mercoledì 22/02/2023 • 06:00
La Corte di Appello di Torino, con la sentenza del 6 novembre 2022, ha osservato che, in caso di pluralità di CCNL, la retribuzione da assumere come base di calcolo per la determinazione del minimale contributivo è quella stabilita sulla base dei CCNL stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.
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Nel caso in esame, l'INPS di competenza aveva contestato ad una società la violazione dell'art. 1, c. 1, Legge 389/89 per aver applicato ai proprio dipendenti con mansioni di promoter e merchandiser il CCNL dipendenti esercenti attività di marketing sottoscritto da CISAL e ANPIT anziché il CCNL Commercio Confesercenti.
Secondo gli ispettori, il CCNL applicato non era idoneo ad individuare il minimale contributivo, poiché sottoscritto da organizzazioni sindacali non ritenute le più rappresentative sul piano nazionale.
La società impugnava giudizialmente il verbale ed il Tribunale adito affermava che, ai sensi dell'art. 1, DL 338/89 per come autenticamente interpretato dall'art. 2, c. 25, Legge 549/95, il CCNL Commercio Confesercenti fosse quello da prendere in considerazione. Ciò, in quanto sottoscritto dalle organizzazioni dotate di maggiore rappresentatività, ovvero Confesercenti e CGIL, CISL e UIL.
In considerazione di quanto sopra esposto, il Tribunale dichiarava la società debitrice nei confronti dell'INPS dell'importo indicato nel verbale di accentramento a titolo di contributi omessi con riferimento al CCNL Commercio Confesercenti per la determinazione del minimale contributivo, oltre alle sanzioni amministrative da quantificarsi ai sensi dell'art. 116, c. 10, L. 388/2020.
Avverso la decisione di primo grado, la società ricorreva in appello, lamentando che il Tribunale non aveva considerato l'assoluta specificità ed unicità del CCNL Cisal/Anpit e non aveva indagato se, nel caso di specie, vi fosse o meno una pluralità di CCNL per la medesima categoria che, ai sensi dell'art. 2, c. 25, Legge 549/95, costituisce il presupposto per la comparizione tra CCNL.
La normativa di riferimento
L'art. 1, c. 1, DL 338/1989, conv. con modificazioni nella Legge 389/1989, dispone che “la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo”.
Ai sensi dell'art. 2, c. 25, Legge 549/95 il sopra citato articolo deve essere interpretato nel senso che “in caso di pluralità di contratti collettivi intervenuti per la medesima categoria, la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria”.
La soluzione della Corte d'Appello
La Corte d'Appello osserva che l'INPS si è limitato ad invocare il rispetto del minimale contributivo senza contestare nel merito la sussistenza degli elementi di fatto addotti dalla società a sostegno della diversità del lavoro svolto dagli addetti al marketing operativo e della conseguente inesistenza del presupposto di applicabilità dell'art. 1, del D.L. 338/89 così come interpretato dall'art. 2, comma 25, della L. 549/1995.
Ad avviso del Corte distrettuale è indubbio tanto la specificità della professionalità dei promoters e dei merchandiser quanto la loro appartenenza ad una categoria diversa da quella degli addetti al marketing generico.
Pertanto, il riferimento specifico, per la determinazione dell'importo retributivo ai fini previdenziali, alla retribuzione dovuta ai lavoratori del settore del marketing operativo, esclude che l'obbligo contributivo in capo al datore di lavoro debba essere parametrato in base alla retribuzione dovuta ai sensi del CCNL Commercio Confesercenti.
La Corte d'appello evidenzia, infine, che “l'accertata inesistenza del presupposto della pluralità di contratti collettivi applicabili determina di per sé l'illegittimità della disapplicazione del contratto collettivo cui le parti, nell'esercizio del principio di libertà sindacale di cui all'art. 39 Cost. hanno aderito”. Ne consegue, pertanto, l'accoglimento del ricorso presentato dalla società e la condanna dell'Istituto a rimborsarle le spese di entrambi i gradi del giudizio.
Fonte: Appello Torino 6 novembre 2022
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