lunedì 20/02/2023 • 06:00
Nel caso in cui l'Agenzia delle Entrate inviti il contribuente al contraddittorio e quest'ultimo si sia sottratto, occorre valutare la possibilità per l’Ufficio di procedere legittimamente o meno ad accertamento del reddito in via presuntiva sulla base di dati parametrici.
Con l'ordinanza n. 466/2023, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso proposto dall'Agenzia delle entrate riconoscendo la validità, ai fini probatori, dell'accertamento parametrico, nella misura in cui l'Ufficio abbia attivato regolarmente il contraddittorio endoprocedimentale, che giustifica la formazione di un sistema di presunzioni semplici la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati, ma dalla valutazione della mancata partecipazione al contraddittorio del contribuente. La Corte, inoltre, ha cassato la sentenza impugnata per avere i giudici di appello espresso un giudizio, “meramente assertivo e apodittico, di inadeguatezza dello strumento matematico-statistico posto a fondamento dei calcoli parametrici” e per aver ritenuto che tale strumento da solo non poteva costituire il fondamento della prova presuntiva di maggiori ricavi, nonostante il contribuente, ritualmente invitato, non si fosse presentato al contraddittorio. I fatti di causa I giudici di secondo grado rigettavano l'appello dell'Agenzia delle Entrate avverso la decisione di primo grado, con cui era stato accolto il ricorso del contribuente ed annullato l'accertamento che aveva rideterminato l'ammontare dei ricavi dichiarati in quanto inferiori a quelli derivanti dall'applicazione dei parametri previsti dall'art. 3 c. 181 e s. L. 549/95. La CTR evidenziava che tale scostamento costituiva una presunzione semplice e che lo strumento matematico-statistico non poteva costituire da solo il fondamento della prova presuntiva di maggiori ricavi, né esimeva l'Ufficio dal condurre una più approfondita analisi della particolare situazione del contribuente o specifiche attività di controllo, controprove e verifiche dell'applicazione dei dati alla realtà del contribuente. Con il ricorso per Cassazione l'Agenzia ha eccepito che i giudici avessero negato valore di prova presuntiva dei parametri oltre ad aver tralasciato di rilevare l'efficacia probatoria che a tali strumenti doveva riconoscersi nel caso in cui il contribuente si fosse sottratto al contraddittorio, all'uopo instaurato dall'Ufficio. La posizione della Corte di Cassazione La Cassazione, nell'ordinanza in commento, ha riconosciuto la correttezza delle eccezioni dell'Ufficio dando seguito al proprio consolidato l'orientamento secondo il quale il procedimento standardizzato trova il proprio punto centrale nell'obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale, che consente l'adeguamento degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, determinando il passaggio dalla fase statica (gli standard come frutto dell'elaborazione statistica) alla fase dinamica dell'accertamento per mezzo dell'applicazione degli standard al singolo destinatario dell'attività accertativa (richiama Cass. n. 26635/2009). Ha poi richiamato un proprio precedente (Cass. n. 14981/2020) con cui si prendeva atto del recente intervento in materia da parte della Corte di giustizia UE (C-648/16), in tema di compatibilità dello strumento matematico-statistico degli studi di settore (rinvio gel giudice italiano) sia rispetto alla normativa IVA unionale riguardante la corretta formazione della base imponibile per un'operazione effettuata a titolo oneroso, la quale deve essere costituita dal corrispettivo effettivamente ricevuto a tal fine dal soggetto passivo, sia rispetto ai principi di neutralità e proporzionalità. Evidenziava, quindi, che la Corte UE aveva ritenuto la “compatibilità” alla norma unionale nonché ai principi di neutralità fiscale e di proporzionalità della norma italiana che consente all'Ufficio, a fronte di gravi divergenze tra i redditi dichiarati ed i redditi stimati sulla base di studi di settore, di ricorrere al metodo induttivo, con imposizione di una maggiorazione dell'IVA, a condizione che sia consentito al contribuente di contestare, sulla base di tutte le prove contrarie di cui disponga, le risultanze derivanti da tale metodo e di esercitare il proprio diritto alla detrazione dell'imposta (v. C-648/16, Fontana, e Cass. nn. 8854/2019 e 14981/2020). Nel cassare la sentenza impugnata, la Cassazione ha evidenziato che è proprio il contraddittorio a dare fondamento all'accertamento standardizzato, giustificando la formazione di un “sistema di presunzioni semplici la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati, ma, appunto, dalla valutazione della mancata partecipazione al contraddittorio del contribuente”. La posizione della Corte UE Data per acquisita la differenza ontologica tra l'imposizione diretta e l'IVA, con l'evidente “difficoltà” di ricalcolo della base sua base imponibile che prescinda dalle operazioni “realmente” effettuate, si evidenziano, brevemente, due aspetti emergenti dagli unici due precedenti della Corte UE (C-648/2016 e C-576/2015) in tema di compatibilità alla Direttiva IVA 112/2006 degli strumenti presuntivi di ricostruzione della base imponibile IVA. In primo luogo si dà conto che dagli articoli 242, 244 e 250 della Dir. IVA emerge l'obbligo in capo ai soggetti passivi IVA di tenere una contabilità adeguata, di archiviare tutte le fatture e di presentare una dichiarazione in cui figurino tutti i dati necessari per determinare l'importo dell'IVA esigibile. Cosicché la mancata tenuta di una contabilità che permetta l'applicazione dell'IVA e il suo controllo da parte dell'Erario, oltre all'assenza di registrazione delle fatture emesse e pagate, nonché l'omessa dichiarazione del volume d'affari complessivo, sono tali da impedire l'esatta riscossione dell'imposta, consentendo di conseguenza agli Stati membri di considerare simili violazioni alla stregua di un'evasione fiscale che, come tale, si pone in contrasto rispetto all'obbligo degli Stati membri di tutelare gli interessi finanziari dell'UE. È così consentito all'Erario di presumere l'esistenza di operazioni attive del soggetto passivo e, quindi, di determinare la base imponibile IVA in funzione degli elementi di fatto di cui esso dispone, in applicazione di norme non previste dalla menzionata direttiva. In tali casi però, ricorda la Corte UE, il principio di neutralità fiscale, che garantisce la detrazione d'imposta, non può essere validamente invocato da un soggetto passivo che abbia intenzionalmente preso parte ad una frode dissimulando operazioni imponibili ed entrate, mettendo in pericolo il funzionamento del sistema comune dell'IVA. Né tale situazione, di contro, è comparabile a quella dei soggetti passivi che rispettano i loro obblighi in materia di contabilità, di dichiarazione e di pagamento dell'IVA. Il secondo aspetto, analizzato in C-648/2016 (come detto su rinvio italiano), riguarda la riconosciuta possibilità all'Erario di determinare l'importo dell'IVA sulla base del volume d'affari accertato induttivamente sulla scorta di studi di settore “a condizione di rispettare i principi di neutralità dell'imposta e di proporzionalità”. Per quanto attiene a tale ultimo principio, la Corte UE ne ha ritenuto la compatibilità rispetto agli studi di settore ai fini della determinazione induttiva del volume d'affari, purché sia consentito al contribuente di addure la prova contraria e sia garantito il suo diritto di difesa “durante tutto il corso del procedimento di rettifica fiscale”. Oltre a ciò, si deve consentire al soggetto passivo non solo di contestare tanto l'esattezza quanto la pertinenza dello studio di settore adoperato ma, soprattutto, qualora l'applicazione del metodo presuntivo implichi per il contribuente di dover provare fatti negativi, “il principio di proporzionalità esige che il livello di prova richiesto non sia eccessivamente elevato”, consentendo in tal modo, forse, di riequilibrare l'evidente sproporzione tra soggetto passivo ed Erario nei contraddittori endoprocedimentali in materia.
LA SOLUZIONE
Se da un lato, come riconosciuto anche dalla Corte UE, è consentito all’Ufficio, a fronte di gravi divergenze tra i redditi dichiarati ed i redditi stimati sulla base di studi di settore, di ricorrere ad un metodo standardizzato di ricalcolo del reddito del contribuente, di contro a tale ultimo soggetto deve essere sempre garantito, fuori dei casi di frode accertata, di contestare, sulla base di tutte le prove contrarie di cui disponga, le risultanze derivanti dal metodo accertativo utilizzato nonché di esercitare il proprio diritto alla detrazione dell’IVA.
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