mercoledì 21/12/2022 • 06:00
L'indennità di vacanza contrattuale garantisce un recupero del potere di acquisto del dipendente rispetto all'aumento del costo della vita nel periodo di mancato rinnovo del contratto collettivo. Il suo addossamento a carico del datore, pertanto, si giustifica con i possibili vantaggi economici goduti.
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Con la recente ordinanza n. 36654/2022, pubblicata in data 14/12/2022, la Suprema Corte di Cassazione torna sul tema della funzione e dei limiti applicativi dell'indennità una tantum, nella specie sovrapponibile a quella di vacanza contrattuale, consegnandoci una pronuncia che, nella sua estrema sinteticità e linearità, esprime con forza la funzione paranomofilattica del Giudice di legittimità.
Il caso
Il casus belli involge la disamina dell'importo una tantum rivendicato da un lavoratore del comparto trasporto, riconosciuto come spettante dalla Corte territoriale e posto interamente a carico del solo datore di lavoro attuale al momento di introduzione della previsione contrattuale collettiva.
In particolare, i Giudici del merito avevano, invero, imposto a parte datoriale l'erogazione di detta indennità in sede retributiva, non ancorandola, tuttavia, all'effettivo periodo di attività prestata dal lavoratore alle dipendenze dell'azienda, quanto piuttosto sancendone il dovere di corresponsione per l'intero periodo di vacanza contrattuale di ben 44 mesi, nel quale il prestatore aveva lavorato alle dipendenze di altre società appaltatrici di Trenitalia s.p.a.
La socie
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