giovedì 09/02/2023 • 06:00
La Cassazione, con l'ordinanza n. 2122 del 24 gennaio 2023, ha ribadito che, in caso di demansionamento, grava sul lavoratore l'onere della prova non solo dell'illiceità dei provvedimenti datoriali, ma anche dell'esistenza del danno. Quest'ultima prova può essere offerta con qualsiasi mezzo, anche indiziario.
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Il codice civile (art. 2103 c.c.) prevede che il lavoratore debba essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all'inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito, ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte. A seguito della riforma del Jobs Act, in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale.
Viene così individuato l'oggetto generale del contratto di lavoro subordinato nelle mansioni convenute dalle parti al momento dell'assunzione, ovvero quelle successivamente individuate dal datore di lavoro, nel legittimo esercizio dello jus variandi datoriale.
A contrario, l'art. 2103 c.c. sancisce il c.d. divieto al declassamento statuendo – nei limiti e nei modi della disposizione stessa – l'impossibilità di adibire il prestatore di lavoro a mansioni inferiori rispetto a quelle previamente assegnate.
Ne consegue che la condotta datoriale che assegni al dipendente nuove
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