mercoledì 14/12/2022 • 06:00
Con la sentenza n. 45558 del 1° dicembre, la Cassazione affronta il tema della sequestrabilità dei crediti d'imposta in caso di indagine per truffa riguardante il Superbonus 110%. A prescindere dai contenuti del Decreto Rilancio, gli obblighi di prevenzione e contrasto previsti dalla normativa antiriciclaggio sussistono sempre in capo al cessionario destinatario del D.Lgs. 231/2007.
Ascolta la news 5:03
La Suprema Corte è stata chiamata a decidere in merito al ricorso per cassazione, proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Parma, riguardante l'ordinanza di dissequestro emessa dal tribunale del riesame di Parma, avente ad oggetto crediti di imposta dell'importo complessivo di € 6.990.694,00 nella disponibilità di Alfa S.p.A., impresa pubblica controllata da Cassa Depositi e Prestiti e dal Ministero dell'economia e delle finanze.
Nel ricorso, il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Parma deduce il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 321 c.p.p. (“Oggetto del sequestro preventivo”) e 121 (“0pzione per la cessione o per lo sconto in luogo delle detrazioni fiscali”), lett. a) e b), e commi 5 e 6, del D.L. n. 34/2020 (c.d. Decreto Rilancio).
Il giudizio, dunque, ha ad oggetto la possibilità di sottoporre i crediti di imposta derivanti dall'esercizio delle opzioni previste dall'art. 121 del Decreto Rilancio al sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui all'art. 321 c.p.p. A tal fine, in virtù di uno stabilizzato principio giurisprudenziale, rientra nella nozione di “persona estranea al reato”, in danno della quale non possono essere confiscate cose o beni ad essa appartenenti, il soggetto che non ha concorso alla commissione del reato, né ha tratto vantaggio dall'altrui attività criminosa, serbando una condotta in buona fede. Quest'ultima deve ritenersi sussistente nel caso in cui non sia possibile conoscere - con l'uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta – l'utilizzo del bene per fini illeciti.
Con riferimento alla disciplina del Decreto Rilancio, il cessionario dei crediti di imposta che provveda alla monetizzazione del credito al cedente consegue indubbiamente un vantaggio economico dalla cessione del credito di imposta. Il cessionario, infatti, acquista il credito di imposta, monetizzandolo al cedente ad un valore notevolmente inferiore rispetto a quello nominale del credito ceduto, realizzando così un utile sui singoli crediti acquistati.
Pertanto, è indubbio che la posizione del cessionario che lucra un vantaggio consistente dall'operazione di cessione sia quella di un soggetto difficilmente qualificabile – agli effetti del sequestro e della successiva confisca – come persona “estranea al reato”, proprio perché il cessionario del credito di imposta trae vantaggio dall'altrui attività criminosa, dovendo, anzi, riconoscersi la sussistenza, in una simile evenienza, di un collegamento tra la posizione del terzo e la commissione del fatto-reato.
Gli obblighi antiriciclaggio del cessionario
Meritano in questa sede di essere evidenziate alcune considerazioni espresse dalla Suprema Corte circa gli obblighi antiriciclaggio del cessionario.
Sul punto, la difesa. ha sostenuto che nessun profilo di negligenza avrebbe potuto essere attribuito alla Alfa S.p.A, in quanto le disposizioni del Decreto Rilancio inizialmente non imponevano al cessionario il compito di effettuare controlli circa l'effettiva spettanza del beneficio fiscale in capo al soggetto che, comunicando all'Agenzia delle Entrate l'esercizio di una delle opzioni concesse dall'art. 121 del citato Decreto, determinava la creazione di un credito di imposta cedibile, ponendosi peraltro un simile onere in contrasto con le finalità perseguite dalla norma.
Al riguardo la Cassazione, pur rinviando al giudice di merito la valutazione con riguardo allo specifico caso oggetto della sentenza, mette pesantemente in dubbio la possibilità di considerare la sussistenza della buona fede nel comportamento di un cessionario rientrante tra i soggetti destinatari degli obblighi antiriciclaggio che, in sede di acquisto dei crediti di imposta, non abbia provveduto ad alcun tipo di controllo, nonostante nelle istruzioni operative dell'11 febbraio 2021 l'UIF avesse messo in guardia gli operatori del settore finanziario e creditizio rispetto ai possibili fenomeni fraudolenti collegati alla cessione dei crediti di imposta secondo la procedura del Decreto Rilancio, evidenziando le anomalie più ricorrenti e significative dal punto di vista del profilo soggettivo dei cedenti e/o cessionari dei crediti e da quello oggettivo dei comportamenti rilevati.
In ogni caso, ed è questa a nostro avviso la circostanza dirimente, a prescindere dal Decreto Rilancio tali attività di vigilanza preventiva erano comunque imposte al cessionario dal D.Lgs. 231/2007.
Nella fattispecie in esame, in quanto impresa pubblica controllata da Cassa Depositi e Prestiti e dal MEF, la Alfa s.p.a. rientra a pieno titolo tra le amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, c. 2, D.Lgs. 165/2001 e, come tale, è soggetta agli obblighi antiriciclaggio ai sensi dell'art. 10 del D.Lgs. n. 231/2007. Quest'ultimo impone alle pubbliche amministrazioni di comunicare all'UIF i dati e le informazioni concernenti le operazioni sospette di cui vengano a conoscenza nell'esercizio della propria attività istituzionale, avvalendosi a tal fine degli indicatori di anomalia emanati dalla stessa UIF con provvedimento del 23 aprile 2018.
Al riguardo, pur condividendo il richiamo all'art. 10 D.Lgs. 231/2007, sarebbe stato auspicabile un maggior dettaglio nella argomentazione, non tanto sotto il profilo soggettivo quanto per quel che concerne il collegamento tra il quarto comma 4 dell'art. 10 – che impone la segnalazione – e le attività istituzionali delle lettere a), b) e c) del primo comma della norma citata.
In altri termini, secondo la Corte Suprema e in via estensiva, sulle PA sembrerebbe incombere un generico obbligo segnaletico, mentre potrebbe parimenti sostenersi che detto adempimento è indissolubilmente connesso alle fattispecie ritenute critiche e meritevoli di attenzione enunciate dal primo comma dell'art. 10 e cioè: “a) procedimenti finalizzati all'adozione di provvedimenti di autorizzazione o concessione; b) procedure di scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi secondo le disposizioni di cui al codice dei contratti pubblici; c) procedimenti di concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché attribuzioni di vantaggi economici di qualunque genere a persone fisiche ed enti pubblici e privati”.
Nel silenzio della parte motiva della sentenza, ribadendo l'assoluta condivisibilità della censura mossa dalla Cassazione, avrebbero potuto quindi essere riportate più argomentazioni, anche di carattere sistematico, per associare l'obbligo ex art. 10, comma 4 (almeno) alla lettera c), laddove il Legislatore richiama specifici doveri di controllo per le PA e figure giuridiche affini in relazione ad “attribuzioni di vantaggi economici di qualunque genere a persone fisiche ed enti pubblici e privati”, risultando inquadrabile in tale ambito la misura premiale de qua.
Con specifico riferimento ai rischi di frode collegati al superbonus 110%, questi sono stati più volte evidenziati dall'UIF; al riguardo, la Suprema Corte ripercorre con elevato grado di dettaglio l'iter delle comunicazioni dell'UIF nel periodo dell'emergenza pandemica (16 aprile 2020 e 11 febbraio 2021), ricordando altresì gli schemi rappresentativi di comportamenti anomali concernenti operatività connesse con illeciti fiscali, pubblicati il 10 novembre 2020, con particolare riferimento allo schema D, ove sono delineate le anomalie più ricorrenti e significative dal punto di vista del profilo soggettivo dei cedenti e/o cessionari dei crediti e di quello oggettivo dei comportamenti rilevati.
Tutto ciò premesso, la Corte osserva come nella vicenda in esame ricorra gran parte delle anomalie astrattamente descritte nei suddetti provvedimenti e che in ogni caso, a prescindere dai contenuti del Decreto Rilancio, il cessionario avrebbe dovuto comunque assolvere gli obblighi antiriciclaggio ex D.Lgs. 231/2007 secondo le indicazioni UIF, “intensificando i controlli rispetto a richieste di sconto di crediti acquistati in precedenza”, dunque svolgendo attività di controllo preventivo e non già successivo alla monetizzazione dei crediti ceduti.
Risulta insufficiente, pertanto, l'attivazione dei controlli antiriciclaggio documentata dalla Alfa s.p.a. che, pur avendo consentito di rilevare anomalie nell'operatività connessa alla cessione dei crediti di imposta da parte di alcuni indagati, è risultata “successiva” alla cessione del credito. Tali anomalie, peraltro, erano state segnalate all'UIF con dieci diverse segnalazioni, la prima delle quali effettuata in data successiva non solo alla comunicazione dell'11 febbraio 2021, ma anche alla cessione dei crediti d'imposta, in violazione delle indicazioni provenienti dall'UIF.
Per i motivi descritti, la Cassazione ha annullato con rinvio la decisione del Tribunale del riesame di Parma in merito al dissequestro dei crediti d'imposta oggetto del superbonus.
Fonte: Cass. pen. 1° dicembre 2022 n. 45558
© Copyright - Tutti i diritti riservati - Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A.
Rimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
Per continuare a vederlo e consultare altri contenuti esclusivi abbonati a QuotidianoPiù,
la soluzione digitale dove trovare ogni giorno notizie, video e podcast su fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti e mondo digitale.
Abbonati o
contatta il tuo
agente di fiducia.
Se invece sei già abbonato, effettua il login.