lunedì 06/02/2023 • 06:00
La Corte di Cassazione, con ordinanza 770 del 12 gennaio 2023, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato ad un lavoratore per essersi rifiutato di eseguire la propria prestazione secondo le modalità indicate dal datore di lavoro, se quest'ultimo ha violato l'obbligo di sicurezza.
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Nel caso in esame, la Corte d'appello, in riforma della sentenza di primo grado, aveva annullato il licenziamento per giusta causa intimato ad una lavoratrice per aver consentito, mentre lavorava alla cassa, che tre clienti prelevassero merce in quantità maggiore di quella pagata. La lavoratrice non li aveva invitati a depositare la merce sul nastro trasportatore così come prescritto nel regolamento aziendale.
La Corte d'appello, nel formulare la sua decisione, aveva accertato che:
Ad avviso della Corte d'appello “il datore di lavoro, tenuto a proteggere i dipendenti, non poteva pretendere che la cassiera si ponesse da sola in contrasto con quei clienti, quando la stessa caporeparto e la guardia giurata avevano deciso di non intervenire e di attendere i carabinieri, il cui intervento avrebbe consentito, come poi è avvenuto, di recuperare la merce non pagata”.
La Corte d'appello aveva così condannato la società a reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro e al risarcimento commisurato alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello della reintegra, in misura non superiore a 12 mensilità, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
La società soccombente decideva di ricorrere in cassazione a cui resisteva con controricorso e ricorso incidentale condizionato la lavoratrice; entrambe le parti depositavano memoria.
La soluzione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, in primo luogo, ha ricordato che l'ambito di applicazione dell'art. 2087 c.c.“rende necessario l'apprestamento di mezzi adeguati di tutela dell'integrità psicofisica dei lavoratori nei confronti dell'attività criminosa di terzi nei casi in cui la prevedibilità del verificarsi di episodi di aggressione a scopo di lucro sia insita nella tipologia di attività esercitata (…)” (cfr. Cass., sentenza n. 7405/2015).
La Corte di Cassazione ha, altresì, evidenziato che l'inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione in quanto al contratto di lavoro si applica, essendo un contratto a prestazioni corrispettive, l'art. 1460, comma 2, c.c. Articolo, secondo il quale la parte inadempiente si può rifiutare di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto, avuto riguardo alle circostanze concrete, non risulti contrario a buona fede (cfr. Cass. n. 434/2019, 14138/2018 e 11408/2018).
In questo contesto, si considera legittimo il rifiuto del lavoratore di eseguire la propria prestazione (con conservazione del diritto alla retribuzione) se il datore di lavoro viola l'obbligo di sicurezza di cui all'art. 2087 c.c. Non possono, infatti, ricadere sul lavoratore conseguenze sfavorevoli in ragione della condotta inadempiente del datore di lavoro (cfr. Cass. n. 28353/2021 e 6631/2015), venendo in gioco un diritto costituzionalmente garantito, ovvero quello alla salute.
In tema di licenziamento per giusta causa, ad avviso della Corte, il rifiuto del lavoratore di adempiere la prestazione secondo le modalità indicate dal datore di lavoro è idoneo, ove non improntato alla buona fede, a far venir meno la fiducia nel futuro adempimento e a giustificare il recesso. E l'inottemperanza ai provvedimenti datoriali, seppur illegittimi, deve essere valutata sotto il profilo sanzionatorio, alla luce del summenzionato art. 1460, c. 2, c.c. (cfr. cass. 1277/2019).
Ad avviso della Corte di Cassazione, i giudici di merito, applicando questi principi al caso di specie, hanno correttamente ritenuto che la società era venuta meno all'obbligo di protezione della lavoratrice rispetto ai comportamenti intimidatori dei tre clienti o, comunque, percepiti tali dalla stessa secondo un atteggiamento di buona fede (tant'è che ha chiesto l'intervento di una guardia giurata) e come tali idonei ad esporre a rischio la sua incolumità.
In conclusione, la Corte di Cassazione ha ritenuto che l'inadempimento posto in essere dalla lavoratrice, inteso non come rifiuto di svolgere la propria prestazione lavorativa bensì come sua esecuzione in maniera non conforme alle modalità prescritte dal datore di lavoro, è da considerarsi legittimo e giustificato ai sensi dall'art. 1460, c. 2, c.c.
Pertanto, come correttamente ritenuto dai giudici di merito, il fatto addebito alla lavoratrice non può che considerarsi privo di rilievo disciplinare con conseguente applicazione nei suoi confronti della tutela reintegratoria attenuata ex art. 18, comma 4, dello Statuto dei Lavoratori.
Fonte: Cass. 12 gennaio 2023 n. 770
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