciarsi sulla legittimità dell'accertamento, hanno sollevato una questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia. Il giudice del rinvio ha chiesto se gli articoli 131 e 138, paragrafo 1, della direttiva 2006/112, letti in combinato disposto con i principi di neutralità fiscale, effettività e proporzionalità, si oppongano a una normativa nazionale che vieta la produzione e raccolta di nuove prove che dimostrino il rispetto delle condizioni sostanziali previste dall'articolo 138, paragrafo 1, di tale direttiva, dopo le operazioni di controllo fiscale ma prima dell'adozione del provvedimento.
Il caso esaminato dalla Corte di Giustizia, pertanto, non ha ad oggetto la violazione di requisiti formali che impediscono di fornire la prova della cessione dei beni, ma il momento in cui tale prova può essere fornita.
Va rimarcato che la normativa italiana non prevede una disposizione analoga a quella slovena. L'Agenzia delle entrate, al termine della verifica, notifica al soggetto passivo un processo verbale di constatazione. Entro 30 giorni dalla notifica, il soggetto passivo può presentare osservazioni e fornire la prova della cessione intra-UE. Successivamente, l'Agenzia delle entrate emette l'avviso di accertamento, pretendendo il pagamento dell'Iva.
Secondo la normativa italiana, pertanto, la prova della cessione intra-UE può essere fornita anche in sede di osservazioni, fino all'emissione dell'avviso di accertamento.
La procedura italiana risulta pertanto più coerente rispetto ai principi unionali rimarcati dalla Corte di Giustizia UE.
La sentenza della Corte di Giustizia UE
Con la sentenza in commento, la Corte di Giustizia UE ha affermato che la normativa unionale in materia di non imponibilità IVA per le cessioni intra-UE deve essere interpretata applicando, per analogia, i principi espressi dai giudici europei in materia di rimborsi IVA (VIII direttiva Iva). La Corte di Giustizia ha, infatti, riconosciuto che il rimborso può essere negato quando il soggetto passivo non abbia presentato all'Amministrazione fiscale, entro i termini previsti, i documenti per provare il diritto al rimborso. Non rileva, ad avviso dei giudici UE, la circostanza che il soggetto passivo abbia poi fornito tali documenti nell'ambito del giudizio (Corte di Giustizia, 9 settembre 2021, C-294/20).
Non essendo disciplinata dall'ottava direttiva IVA, l'introduzione di disposizioni nazionali che rifiutino di prendere in considerazione le prove fornite successivamente alla decisione di rigetto di una domanda di rimborso rientra nell'ambito dell'ordinamento giuridico interno di ciascun Stato membro, in applicazione del principio di autonomia procedurale degli Stati membri, a patto che siano rispettati il principio di equivalenza e quello di effettività; purché, quindi, le disposizioni nazionali non siano meno favorevoli di quelle che disciplinano analoghe situazioni di carattere interno e non rendano impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico UE.
Applicando per analogia tali principi anche in materia di cessioni intra-UE, la Corte di Giustizia ha chiarito che gli Stati membri possono rifiutare di prendere in considerazione gli elementi di prova del trasporto se forniti dal soggetto passivo oltre il termine previsto dalla normativa nazionale, purché tale termine non contrasti con i principi fondamentali in materia di IVA.
Occorre, in primo luogo, verificare il rispetto del principio di effettività. La possibilità di presentare prove supplementari, in sede di accertamento, senza nessuna limitazione temporale sarebbe contraria al principio di certezza del diritto, il quale esige che la posizione fiscale del soggetto passivo non possa essere indefinitamente rimessa in discussione.
La Corte puntualizza che, in ogni caso, quando l'amministrazione fiscale rifiuta a un soggetto passivo il beneficio della non imponibilità IVA in una fase iniziale della procedura tributaria, essa deve garantire il rigoroso rispetto del principio di neutralità fiscale. Inoltre, il rifiuto di prendere in considerazione gli elementi di prova deve essere fondato su circostanze specifiche, come l'assenza di qualsiasi giustificazione per il ritardo verificatosi.
Va rilevato, infine, che il principio di equivalenza esige che le disposizioni nazionali che disciplinano la non imponibilità delle cessioni intra-UE non siano meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni simili soggette al diritto interno.
Fonte: CGUE sent. 2 marzo 2023 C-664/21
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Umberto Terzuolo
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