lunedì 27/02/2023 • 06:00
La Cassazione ha ribadito l’autonomia dei poteri di indagine delle Entrate sulla fruizione del credito d'imposta delle imprese beneficiarie. La Corte resta ferma sul termine di 8 anni per l’attività di controllo sul credito in quanto inesistente e precisa che il termine decorre dalla data di presentazione del modello di pagamento unificato.
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Autonomia dei controlli dell'Agenzia delle Entrate sui presupposti per la spettanza del credito d'imposta
La Corte di Cassazione nell'ordinanza del 20 febbraio 2023 n. 5243 è intervenuta ancora una volta sull'accertamento e la compensazione dei crediti d'imposta, tema particolarmente in voga in questo ultimo periodo.
Esula però dalla vicenda, affrontata dalla Corte, la distinzione tra crediti d'imposta inesistenti e non spettanti che tanto sta animando il dibattito tra gli addetti ai lavori (cfr. Cass.,ex multis sent. n. 3784 dell'8 febbraio 23 e l'ordinanza di rimessione alle SS.UU. n. 35536/2022), dal momento che nel caso di specie i crediti in questione sono stati espressamente considerati inesistenti in virtù delle argomentazioni illustrate negli avvisi di accertamento condivise integralmente dai giudici di merito.
Nel caso di specie venivano, infatti, impugnati sia gli avvisi di accertamento sia gli atti di recupero per i periodi di imposta dal 2003 al 2010; in pratica era stata la stessa Agenzia delle Entrate in fase di accertamento (non sappiamo bene in che termini perché la sentenza non ce lo dice) a considerare i crediti in questione come inesistenti in quanto erano stati disconosciuti i fatti costitutivi (ricerca su telai di vetture d'epoca) posti a loro fondamento.
Proprio il fatto che la materia del contendere abbia riguardato anche gli avvisi di accertamento ha consentito ai giudici di legittimità di concentrarsi direttamente sul secondo motivo proposto dalla società contribuente, ossia la violazione e/o falsa applicazione delle disposizioni del Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico n. 76/2008 che negli articoli 6 e 7 disciplina (ex art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.) i controlli sulla spettanza o meno del credito, l'autorità preposta al loro svolgimento e al relativo recupero nel caso in cui venga accertato il mancato rispetto dei presupposti e delle condizioni previste per la fruizione del predetto credito.
In particolare i giudici hanno statuito che: “…i controlli sulla corretta fruizione del credito d'imposta da parte delle imprese beneficiarie sono effettuati dall'Agenzia delle entrate nell'ambito dell'ordinaria attività di controllo”. Quanto ai rapporti con i poteri riconosciuti ad altre autorità (nel caso di specie rispetto alla formale revoca ministeriale dell'agevolazione concessa) i giudici hanno precisato il carattere meramente facoltativo del loro intervento, che è e resta subordinato comunque alla richiesta dell'Agenzia delle Entrate.
Queste argomentazioni hanno portato i giudici, dopo aver rigettato (perché coinvolgeva profili di merito insindacabili dinanzi alla Corte di Cassazione) il primo motivo in cui si chiedeva alla Corte di rivalutare la documentazione versata in atti a dimostrazione dell'effettività della ricerca giuridica, a concludere per la totale autonomia e la piena legittimità dell'attività di accertamento sulla corretta fruizione del credito d'imposta svolta, nel caso di specie, dall'Agenzia delle Entrate e documentata negli appositi avvisi di accertamento accompagnati dall'emissione degli atti di recupero.
Crediti inesistenti e decorrenza del termine di accertamento
Una volta stabilito di essere di fronte ad un credito inesistente, l'altro tema esaminato nella sentenza in commento è quello della decorrenza del termine di accertamento e la sua durata.
Anche a tale proposito l'atteggiamento dei giudici di legittimità, forti di una pronuncia di merito che si basava sulla conferma sia degli avvisi di accertamento che degli atti di recupero, è stato piuttosto lineare.
È stato infatti dapprima precisato che il giudice di appello ha chiaramente accertato in fatto, con argomentazione non più contestabile, l'inesistenza del rapporto sostanziale sul quale era fondata la concessione del contributo sotto forma di credito d'imposta per poi evidenziare che, nel caso di specie, trova applicazione il termine di otto anni.
Detto termine, però, per il giudici di appello decorrerebbe dal momento della presentazione della dichiarazione nella quale assume rilevanza il credito; i giudici di legittimità non condividono tale impostazione.
In particolare sottolineano come, in base all'art. 27 c. 16 DL 185/2008 - salvi i più ampi termini previsti dalla legge in caso di violazione che comporta l'obbligo di denuncia ai sensi dell'art. 331 del c.p.p. per il reato previsto dall'art. 10-quater D.Lgs. 74/2000 - l'atto di recupero per la riscossione di crediti inesistenti deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell'ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo. Il successivo comma 17 prevede poi che la norma si applica a decorrere dalla data di presentazione del modello di pagamento unificato, nel quale sono indicati crediti inesistenti utilizzati in compensazione.
La censura mossa alla sentenza di secondo grado sotto il profilo della individuazione del momento della decorrenza del termine di accertamento, ha reso necessario rinviare nuovamente la controversia all'esame del giudice di appello affinché, ai soli fini delle imposte dirette e dell'Iva (perché per l'IRAP, come precisato nella sentenza, non sono previste sanzioni penali), accerti quando si è verificato l'effettivo utilizzo del credito ed in tal modo decida se l'azione di recupero possa considerarsi o meno tempestiva per tutte le annualità in contestazione.
Fonte: Cass. 20 febbraio 2023 n. 5243
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