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lunedì 19/12/2022 • 06:00

Lavoro Clausole del contratto di lavoro

Il patto di stabilità: uno strumento per fidelizzare il lavoratore

Nell’ambito degli strumenti tesi alla stabilizzazione del rapporto di lavoro, particolare rilievo assume la clausola con cui si pattuisce una durata minima garantita, che si aggiunge al contenuto tipico contrattuale caratterizzato dallo scambio tra prestazione lavorativa e retribuzione.

di Alessia Riva - Consulente del lavoro

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  • Tempo di lettura 6 min.
  • Ascolta la news 5:03

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Nell'epoca attuale di crisi, caratterizzata, nel mercato del lavoro, anche dalla difficoltà da parte delle aziende di reperire risorse qualificate, e, dal lato dei lavoratori, dal fenomeno del quiet quitting e del conseguente aumento delle dimissioni volontarie, i Datori di Lavoro cercano di mettere in campo il maggior numero di tutele finalizzate alla protezione del proprio standard occupazionale e del know how maturato.

I contratti di lavoro, decisamente più corposi dall'agosto 2022 a seguito dell'introduzione degli ulteriori obblighi informativi di cui ai D.Lgs. 104/2022 e 105/2022, contengono le più svariate clausole di fidelizzazione e di responsabilità del lavoratore, che pongono vincoli alla libertà del dipendente.

Alcune di queste condizioni aggiuntive sono finalizzate ad attrarre ed incentivare la presenza di talenti e nuove risorse all'interno dell'organico aziendale, favorendo e garantendo la continuità del rapporto di lavoro (almeno per un certo periodo), come ad esempio il c.d. “patto di stabilità o di durata minima garantita”.

Altre condizioni, quali ad esempio il “patto di non concorrenza”, il “patto di riservatezza”, e, più in generale, tutte quelle previsioni relative agli obblighi di segretezza e fedeltà, sono strumenti di fidelizzazione che esplicano la loro efficacia dopo la cessazione del rapporto di lavoro, al fine di tutelare l'impresa da una possibile concorrenza del lavoratore cessato; anche in questo modo, in via indiretta, si incentiva il lavoratore a non abbandonare il posto di lavoro.

I patti di durata minima tra Datore di Lavoro e Lavoratore hanno ad oggetto l'obbligo di non dimettersi e/o di non licenziare fino ad una certa data (ad eccezione dell'ipotesi di sussistenza di una giusta causa); nel caso in cui l'accordo non sia rispettato, è dovuto alla parte adempiente il risarcimento del danno, come dedotto nel patto, che deve essere stipulato per iscritto, quale elemento accessorio del contratto di lavoro. L'impegno a rispettare una durata minima può essere assunto da una soltanto o da entrambe le parti.

In caso di dimissioni volontarie, quindi, il dipendente sarà tenuto al risarcimento del danno al Datore di Lavoro. Viceversa, qualora sia il Datore di Lavoro ad intimare un recesso ingiustificato ante tempus, questi dovrà corrispondere al lavoratore il monte retributivo che il Dipendente avrebbe percepito qualora il rapporto non fosse stato risolto (ossia, il numero di mensilità dovute dalla data di cessazione a quella di scadenza del patto di durata minima garantita, dedotto l'aliunde perceptum).

La ratio di questo istituto è da ricondurre alla ricerca di una maggior stabilità del rapporto di lavoro, alla continuità della prestazione lavorativa e, in ultimo, alla conservazione del posto di lavoro; questo interesse è particolarmente sentito nel caso in cui l'Azienda abbia sostenuto dei costi per l'addestramento, formazione ed inserimento in organico del nuovo assunto (si pensi, ad esempio, alla frequenza di corsi per l'acquisizione di patenti particolari quali quelle della movimentazione carichi/muletto, o il conseguimento di patenti di guida quali il CQC o la “licenza europea di condotta” per i ferrotranvieri, la cui titolarità è e resta in capo al lavoratore /persona fisica).

Si precisa che l'eventuale inadempimento è di tipo contrattuale e che, prima di procedere all'effettiva trattenuta al dipendente, è necessario inviare preventivamente al lavoratore la comunicazione di attivazione della tutela prevista dal patto (non necessariamente nelle forme della contestazione e del procedimento disciplinare, a meno che il CCNL applicato al rapporto di lavoro non lo richieda espressamente – ad esempio CCNL autotrasportatori). La compensazione si effettuerà sul prospetto paga, con trattenuta sull'importo netto, trattandosi di somma pattuita a titolo di risarcimento danno.

La legittimità della clausola di durata minima garantita è ormai pacificamente ammessa dalla Giurisprudenza (sempre che tale durata sia ben determinata e limitata nel tempo), dato che:

  1. nessun limite è posto dall'ordinamento all'autonomia negoziale delle Parti per quanto attiene alla facoltà di recesso dal rapporto di lavoro subordinato attribuita al lavoratore;
  2. tale assunto è coerente con la riconosciuta disponibilità del diritto al posto di lavoro (quale desumibile dalla ammissibilità di risoluzioni consensuali del contratto e dalla possibilità di consolidamento degli effetti di un licenziamento illegittimo per mancanza di una tempestiva impugnazione).

Parimenti, è stata ritenuta legittima la pattuizione della durata minima garantita, che impegni solo il lavoratore nei confronti dell'Azienda, anche in assenza di corrispettivo economico/retribuzione in natura da parte del Datore di Lavoro. Tuttavia, in questo caso, la vera criticità del patto è costituita dalla verifica della retribuzione riconosciuta al dipendente, comparata con il limite costituzionalmente inderogabile fissato dall'art. 36 Cost.; ed infatti, una volta attribuito al lavoratore il diritto di ricevere una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, appare evidente che, se il trattamento retributivo concordato, complessivamente considerato, non supera il “minimo costituzionale”, esso non può compensare, in alcuna misura, neppure la temporanea rinuncia del lavoratore alla sua facoltà di recesso.

Recentemente, la sezione Lavoro della Corte di Cassazione (Cass. 7 novembre 2022 n. 32680), ha individuato una causa di illegittimità nella stipula del patto di stabilità di un direttore HR in quanto tale patto:

  1. è stato negoziato direttamente dal dipendente con lo Studio Legale di fiducia del datore di lavoro;
  2. è stato sottoscritto a rapporto di lavoro già iniziato, dal solo Amministratore Delegato della Società, senza potere o delega del CDA;
  3. è stato giudicato nel suo complesso come abbondantemente sbilanciato a favore del direttore.

La suprema Corte ha, inoltre, ritenuto la condotta del lavoratore contraria al dovere di fedeltà, correttezza e lealtà, in quanto il dipendente ha agito in palese conflitto di interessi, a discapito del datore di lavoro.

A differenza della clausola di durata minima garantita, che, come esposto, integra un elemento aggiuntivo ed accessorio al contratto di lavoro, gli obblighi di riservatezza, obbedienza, fedeltà e non concorrenza, in costanza di rapporto di lavoro, sono sempre sussistenti in capo al lavoratore, sin dalla data di instaurazione del contratto di lavoro, sono e ben delineati non solo dall'art. 2094 c.c., che fornisce la definizione di lavoratore subordinato, ma anche dagli artt. 2104, 2105, 2106 c.c.; il contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro provvede inoltre all'elencazione più pratica e di settore, da ritenersi comunque non esaustiva, delle condotte cui è tenuto il dipendente, specialmente nella sezione “disciplinare” in essi contenuta.

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