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venerdì 30/12/2022 • 06:00

Fisco Locazioni brevi

Contrario al diritto UE l’obbligo del rappresentante fiscale per gli intermediari

Nelle locazioni brevi non è contrario al diritto unionale l’invio all’Erario dei dati dei contratti né l’applicazione e il versamento della ritenuta. Lo è invece imporre agli intermediari, non stabiliti in Italia e privi di stabile organizzazione, di nominare un rappresentante fiscale (C.Giust. UE C-83/21).

di Gabriele Damascelli - Avvocato

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  • Tempo di lettura 8 min.
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Secondo la C.Giust. UE 22 dicembre 2022 C-83/21 il diritto unionale non osta alla normativa fiscale in tema di locazioni immobiliari brevi, concernenti immobili situati nel territorio dello Stato membro, che prevede di raccogliere e comunicare all'Erario i dati relativi ai contratti di locazione stipulati a seguito della loro intermediazione e di prelevare una ritenuta alla fonte sull'imposta dovuta dai conduttori ai locatori nonchè di versarla all'Erario. 

Viceversa, osta al diritto unionale (art. 56 TFUE) una norma che imponga agli intermediari non stabiliti e privi di stabile organizzazione di nominare un rappresentante legale, in quanto restrizione sproporzionata alla libera prestazione dei servizi. 

La domanda, presentata nella controversia fra la società Airbnb e l'Entrate italiana, è relativa alla legittimità del regime fiscale dei servizi di intermediazione immobiliare riguardanti locazioni di durata non superiore ai 30 giorni. Il caso origina dal rinvio alla Corte di Giustizia UE da parte del Consiglio di Stato a seguito del ricorso presentato dalla Airbnb, la quale gestisce l'omonimo portale di intermediazione immobiliare su internet, consentendo di mettere in contatto i locatori che dispongono di alloggi e le persone che ricercano tali sistemazioni, riscuotendo dal cliente il corrispettivo per la fornitura dell'alloggio prima dell'inizio della locazione e trasferendolo al locatore dopo l'inizio della locazione, previa trattenuta di una percentuale da entrambi i soggetti (persone fisiche) quale corrispettivo del proprio servizio reso. 

Airbnb impugnava al TAR del Lazio il Provv. AE 12 luglio  2017 n. 132395 che attuava il regime fiscale controverso (DL 50/2017) eccependo che questo avesse introdotto una «regola tecnica» che richiedeva la previa notifica alla Commissione UE ai sensi dell'art. 5 par. 1 Dir. 2015/1535/UE, e che l'obbligo di trasmissione dei dati fiscali nonché di ritenuta d'imposta e di versamento all'Erario, unitamente a quello di nominare un rappresentante fiscale, violavano il principio della libera prestazione dei servizi (art. 56 TFUE) e contrastavano con le Dir. 2000/31/UE e Dir. 2006/123/UE. 

Quanto al primo aspetto, alla domanda se l'espressione «regola tecnica» di cui alla Dir. 2015/1535/UE comprendesse anche misure “fiscali” che non mirano a disciplinare un servizio specifico della società dell'informazione, ma che sono idonee a disciplinare l'esercizio concreto dell'attività nel territorio dello Stato interessato, la Corte UE ha ribadito (v. C.Giust. UE 8 ottobre 2020 C-711/19, p. 38) l'esclusione delle «disposizioni fiscali» (in quanto tali) dal campo di detta direttiva, ribadendone la natura di misure connesse a misure di carattere fiscale.

Quanto alla “compatibilità” della norma italiana con le Dir. 2000/31/UE e Dir. 2006/123/UE, la Corte conclude che i tre tipi di obblighi introdotti dall'Italia con il regime fiscale del 2017, rientrano nel «settore tributario», richiamando anche un proprio precedente sul punto (v. C.Giust. UE 27 aprile 2022 C 674/20, sentenza “Airbnb Ireland”).  

Riguardo l'obbligo di raccolta e comunicazione dei dati relativi ai contratti di locazione, questi sono inoltrati all'Erario sulla base di una misura che fa parte di una normativa tributaria, e le informazioni trasmesse sono, quanto alla loro sostanza, inscindibili da detta normativa, essendo le sole che identificano il soggetto debitore, grazie all'indicazione del luogo delle locazioni, dell'identità dei locatori, della base imponibile dell'imposta, in funzione degli importi percepiti e, di conseguenza, del suo ammontare. Idem per l'obbligo di ritenuta alla fonte dell'imposta, che presenta una «natura tributaria per eccellenza», consistente nel prelevare l'imposta in nome dell'Erario e nel versare a questo l'importo riscosso, nonché per la nomina di un rappresentante fiscale in Italia, misura volta a garantire l'efficace riscossione delle imposte.  Quanto infine alla compatibilità dei tre obblighi citati rispetto al divieto dell'art. 56 TFUE, la Corte ribadisce che il rispetto di tale norma si impone agli Stati membri anche nell'ambito di una normativa riguardante le imposte dirette (v. C.Giust. UE 23 gennaio 2014 C 296/12, p. 27).  

Circa l'obbligo di comunicazione dei dati, la Corte, operando un distinguishing rispetto ad un proprio precedente (v. C.Giust. 12 settembre 2019 C-299/17, p. 37), osserva che questo è imposto a tutti i soggetti terzi che intervengono in un processo di locazione immobiliare e si inserisce in una strategia complessiva di contrasto all'evasione fiscale, non essendo discriminatorio e non vertendo, in quanto tale, sulle condizioni della prestazione di servizi di intermediazione (v. C.Giust. UE 27 aprile 2022 C-674/20, p. 41 e 42). 

La maggiore gravosità nella comunicazione di una mole ingente di dati “è solo il riflesso di un maggior numero di transazioni alle quali detti intermediari procedono”, non comportando questa restrizioni alla libera prestazione di servizi (garantita dall'art. 56 TFUE), escluse qualora l'unico effetto di tali misure sia quello di “causare costi supplementari per la prestazione di cui si tratti e che incidano allo stesso modo sulla prestazione di servizi tra gli Stati membri e su quella interna a uno Stato membro” (richiama C.Giust. UE 27 aprile 2022 C-674/20, p. 46). 

Ad analoghe conclusioni la Corte UE giunge quanto alla “compatibilità” con l'art. 56 TFUE dell'obbligo di ritenuta d'imposta, osservando che per quanto questo comporti (per i prestatori di servizi) un onere ben più rilevante di un semplice obbligo di informazione, non risulta però che questo sia più gravoso per i prestatori stabiliti in uno Stato membro diverso dall'Italia rispetto ai soggetti ivi stabiliti, e che quindi i maggiori costi non vietino, ostacolino o rendano meno attraente l'esercizio della libera prestazione dei servizi (v. G.Giust. UE 3 marzo 2020 C-482/18, punti 25 e 26).  Quanto, infine, all'obbligo imposto ai «responsabili d'imposta» di designare un rappresentante fiscale, la Corte precisa che questo non riguarda tutti i prestatori di servizi non stabiliti in Italia, bensì soltanto quelli che scelgono “di incassare o meno i canoni o i corrispettivi relativi ai contratti oggetto del regime fiscale del 2017, oppure di intervenire o meno nella riscossione di detti canoni o corrispettivi”. 

Tale obbligo impone loro di avviare procedure e di sopportare, in pratica, il costo della retribuzione di detto rappresentante, determinando di fatto un ostacolo idoneo a dissuaderli dall'effettuare servizi di intermediazione immobiliare in Italia, generando quindi una restrizione alla libera circolazione dei servizi (v. C.Giust. UE 8 settembre 2011 C-267/09, p. 37). 

Gli obiettivi del contrasto all'evasione fiscale e della garanzia di un'efficace riscossione dell'imposta (nel settore delle locazioni brevi), prosegue la Corte UE, possono però giustificare restrizioni all'esercizio delle libertà fondamentali garantite dal TFUE (v. C.Giust. UE 11 dicembre 2014 C 678/11, p. 45 e 46) quali l'obbligo di designare un rappresentante fiscale, perseguendo uno scopo legittimo compatibile con il Trattato e giustificato da motivi imperativi di interesse generale. 

Tali limitazioni, però, eccedono quanto necessario per raggiungere gli obiettivi da ultimo citati, nella misura in cui “la semplice affermazione che il requisito della residenza costituisce la migliore garanzia dell'efficace adempimento degli obblighi di natura tributaria incombenti sul rappresentante fiscale” si scontra con la giurisprudenza della Corte UE per la quale le difficoltà amministrative di controllo su un rappresentante stabilito in un altro Stato membro “non costituiscono, di per sé, un motivo atto a giustificare un ostacolo a una libertà fondamentale garantita dal diritto dell'Unione” (v. C.Giust. UE 11 dicembre 2014 C 678/11, p. 61 e giur. ivi cit.). 

In conclusione, l'art. 56 TFUE osta alla norma di uno Stato membro che impone ai prestatori di servizi in oggetto, per locazioni inferiori a 30 giorni riguardo immobili situati nello Stato membro, qualora questi abbiano incassato i canoni o siano intervenuti nella loro percezione e risiedano in uno Stato membro diverso da quello di imposizione, di designare un rappresentante fiscale in tale ultimo Stato membro.

 

Fonte: C.Giust. UE 22 dicembre 2022 C-83/21

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