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mercoledì 08/03/2023 • 06:00

Fisco Circolare Assonime

Utili di fonte estera: i problemi interpretativi dell’affrancamento

La disciplina tributaria degli utili derivanti da partecipazioni in società in paesi a fiscalità privilegiata è stata a più riprese modificata da diversi interventi normativi di difficile coordinamento, che hanno riformulato, i criteri identificativi dei paradisi fiscali, generando non poche incertezze tra gli operatori del settore.

di Andrea Di Dio - DLA Piper Studio Legale Tributario Associato

di Giulia Isabella Valenzi - Avvocato presso DLA Piper Studio Legale Tributario Associato

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  • Tempo di lettura 6 min.
  • Ascolta la news 5:03

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Il legislatore, mosso da esigenze di semplificazione e al fine di superare le difficoltà ricostruttive insite nell'esatta identificazione degli stati o territori a fiscalità privilegiata ha da ultimo introdotto un criterio identificativo “misto” basato sul livello di tassazione effettivo ovvero nominale, a seconda che la partecipazione sia o meno di controllo.

Il mutato contesto normativo, unitamente alle interpretazioni dell'Amministrazione finanziaria che si sono succedute, specie in merito agli effetti ascrivibili al “regime transitorio” post modifiche – finalizzato a regolare il passaggio dalla qualificazione degli utili come “black list” sulla base dei previgenti criteri alla qualificazione come “white list” alla luce dei nuovi parametri o viceversa – hanno di fatto disincentivato il rimpatrio in Italia delle riserve di utili accantonate presso le società partecipate estere, specie in quelle caratterizzate da catene di controllo articolate, o quantomeno reso complessa la verifica del trattamento fiscale da adottare.

Allo scopo di fronteggiare tale fenomeno l'art. 1 c. 87-95 L. 197/2022 (Legge di Bilancio 2023), ha introdotto un regime opzionale finalizzato a consentire ai contribuenti, che detengono partecipazioni in regime di impresa in società localizzate nei c.d. paradisi fiscali, lo “smobilizzo” e il “rimpatrio” degli utili e delle riserve di utili, risultanti dal bilancio chiuso nel periodo di imposta antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2022 e non ancora distribuiti al 1° gennaio 2023.

L'esercizio dell'opzione fa sì che gli utili e le riserve una volta distribuite, siano detassate nella misura del 100%. Il tutto al costo di un'imposta sostitutiva, da calcolare in proporzione alla partecipazione detenuta nella partecipata estera, la cui entità varia a seconda della qualificazione giuridica del soggetto percettore (9% per i soggetti IRES e 30% per i soggetti IRPEF in regime di d'impresa) e delle tempistiche del relativo rimpatrio (c.d. affrancamento celere con imposta sostitutiva al 6% o 27%).

Naturalmente, l'esercizio dell'opzione presuppone un calcolo di convenienza che è rimesso alle valutazioni discrezionali del contribuente ed è proprio in quest'ottica che il legislatore ha delineato un regime con diversi gradi di flessibilità, affidando a quest'ultimo la scelta di quale sia la singola società partecipata i cui utili si intendono affrancare, e l'importo fino a concorrenza del quale si intende fruire dell'opzione.

Al risultato pratico di poter disporre di uno strumento che, in presenza di determinate condizioni, consente di agevolare il rimpatrio di utili di provenienza black list escludendoli integralmente dalla formazione del reddito del soggetto percipiente, fa da contraltare l'incertezza della formulazione testuale e l'elevato di rischio di sovrapposizione con altri regimi fiscali previsti dall'ordinamento, tra cui quello CFC.

Il commento di Assonime

In attesa che vengano adottate le norme attuative e di coordinamento della disciplina in parola, Assonime con la Circolare n. 5 del 2 marzo 2023 affronta talune delle principali problematiche interpretative lasciate aperte dalla neo introdotta disposizione. Tra queste meritano particolare attenzione quelle relative all'applicabilità o meno della detassazione in capo alle società del gruppo che si trovino in livelli intermedi della catena partecipativa rispetto al contribuente italiano che ha esercitato l'opzione e quelle relative al coordinamento con il regime CFC. Entrambe, infatti, ove non risolte, oltre a dare luogo ad effetti paradossali, genererebbero un'indebita discriminazione tra partecipazioni dirette e indirette, rendendo il regime dell'affrancamento vantaggioso solo nella prima ipotesi.

In questo contesto, secondo Assonime sarebbe opportuno che in sede di attuazione, venga previsto che l'opzione possa essere esercitata dalla capogruppo (o dal socio imprenditore controllante ultimo) e che l'imposta possa invece essere liquidata e versata pro quota dalle società intermedie della catena societaria italiana più vicine alla frontiera, in analogia con quanto accade in sede di applicazione della disciplina CFC. Tale soluzione consentirebbe infatti di accedere in modo univoco all'aliquota ridotta dell'imposta sostitutiva dovuta in sede di affrancamento.

Il decreto attuativo dovrebbe inoltre farsi carico di stabilire che, qualora l'opzione venga esercitata dalla ultima controllante, gli utili affrancati siano esclusi da imposizione anche in ogni passaggio intermedio – attraverso le subholding italiane – della fase di “risalita” del flusso di dividendi dalle società estere alle ultimate parent. Diversamente, secondo Assonime, si giungerebbe ad effetti paradossali, posto che risulterebbe di fatto precluso per la capogruppo l'accesso all'opzione, dal momento che subirebbe indirettamente prelievi sugli utili affrancati che annullerebbero il beneficio di cui avrebbe potuto godere in caso di partecipazione diretta.

Per attuare in modo coerente questo meccanismo sarebbe inoltre opportuno estendere, in relazione ad ognuno di questi passaggi, la possibilità di invocare la presunzione secondo cui gli utili distribuiti si assumono attinti prioritariamente dal basket degli utili affrancati.

Sarebbe auspicabile, poi, che il decreto attuativo introduca regole di coordinamento con il regime CFC, al fine di evitare eventuali sovrapposizioni tra le due discipline e gli effetti distorsivi che ne discenderebbero.

Meriterebbe, in particolare, di essere chiarito l'impatto dell'affrancamento quando, in presenza di partecipazione indirette, la subholding intermedia (tramite cui è detenuta la partecipazione nella controllata di ultimo livello, i cui utili sono stati affrancati) sia una società estera rispetto alla quale è necessario effettuare la verifica dell'ETR test ai fini CFC. In questa ipotesi, secondo Assonime, gli utili affrancati dovrebbero essere considerati totalmente esclusi da imposizione sia ai fini del calcolo c.d. ETR test che in sede di eventuale tassazione per trasparenza della subholding estera.

Diversamente opinando, infatti, si creerebbe non solo una indebita discriminazione tra partecipazioni dirette e indirette, ma si giungerebbe al duplice paradosso di assoggettare a tassazione piena gli utili che in caso di distribuzione diretta sarebbero stati esclusi da imposizione presso il socio partecipante italiano e di incrementare il livello di tassazione virtuale italiana della subholding con l'effetto di innescare la tassazione CFC della medesima.

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a cura di

redazione Memento

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