sabato 17/12/2022 • 06:00
La Cassazione, con l’ordinanza n. 34968 del 28 novembre 2022, ha affermato che il lavoratore, qualora rivendichi il risarcimento del danno per c.d. “superlavoro”, è tenuto a dimostrare lo svolgimento della prestazione secondo modalità nocive e il nesso causale tra lavoro svolto e danno. Il datore di lavoro è tenuto invece a dimostrare che la prestazione si è svolta con modalità tollerabili per l’integrità psicofisica e morale del lavoratore.
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Un lavoratore si rivolgeva al Tribunale, in qualità di Giudice del lavoro, affinché venisse accertato e dichiarato il suo diritto al risarcimento del danno biologico per violazione dell'art. 2087 c.c. e del D.Lgs. 626/1994 (oggi sostituito dal D.Lgs. 81/2008), oltre al risarcimento del danno alla professionalità e, subordinatamente, venisse riconosciuta la patologia cardio-vascolare a causa di servizio, e, per l'effetto, gli venisse corrisposto il c.d. equo indennizzo.
Nello specifico, il lavoratore eccepiva di aver lavorato dapprima presso l'Amministrazione penitenziaria e, dal 1981, presso l'Ufficio Automezzi di Stato della Direzione Affari civili. In quest'ultimo ufficio, a suo dire, il personale era carente ed i ritmi di lavoro insostenibili, mancando una pianificazione e distribuzione dei carichi di lavoro e dovendo svolgere la propria attività in un ambiente disagiato. Tant'è che aveva maturato sintomi depressivi a causa dei quali era stato trasferito, nel 2000, all'esito di un accentuato malore, all'Amministrazione penitenziaria per poi essere vittima nel 2001 di un infarto.
In primo grado veniva riconosciuto al lavoratore il diritto all'equo indennizzo, con rigetto
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