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venerdì 03/03/2023 • 06:00

Lavoro Licenziamento del dirigente medico

L’assoluzione penale non comporta l’illegittimità dell’addebito disciplinare

L’esclusione della responsabilità penale del dirigente per non essere attribuibile allo stesso al di là di ogni ragionevole dubbio, non riveste necessariamente la stessa valenza relativamente alla responsabilità disciplinare nel giudizio di impugnazione del licenziamento per giusta causa, essendo il giudice del lavoro libero nel proprio convincimento.

di Federico Manfredi - Avvocato - Head of practice Diritto del Lavoro – Carnelutti Law Firm

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  • Tempo di lettura 6 min.
  • Ascolta la news 5:03

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La compatibilità fra processo civile e penale presenta sempre elementi di criticità applicative che parerebbero ad una prima analisi prive di ricadute sul piano sostanziale. Tuttavia, così non è, dal momento che le stesse - e in particolar modo l'eventuale vincolo assertivo che la statuizione penale potrebbe comportare nel convincimento civilistico del giudice – assumono ricadute assai concrete con riguardo alla prova dei fatti nei procedimenti civilistici e nel dettaglio in quelli avanti al giudice del lavoro.

Un esempio del fenomeno processuale di cui sopra è rappresentato dalla sentenza della Cass. 22 febbraio 2023 n. 5468 che affrontando un caso di licenziamento del dirigente medico, ha avuto modo di ribadire la libertà del convincimento del giudicante anche a fronte dell'assoluzione del dipendente licenziato nel procedimento penale per i medesimi fatti addebitatigli a fondamento del recesso per giusta causa.

Il caso giunto al vaglio della Cassazione

Ha proposto ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello di Napoli - che già confermava la decisione del giudice di prime cure - un dirigente medico direttore della UOC che aveva impugnato il licenziamento disciplinare intimatogli in seguito alle condotte poste in essere dallo stesso che avevano portato al decesso di un paziente.

Tali condotte risultavano essere rilevanti dal punto di vista disciplinare in quanto attenevano alla sfera della responsabilità del medico che aveva da un lato ritenuto di delegare completamente a uno specializzando del primo anno la compilazione della cartella clinica, rimasta  incompleta, e dall'altro sottovalutato il rischio chirurgico del paziente, omettendo di convocare specialisti in grado di valutare la condizione medica del paziente e fornire un quadro clinico analizzato sotto diverse discipline. Il giudice di prime cure aveva già ritenuto tutte le condotte addebitate idonee, anche singolarmente, a giustificare il provvedimento espulsivo del dirigente medico; la Corte d'Appello si era unita alle conclusioni del Tribunale e tanto ha fatto anche la Cass. 22 febbraio 2023 n. 5468.

La decisione in commento

Con la pronuncia in commento la Suprema Corte ha, infatti, ritenuto corretto in diritto il ragionamento della Corte d'Appello sia per quanto riguardava l'effettiva violazione dell'art. 24 Cost. da parte del datore di lavoro nel non fornire al lavoratore la cartella clinica di cui si discuteva, pur tuttavia considerando tale fatto inidoneo a sostenere l'illegittimità del licenziamento. Invero – a mente della sentenza in esame – il recesso risultava sostenuto da altri due motivi, la cui validità non era contestabile sul piano della lesione dell'art. 24 Cost. nè, vi è di più, erano stati contestati dallo stesso ricorrente; sia per quanto riguarda il valore da attribuire alle risultanze istruttorie fornite sul piano della rilevanza disciplinare, che è ben distinto dal piano della rilevanza penale.

Si concede, comunque, la Suprema Corte di puntualizzare come la lamentata lesione del diritto di difesa ex art. 24 Cost. del ricorrente - che non ha avuto modo di valutare l'effettiva incompletezza della cartella clinica da cui hanno avuto origine gli eventi che hanno portato al proprio licenziamento - avrebbe potuto essere un elemento dirimente nel valutare la legittimità del licenziamento se lo stesso fosse stato basato sul singolo fatto, in relazione al quale il diritto di difesa appariva effettivamente violato, e non piuttosto sul complesso delle condotte di cui si era reso protagonista il dirigente medico, e che costituivano la base sulla quale poggiava il licenziamento: non essendo, nel complesso della vicenda processuale, leso il diritto discendente dall'art. 24 Cost. per il ricorrente.

Per la Suprema Corte “Il primo motivo [di ricorso] è infondato, avendo la Corte puntualmente valutato la mancata consegna al ricorrente della cartella clinica sotto il profilo della garanzia del diritto di difesa, escludendone la rilevanza con riguardo al complesso degli addebiti, per essere stata questa correttamente circoscritta al primo degli addebiti […] si sostiene in ricorso che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d'appello, l'esame della cartella clinica sarebbe stato di fatto idoneo a smentire gli altri due addebiti disciplinari, ma si tratta di considerazione che sconfina nel merito, in quanto tale non spendibile in sede di legittimità”.

Le ultime considerazioni su cui si sofferma la Suprema Corte nella sentenza in commento attengono al lamentato vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in una violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., con riguardo alla documentazione proveniente dal procedimento penale avviato a carico dello stesso staff medico in relazione alla vicenda del medesimo paziente, documentazione che, a dire del ricorrente, è stata idonea ad escludere la rilevanza penale delle condotte che hanno preceduto la morte del paziente. Sul punto, la Suprema Corte si è pronunciata ritenendo inammissibile tale motivo di ricorso, elaborando sul tema della decisività per il giudizio del fatto di cui si commenta e di cui si lamenta la mancata considerazione, in quanto il piano della responsabilità penale e della responsabilità ai fini disciplinari sono estremamente diversi tra loro, il primo venendo escluso ogni qualvolta possa essere insinuato il ragionevole dubbio e per l'effetto, la Suprema Corte ha richiamato precedenti sentenze della medesima Corte, come, tra le altre, Cass. 7 settembre 2015 n. 17702 e Cass. 13 giugno 2014 n. 13485, che hanno argomentato il valore da attribuire alle determinazioni e valutazioni istruttorie: “involgono apprezzamenti di fatto riservati al Giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificatamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata”.

Fonte: Cass. 22 febbraio 2023 n. 5468

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