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lunedì 13/02/2023 • 06:00

Caso Risolto Antiriciclaggio

Omessa segnalazione di operazione sospetta: gli obblighi dei verificatori

La contestazione per omessa segnalazione di operazione sospetta impone agli organi preposti all’accertamento di individuare in quale delle due fattispecie tipizzate dal legislatore - art. 58 c. 1 e 2 D.Lgs. 231/2007 - sia inquadrabile il fatto concreto, ai fini della configurabilità della violazione “qualificata”.

di Giuseppe Alfieri - Avvocato

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A seguito di una verifica fiscale svolta dalla Guardia di Finanza su di una società, cliente di uno studio di consulenza contabile e fiscale, il Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria ha provveduto ad avviare un controllo avente ad oggetto l'adempimento dell'obbligo di segnalazione di operazione sospetta da parte dei professionisti componenti detto studio che offre servizi di assistenza contabile e consulenza tributaria.

Dal controllo tributario, per i profili di responsabilità emersi, è scaturito un procedimento penale per sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte attraverso il noto schema delle “frodi carosello”.

Nel dettaglio, le evidenze acquisite in sede di indagine penale hanno successivamente costituito il presupposto in forza del quale la Polizia Valutaria ha sottoposto a verifica lo studio professionale, peraltro estraneo ai fatti contestati dalla Procura competente.

Gli esiti del controllo antiriciclaggio sono stati formalizzati in un PVC la cui parte narrativa ha riportato un resoconto dettagliato del capo di imputazione - art. 11 D.Lgs. 74/2000 - richiamando: le informazioni acquisite tramite le banche dati in uso al corpo; i riscontri presso la sede della società e sui fornitori della stessa; la ricostruzione del sistema fraudolento; la quantificazione della frode fiscale; le intercettazioni ambientali.

La G.d.F. si è quindi “limitata” a verificare se, rispetto alle condotte già accertate in sede penale, i medesimi professionisti avessero autonomamente maturato elementi di sospetto in relazione all'operatività della società cliente e, avendone analizzato il dettaglio, per quale ragione non avessero poi ritenuto procedere ex art. 35 D.Lgs. 231/2007.

Secondo gli accertatori, in buona sostanza, i professionisti, se avessero correttamente monitorato la complessiva operatività del cliente avrebbero potuto maturare più ragionevoli sospetti sulla natura e congruità delle operazioni poste in essere, tali da interessare l'Unità di Informazione Finanziaria della Banca d'Italia o l'Organismo di Autoregolamentazione.

La G.d.F. ha quindi proceduto alle relative contestazioni per omesse segnalazioni di operazioni sospette.

I rilievi formulati all'interno del PVC

Quanto ai rilievi, in luogo del dettaglio delle operazioni contestate quali omesse segnalazioni, il PVC ha enumerato, per le annualità di riferimento, il solo volume totale di operazioni eseguite senza argomentare né specificare quali di esse sarebbero dovute confluire, di volta in volta e tempo per tempo, nel flusso segnaletico ex art. 35 D.Lgs. 231/2007.

L'impianto sanzionatorio

Tale omissione va infatti letta insieme al disposto dell'art. 58 D.Lgs. 231/2007 che disciplina due differenti tipi di violazione: una “semplice”, al comma 1, ed una “qualificata”, al comma 2, cui si associano altrettanti impianti sanzionatori, con un livello di gravità, sulla base dei minimi edittali del secondo comma, evidentemente molto più gravoso al ricorrere degli estremi di una violazione qualificata dell'obbligo di segnalazione di operazione sospetta.

Ebbene, i verbalizzanti, lungi dall'identificare quale delle due violazioni fosse addebitabile allo studio professionale e conseguentemente formulare in maniera non equivoca e debitamente motivata il capo di incolpazione, hanno letteralmente rimesso all'Amministrazione procedente l'eventuale applicazione della disciplina sanzionatoria prevista dall'attuale art. 58 c. 1 (carattere non qualificato) o di quella prevista dal 58 c. 2 (carattere qualificato).

I profili di illegittimità del PVC

Tale rimessione alla discrezionalità amministrativa è evidentemente illegittima perché viola il diritto di difesa costituzionalmente garantito: al Ministero dell'Economia e delle Finanze spetta, infatti, l'applicazione della sanzione rispetto alla violazione contestata dalla Polizia Valutaria.

Sul punto la giurisprudenza di merito è chiara (e consolidata) laddove sancisce che “l'atto di contestazione deve peraltro contenere indicazioni sufficienti ad assicurare, fin dalla fase del procedimento amministrativo che precede l'emissione dell'ordinanza-ingiunzione, la tempestiva difesa dell'interessato (Tribunale sez. XIII - Roma, 02/10/2018, n. 18729)”.

Sempre sul punto, (Cassazione civile sez. VI - 11/07/2022, n. 21904) la Corte Suprema ha ribadito che esiste un principio di correlazione tra fatto contestato e fatto assunto a base della sanzione irrogata, il che, traslato nel caso che ci occupa, si traduce nella imprescindibilità da parte degli accertatori di determinare in sede di accertamento se al soggetto incolpato sia addebitabile la violazione ex comma 1 o 2 dell'art. 58, trattandosi di due livelli di responsabilità amministrativa, il secondo dei quali è indissolubilmente legato ad elementi fattuali tipici e, ex se, speciali rispetto al genus della violazione non qualificata.

Questo principio, come eccepito nel caso di specie, viene violato “tutte le volte in cui la sanzione venga comminata per una fattispecie, individuata nei suoi elementi costitutivi e nelle circostanze rilevanti delineate dalla norma, diversa da quella attribuita al trasgressore in sede di contestazione, posto che in tali casi viene leso il diritto di difesa del trasgressore medesimo” (Cassazione civile sez. VI - 11/07/2022, n. 21904).

Ed è il risultato a cui invece si arriverebbe riconoscendo la legittimità della rimessione operata dalla Polizia Valutaria dopo quasi due mesi di attività ispettiva nei confronti dello studio professionale: un paradosso, affatto trascurabile, per cui si richiederebbe al Ministero di comminare una sanzione, peraltro non individuata nei suoi elementi costitutivi per espressa ammissione dei verificatori, diversa da quella attribuita, in maniera comunque generica, all'asserito trasgressore.

Tale omissione non è infatti ammissibile né può esser sopperita da un generico rinvio all'operatività complessiva della società cliente dello studio professionale, peraltro accertata con strumenti ed attività investigative non replicabili dal soggetto incolpato.

Altrettanto illegittima è la rimessione al Ministero circa la scelta della violazione, perché attribuisce una non prevista facoltà di riesame del merito dei fatti già accertati: all'autorità competente spetta infatti l'applicazione della sanzione e la scelta della misura in cui essa debba essere irrogata.

La violazione delle “istruzioni operative” di cui alla Circolare MEF del 17.6.22, Prot. DT56499

Quanto all'obbligo a carico dei verificatori di indicare, inequivocabilmente, la norma violata all'interno dell'art. 58 D.Lgs. 231/2007, gli stessi hanno ampiamente disatteso le “istruzioni operative relative al procedimento sanzionatorio […]”  contenute nella Circolare MEF del 17.6.22, Prot. DT56499.

Tale documento infatti prevede che “L'impianto sanzionatorio delineato per la condotta di omessa segnalazione di operazione sospetta […]  è articolato in due distinte fattispecie tipiche, caratterizzate da elementi costitutivi e meccanismi sanzionatori diversi: - l'art. 58, comma 1 prevede la fattispecie “base”, non connotata dalla presenza di ulteriori elementi qualificanti della condotta materiale. Per tale violazione è prevista l'applicazione della sanzione pecuniaria nella misura di € 3.000; - l'art. 58, comma 2 individua una fattispecie “qualificata” di illecito, tipizzata dal legislatore in ragione della presenza, alternativa o cumulativa, di ulteriori elementi costitutivi del fatto materiale, consistenti nel carattere “grave”, “ripetuto”, “sistematico”, “plurimo” della condotta che dà luogo alla violazione. In tal caso, la sanzione da applicarsi spazia tra un minimo e un massimo edittali (da 30.000 euro a € 300.000 euro)”.

Il tutto a tacere dell'inadempiuto obbligo che la Circolare pone a carico degli accertatori laddove “l'Autorità verbalizzante, nel qualificare la fattispecie quale violazione dell'obbligo di segnalazione di operazioni sospette, è altresì tenuta, nel formulare la contestazione, ad individuare in quale delle due fattispecie tipizzate dal legislatore sia sussumibile il fatto concreto, mediante un puntuale e circostanziato riscontro circa la eventuale sussistenza, in particolare, delle circostanze di fatto corrispondenti ai parametri stabiliti al comma 2, a i fini della configurabilità della fattispecie di violazione ‘qualificata'”.

La rimessione alla discrezionalità valutativa del MEF non è permessa proprio perché la qualificazione del fatto è compito specifico dei verificatori, mentre la facoltà di modifica in peius o in melius che la Circolare riconosce al Ministero si basa tuttavia su un fatto già circostanziato e qualificato, elemento non rinvenibile nel caso di specie.

LA SOLUZIONE

In caso di contestazione di omessa segnalazione di operazioni sospette è illegittimo il relativo processo verbale che non motivi, dando specifica evidenza delle circostanze di fatto rilevate, l'applicazione dell'art. 58 c. 2 D.Lgs. 231/2007 cui è associato il più grave trattamento sanzionatorio a carico dell'autore materiale della violazione.

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