Le regole del patto di prova contenute nell'art. 2096 cod. civ. sono note:
- deve risultare da atto scritto
- obbliga le parti del contratto a consentire (per l'imprenditore) e ad effettuare (per il lavoratore) l'esperimento che forma oggetto della prova
- facoltizza entrambe le parti a recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d'indennità, durante la sua esecuzione.
Il termine massimo di durata di sei mesi è indicato altrove (nel r.d.l. n. 1825 del 1924), ed è in genere ribadito nei singoli contratti collettivi.
Meno noto sono i problemi - ed il contrasto giurisprudenziale - che origina il patto di prova sul tema della sufficiente determinatezza del suo oggetto.
Il patto, infatti, non solo deve risultare da atto scritto, ma deve anche contenere lo specifico riferimento alla mansione da espletarsi, la cui mancanza costituisce motivo di nullità del patto, con automatica conversione dell'assunzione in definitiva sin dall'inizio.
Se del caso, tale indicazione delle mansioni può essere operata con un rinvio “alle previsioni del contratto collettivo ove sia in esso riportata in modo sufficientemente chiaro e preciso”.
Questa regola opera a prescindere dal livello contrattuale e dalla natura della mansione assegnata, dal momento che sia “la possibilità per il lavoratore di impegnarsi secondo un programma ben definito in ordine al quale poter dimostrare le proprie attitudini”, sia “la facoltà del datore di lavoro di esprimere la propria valutazione sull'esito della prova, presuppongono che questa debba effettuarsi in ordine a compiti esattamente identificati sin dall'inizio” (Cass. 21698/2006, Cass. 14538/2009).
Scorrendo i repertori, si notano una serie di divergenze incentrate sulla maggiore o minore chiarezza di alcune qualifiche quali “Responsabile di”, o “operatore di primo livello” attribuite al neoassunto nel contratto individuale, o previste nel contratto collettivo, chiamato in soccorso per fare chiarezza sul punto, quando il contenuto del contratto individuale era piuttosto sfuggente.
Il contrasto di giurisprudenza
Analizzando più da vicino la questione, si scoprono anche soluzioni contrastanti adottate dalla giurisprudenza della Cassazione e da quella di merito.
La prima, anche nel 2022, ha ritenuto che la specificazione delle mansioni oggetto della prova possa avvenire “tramite il rinvio per relationem alle declaratorie del contratto collettivo con riferimento all'inquadramento del lavoratore, sempre che il richiamo sia sufficientemente specifico e riferibile alla nozione classificatoria più dettagliata, sicché, se la categoria di un determinato livello accorpi un pluralità di profili, è necessaria l'indicazione del singolo profilo, mentre risulterebbe generica quella della sola categoria” (Cass. 14.1.2022, n. 1099).
In altre parole, il rinvio al CCNL non esclude la genericità delle mansioni assegnate - e la conseguente nullità del patto di prova - specie quando, come nel caso esaminato dalla Corte, la definizione del CCNL relativa alla posizione assegnata “evoca fra i compiti di possibile adibizione”, accanto a quelli attribuiti, altri “‘analoghi', espressione che amplia in maniera indefinita l'ambito delle mansioni in concreto riconducibili al livello considerato” (così Cass. 1099/22 cit.).
Qualche mese prima, la stessa Cassazione, nel ribadire l'identico principio ed il consolidato orientamento in cui si inserisce, aveva definito “isolato” e “non condivisibile” il precedente invocato dall'azienda ricorrente (Cass. n. 665/2015) secondo il quale per la validità di un patto di prova è sufficiente il “solo riferimento alla categoria lavorativa prevista dal contratto collettivo, perché permette l'assegnazione del lavoratore ad uno dei plurimi profili rientranti in esso, così da consentire maggiori opportunità di utilizzazione del lavoratore in azienda” (Cass. 12.10.2021 n. 27785).
Contrariamente a questi approdi della Suprema Corte, la giurisprudenza di merito, anche recentemente, ha mostrato di pensarla diversamente allo stesso proposito.
La Corte d'Appello di Milano, con sentenza n. 1588 dell'8 febbraio 2022, ha confermato una sentenza di primo grado, dello stesso foro, che aveva ritenuto che “il patto di prova che faccia riferimento alla categoria lavorativa prevista dal contratto collettivo va ritenuto sufficientemente specifico, poiché volta all'assegnazione del lavoratore ad uno dei plurimi profili rientranti in esso, in modo da consentire maggiori opportunità di utilizzazione del lavoratore in azienda”, aderendo chiaramente all'orientamento che la Cassazione isola e definisce “non condivisibile”. Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 351 del 17 gennaio 2019, ha condiviso l'identico ragionamento della Corte d'Appello di Milano, specificando espressamente anche il richiamo alla medesima sentenza della Cassazione n. 656/2015.
Il contrasto è evidente, ed a prima vista sembrerebbe che i dipendenti di aziende più incaute o frettolose nella definizione delle mansioni oggetto del patto di prova debbano attendere il terzo grado di giudizio per ottenere ragione.
Le cautele da adottare: un parere
Se ci si addentra nelle motivazioni delle sentenze, tuttavia, si notano alcune caratteristiche ricorrenti.
La Suprema Corte, quando ha richiesto un “richiamo sufficientemente specifico” alle declaratorie del Ccnl, “riferibile alla nozione classificatoria più dettagliata” era in presenza di contratti che, in punto di prova, rinviavano laconicamente - per fare alcuni esempi - alle mansioni dell'”operaio di 5 Livello del Ccnl applicabile” (Cass. 27785/21) o ai “compiti conformi a quelli previsti per il personale dell'Area Operativa” (Cass. n. 5509/15). Definizioni ampie e fungibili ritenute “inidonee, in difetto di altre indicazioni, a consentire la identificazione ex ante delle mansioni di concreta adibizione” del lavoratore.
Al contrario, la maggiore elasticità dimostrata dalla giurisprudenza di merito riguarda, in genere, personale più professionalizzato che accetta di mettersi alla prova su incarichi che coincidono con pregresse esperienze lavorative, o con le competenze che si sparpagliano (e spesso, enfatizzano) nel curriculum presentato in azienda.
Per dirla con il Tribunale di Milano “il contratto, nel prevedere quali mansioni del ricorrente quella di ‘Direzione Generale del Settore Commerciale dell'Azienda' e di ‘Sales Operations Director a diretto riporto dell'Amministratore Delegato” era sufficientemente specifico. Il ricorrente, proprio in virtù della propria esperienza professionale di imprenditore operante nel medesimo settore della società convenuta, è certamente a conoscenza delle attività e delle responsabilità proprie dei due ruoli sopracitati” (Trib. Milano, n. 1769/2018, inedita). In alternativa, e con una minima variante, lo stesso foro insiste sulla natura concettuale degli incarichi assegnati: “trattandosi di lavoro intellettuale e non meramente esecutivo, non appare ragionevolmente esigibile che le mansioni fossero indicate in dettaglio dal datore di lavoro” (Corte d'App. Milano, n. 1588/2022 cit.; Trib, Milano, 8 aprile 2017, n.730).
LA SOLUZIONE
Nel panorama descritto, il consiglio operativo è quello di indicare le mansioni, oggetto dell'esperimento, o direttamente nel punto dedicato al patto di prova, o tramite un rinvio - sempre all'interno dello stesso contratto individuale - al punto in cui sono illustrati gli incarichi assegnati al neo assunto.
Evitare il rinvio per relationem al Ccnl significa mettersi al riparo da un inutile rischio di contenzioso, per giunta dall'esito incerto.
Nel caso in cui si decida diversamente, il rinvio al Ccnl dovrà essere tanto più specifico quanto più ampia - e popolata di profili professionali - sarà l'area del Ccnl a cui si rinvia.
Conformi al primo orientamento: Cass. 14.1.2022, n. 1099; Cass. 12.10.2021 n. 27785; Cass. 13.4.2017, n. 9597; Cass. 19.3.2015, n. 5509; Cass. 20.5.2009, n. 11722; Cass. 9.6.2006, n. 13455.
Conformi al secondo orientamento: Cass. 16.1.2015, n. 665; Cass. 27.1.2011, n. 1957; Corte d'App. Milano, Sent. 8.2.2022, n. 1588; Trib. Roma, Sent. 17.1.2019, n. 351; Trib. Milano, Sent. 6.7.2018, n. 1769; Trib. Milano, Sent. 8.4.2017, n.730.