Le misure in materia fiscale
La legge di Bilancio per il 2023 (L 197/2022; GU 29 dicembre 2022 n. 303) vede la luce mantenendo il suo impianto originario anche sul fronte fiscale. Pochi alla fine gli emendamenti degni di menzione.
Resta quindi una manovra senza una visione di fondo e senza quello shock all'economia che chiedono le imprese, figlia tuttavia della meritoria volontà di tamponare il caro energia e i venti di crisi che ruotano intorno alle incertezze geo politiche. Il governo fa sapere che la riforma fiscale è una priorità e che si metterà prontamente al lavoro ad inizio anno, staremo a vedere.
Gli extraprofitti
La manovra fiscale modifica la norma sugli extra profitti, disegnando alla fine un contributo ispirato a quello del Reg. UE 1854/2022. Nei fatti si tratta di una sovraimposta IRES del 50% che colpisce gli stessi soggetti passivi della vecchia norma e una base imponibile calcolata sugli extraprofitti 2022, già colpiti dalla precedente disposizione.
Il contributo invero si distanzia da quello contemplato dal Regolamento per quanto riguarda i soggetti passivi, posto che la scelta italiana non si focalizza sull'estrazione e la raffinazione petrolifera ma agisce a valle, dove invero è più difficile individuare extra profitti. Inoltre, sembra che il nuovo contributo si cumuli al vecchio in quanto entrambi colpiscono una base imponibile che fa riferimento al 2022, il che fa affiorare rischi di censura di un prelievo che, soprattutto nella sua versione originaria, presentava forti profili di iniquità.
La flat tax
Confermati aumento della soglia della cosiddetta flat tax, flat tax incrementale (l'utilizzo del termine flat tax è improprio in entrambi i casi ma in questo secondo è davvero un ossimoro), abbattimento della tassazione dei premi di produttività, proroga del superbonus e una serie di crediti di imposta, tra cui il credito di imposta sulle spese di consulenza per le quotazioni in borsa, innalzato opportunamente a 500.000 euro.
Gli affrancamenti fiscali e le cripto attività
La legge di bilancio 2023 sarà poi ricordata per il profluvio di affrancamenti fiscali, dalla rivalutazione delle quote e dei terreni (con l'estensione alle partecipazioni negoziate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione), che però passa al 16%, fino alle quote di fondi di qualsivoglia natura, alle cripto attività e alle polizze, per cui l'aliquota dell'affrancamento è al 14%. Possibile anche affrancare gli utili cosiddetti black list con una aliquota del 9% (soggetti Ires) o 30% (soggetti Irpef) che scende di altri 3 punti percentuali in caso di “rimpatrio” effettivo in Italia dei dividendi, con l'intento di generare un impatto finanziario positivo, un po' sulla scorta della norma adottata dall'amministrazione Trump nel 2017. Rilevante anche l'assegnazione agevolata dei beni ai soci, la reintroduzione della regola di indeducibilità dei costi black list e la norma sulla tassazione dei veicoli societari esteri che detengono immobili in Italia, in qualche misura ridimensionata post emendamenti.
Le disposizioni sulle cripto attività restano sostanzialmente immutate, a parte per un non facile tentativo di disciplina del passato, lasciando importanti questioni aperte, su tutte l'incertezza circa il confine della nozione di cripto attività. Resta meritorio, comunque, il tentativo di disciplinare il fenomeno, riconducendolo alle attività finanziarie probabilmente osservando l'andamento delle criptovalute legato ai mercati e il loro essere acquistate con la speranza di futuri guadagni, e di superare l'ipotesi di assimilazione, proposta dall'Agenzia delle entrate in via interpretativa, alle valute estere, che destava moltissime perplessità.
La sanatoria fiscale
Imponente poi la sanatoria fiscale, allargata anche alle liti con l'Agenzia delle Dogane. Normativa a metà tra il premio e il perdono, sulla quale ha poco senso anche il gioco sui nomi di “tregua”, “pace” o “condono”, che abbraccia cartelle di pagamento (sui vecchi crediti si tratta invero più di un condono che lo Stato fa a stesso, vista l'enorme mole di crediti non riscossi, oltre i 1.100 miliardi, e in larghissima parte non riscuotibili e con oneri di riscossione più elevati dei recuperi), liti pendenti (fino in Cassazione) e liti potenziali, ovvero verbali e accertamenti. Tra le tante possibilità, un quid novi di rilevante interesse sono gli accertamenti con adesione super agevolati (con riduzione delle sanzioni ad 1/18), così come le conciliazioni giudiziali, anche per liti in Cassazione. In molte circostanze risulta applicabile più di una sanatoria e il contribuente deve compiere dei calcoli di convenienza.
Le misure in materia di lavoro
Una legge di Bilancio confezionata in poco più di un mese e condizionata dalla necessità di destinare una quota rilevante delle risorse al contenimento della bolletta energetica di imprese e famiglie.
Pur considerando questi limiti oggettivi, possiamo affermare che la prima manovra del nuovo Esecutivo abbia delineato un chiaro indirizzo dell'azione di governo per i temi del lavoro?
A parte la proroga di misure già esistenti, come le agevolazioni per l'assunzione di giovani, e la revisione del reddito di cittadinanza, gli interventi di maggiore spicco riguardano la riduzione del cuneo fiscale e le pensioni.
La riduzione del cuneo fiscale
L'abbattimento del c.d. cuneo fiscale, cioè della divaricazione tra costo del lavoro e retribuzione netta percepita dal lavoratore, si realizza con tre interventi destinati ad una platea ampia, ma non universali.
In ambito fiscale la manovra alleggerisce il prelievo d'imposta sui premi di risultato, portandolo dal 10% al 5%. Si tratta dell'imposta, sostitutiva dell'IRPEF e delle addizionali, applicabile ai premi aziendali riconosciuti ai lavoratori in presenza di un accordo sindacale e di evidenze oggettive di miglioramento della performance aziendale in un determinato periodo rispetto a quello di riferimento. Oltre al vincolo del risultato aziendale, il beneficio è condizionato ad altri due parametri: il reddito del lavoratore che nell'anno d'imposta precedente all'erogazione del premio deve risultare inferiore a 80.000 euro e l'ammontare del premio, che non può eccedere i 3.000 euro. Dunque, nella migliore delle ipotesi questa misura potrà portare al lavoratore un beneficio su base annua di 150 euro. Un risultato davvero modesto e un intervento fuori bersaglio, perché non corregge la principale criticità di questa disposizione: la previsione di un miglioramento “permanente” della performance aziendale che non è di questo mondo e, tantomeno, della congiuntura economica degli ultimi anni.
Più innovativa è la previsione dei commi da 48 a 51 sulla detassazione delle mance percepite dal personale del settore ricettivo e di somministrazione di alimenti e bevande. Nel limite del 25% del reddito da lavoro dipendente queste mance possono essere assoggettate a imposta sostitutiva del 5% e sono esenti da contribuzione. La previsione svela l'intento di far uscire dal sommerso queste liberalità, che gratificano -invero non di frequente- i lavoratori di alberghi, bar e ristoranti. Ne è prova il fatto che ai fini di detrazioni, deduzioni ed altri benefici, esse saranno comunque computabili. Il sospetto, però, è che sortirà l'effetto opposto: le mance “in nero” resteranno tali; i datori di lavoro meno inclini al rispetto delle regole “corrisponderanno” ai lavoratori in aggiunta alla paga tabellare delle somme a titolo di “mance” esenti da contributi, escluse dalla base di calcolo del TFR e tassate al 5%. In sintesi, la Manovra non introduce uno strumento per abbattere il cuneo fiscale, perché esso riguarda solo una categoria di lavoratori; ma nemmeno uno strumento di emersione, finalizzato a stimolare comportamenti virtuosi. Tutt'altro. L'unica efficace misura di riduzione del cuneo fiscale è la conferma per un altro anno dell'esonero contributivo del 2% per i lavoratori dipendenti con redditi fino a 35.000 euro, con la novità della elevazione al 3% per coloro che hanno redditi fino a 25.000 euro. Al riguardo, sorgono spontanee due obiezioni: ci si chiede in primo luogo se abbia senso ridurre il cuneo fiscale con interventi tampone di durata annuale. La riforma dell'IRPEF è stata varata solo un anno fa e così pure quella delle detrazioni per figli a carico con l'introduzione dell'assegno unico universale. Forse è tempo di rivedere la materia in modo strutturale e da questa osservazione nasce la seconda obiezione: perché ridurre proprio la contribuzione IVS, cioè quella per la pensione, quando è noto a tutti lo squilibrio ormai strutturale nei conti dell'INPS tra entrate contributive e uscite per prestazioni pensionistiche, che richiede ogni anno il soccorso delle risorse della finanza pubblica?
Le pensioni
La Manovra introduce una “nuova” tipologia di pensione anticipata denominata coraggiosamente trattamento di pensione anticipata flessibile, inserito nell'inedito art. 14, c. 1, DL 4/2019 che si accoda all'art. 14 (il decreto del reddito di cittadinanza e di Quota 100, per intenderci). Essa consiste nella possibilità sperimentale, per il solo anno 2023, di accedere alla pensione dell'INPS al raggiungimento di un'età anagrafica di almeno 62 anni e di un'anzianità contributiva di almeno 41 anni. Il trattamento pensionistico è riconosciuto per un valore mensile massimo di circa euro 2.600,00, cioè 5 volte il trattamento minimo di pensione, per tutte le mensilità di anticipo rispetto all'età prevista per la pensione di vecchiaia. La pensione anticipata flessibile, che viene riconosciuta con una finestra trimestrale, non è cumulabile con i redditi da lavoro dipendente o autonomo fino al compimento dell'età prevista per la pensione di vecchiaia, fatto salvo il reddito da lavoro autonomo occasionale nel limite di 5.000 euro annui. Questa nuova formula è stata anche definita dalla stampa come “Opzione uomo” e questa definizione coglie nel segno solo per un aspetto: la pensione flessibile non è interessante per le donne, dal momento che possono conseguire la “normale” pensione anticipata con 41 anni e 10 mesi di contributi. Che senso avrebbe per una donna anticipare la pensione di soli 10 mesi, se per ottenere questo minimo beneficio deve sopportare il tetto di 2.600 euro e il divieto di cumulo con eventuali redditi da lavoro fino all'età di 67 anni o più? Ma le stesse buone ragioni valgono in realtà anche per gli uomini, benché essi debbano attendere un anno in più delle donne per conquistare la pensione anticipata “normale”, a 42 anni e 10 mesi. In definitiva, questa opzione dovrebbe interessare davvero a pochi: non assomiglia né a Quota 100, né a Quota 102, rispetto alle quali alza il requisito di contribuzione da 38 a 41 anni, prospettando un effetto anticipatorio minimo e penalizzazioni troppo pesanti. Resterebbe da chiarire il significato dell'aggettivo “flessibile” attribuito ad una formula di accesso alla pensione che di flessibile pare non avere nulla. Lo si comprende, in realtà, con l'incentivo al trattenimento in servizio dei lavoratori previsto al comma 221 della Manovra, grazie al quale il dipendente che rinunci alla pensione anticipata flessibile per continuare a lavorare ottiene in cambio un beneficio economico. In particolare, la quota della contribuzione a suo carico, pari al 9,19% della retribuzione, non verrebbe più trattenuta ma lasciata in busta paga. Un decreto definirà i dettagli dell'incentivo, che a prima vista non pare però entusiasmante. In sostanza, nel 2023, per le lavoratrici e i lavoratori con almeno 41 anni di contributi la flessibilità potrebbe declinarsi in tre opzioni: 1. aderire alla pensione anticipata flessibile con tetto e divieto di cumulo 2. continuare a lavorare per 10 mesi in più (1 anno e 10 mesi per gli uomini) 3. continuare a lavorare rinunciando a circa un terzo della contribuzione (la quota a loro carico) per avere uno stipendio un po' più alto subito e, presumibilmente, una pensione un po' più bassa domani. Forse però la maggiore discontinuità della Manovra la troviamo nella pensione c.d. Opzione Donna, che con proroghe a singhiozzo ci accompagna “in via sperimentale” da ben 18 anni, essendo stata introdotta per la prima volta dalla Legge Maroni (Legge 243/2004). Le lavoratrici che al 31 dicembre 2022 hanno maturato almeno 35 anni di contributi possono accedere alla pensione nell'edizione 2023 solo se abbiano compiuto 60 anni di età e si trovino in una delle seguenti condizioni di disagio:
assistenza a portatore di handicap;
riduzione della capacità lavorativa pari o superiore al 74%;
perdita del posto di lavoro per licenziamento o appartenenza ad azienda coinvolta in un tavolo di crisi presso il MISE.
Il requisito di età può essere ridotto di un anno per ogni figlio, nel limite massimo di due anni. Il premio di fertilità non è previsto nella terza ipotesi, che consente sempre l'accesso a pensione a 58 anni indipendentemente dal numero di figli. Due osservazioni si impongono. La prima è che alla lavoratrice che voglia fruire di Opzione Donna non basterà più rinunciare ad una quota importante della pensione, per effetto dell'applicazione del metodo contributivo al calcolo dell'intera rendita; dovrà anche trovarsi in una delle descritte situazioni oggettive di disagio. La seconda considerazione è che il collegamento tra l'età di accesso a pensione e il numero di figli dati alla Patria solleva qualche sospetto di incostituzionalità.
Fonte: L 197/2022, GU 29 dicembre 2022 n. 303