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giovedì 08/12/2022 • 06:00

Fisco Dogane e Olaf

Olaf: illegittima la rettifica dell’origine doganale “a tavolino”

L’Agenzia delle dogane non può contestare l’origine delle merci importate sulla base di un’indagine “a tavolino” dell’Olaf. Se l’inchiesta dell’Ufficio europeo antifrode si fonda unicamente su un incrocio di dati statistici, la contestazione dell’origine doganale è illegittima e la Dogana non può pretendere il pagamento del dazio antidumping.

di Sara Armella - Avvocato, Studio legale Armella & Associati

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  • Tempo di lettura 6 min.
  • Ascolta la news 5:03

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È questo il principio espresso dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, che ha precisato come anche in presenza di un Report Olaf sia necessario un accertamento puntuale sulle operazioni contestate (Corte di Giust. trib. II grado, 23 novembre 2022, n. 1361).

Illegittima la contestazione dell'origine doganale “a tavolino”

Con la sentenza 23 novembre 2022, n. 1361, la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Veneto ha chiarito che l'Agenzia delle dogane non può contestare l'origine delle merci importate sulla base di un'indagine “a tavolino” dell'Olaf.

Nel caso esaminato dal giudice veneto, una Società italiana aveva importato tubi di acciaio senza saldatura dichiarati di origine indiana, che, secondo la Dogana, avrebbero avuto invece origine cinese, con conseguente applicazione di un dazio antidumping pari al 71,9% del valore della merce. L'Agenzia delle dogane non ha però fornito nessuna prova a dimostrazione dell'origine cinese dei beni importati, limitandosi a fondare la propria contestazione unicamente su un Report dell'Olaf, ormai noto alle numerose imprese che importano tubi di acciaio dall'India.

Le indagini Olaf sull'origine doganale dei prodotti

L'Olaf (Ufficio europeo per la lotta antifrode), istituito nel 1999 come servizio generale della Commissione europea, svolge un ruolo fondamentale nello svolgimento di indagini internazionali per la lotta contro le frodi. Tale organismo ha il potere di svolgere, in piena autonomia, indagini interne, sulle istituzioni o sugli organismi finanziati dall'UE, o esterne, in diversi Paesi terzi, con l'obiettivo di tutelare gli interessi finanziari dell'Unione europea. Dal punto di vista doganale, assumono particolare rilievo le indagini sull'origine dei prodotti, volte a rilevare possibili evasioni dei dazi antidumping.

Al termine delle operazioni, l'Olaf redige un Report conclusivo, informando le Autorità doganali dell'Unione europea dei risultati delle indagini. La Dogana, valutate liberamente le prove fornite dall'Ufficio, può contestare l'origine dei prodotti importati e pretendere l'applicazione del dazio antidumping.

Il valore probatorio del Report Olaf

Con la sentenza in commento, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, confermando quanto già affermato dai giudici di primo grado (Comm. trib. prov. Venezia, 7 giugno 2021, nn. 456 e 457), ha riconosciuto che la Dogana non può fondare il proprio accertamento unicamente sull'esistenza di un Report dell'Olaf, essendo necessario un concreto riscontro in merito alle specifiche operazioni contestate, alle imprese, ai luoghi di produzione e ai flussi delle merci oggetto di importazione.

La sentenza in commento ribadisce un principio già affermato dalla Corte di Cassazione, secondo cui, per quanto autorevoli, le indagini Olaf possono fondare un accertamento doganale soltanto se si riferiscono alle operazioni contestate dall'Agenzia delle dogane (Cass., sez. V, 31 luglio 2020, n. 16469). Occorre, pertanto, verificare, caso per caso, se le conclusioni dell'Olaf siano sufficienti a giustificare una rettifica dell'origine dei prodotti importati.

Nel caso esaminato, ad avviso dei giudici, l'Olaf ha svolto un'analisi “a tavolino” sulla base di dati generali, inerenti tutte le importazioni di tubi di acciaio dalla Cina all'India, senza tuttavia confrontare i dati statistici elaborati con i dati reali. Secondo quanto rilevato dalla Corte, l'assenza di una verifica fisica presso lo stabilimento del produttore non consente di accertare, nel concreto, l'origine della merce contestata.

I dati statistici e i relativi incroci possono essere utilizzati come punto di partenza, e non di arrivo, di un'indagine, che deve porre al centro lo specifico caso e deve fondarsi su riscontri oggettivi e concreti

L'inchiesta della Commissione europea

Occorre rilevare, inoltre, che, nel caso esaminato dalla Corte veneta, la Commissione europea (DG Trade) aveva svolto un'inchiesta sulle stesse imprese indiane produttrici di tubi esaminate dall'Olaf, svolgendo una specifica attività di controllo presso gli stabilimenti produttivi, per accertare le attività concretamente svolte e il livello di lavorazione dei prodotti.

Come rilevato dal giudice veneto, a differenza dell'Olaf, che non ha effettuato ispezioni presso le aziende esportatrici, la Commissione UE ha confermato l'origine indiana dei prodotti oggetto di contestazione a seguito di un'approfondita e attenta indagine (Reg. di esecuzione UE 2017/2093).

L'inchiesta della Commissione europea, pertanto, è stata ritenuta più attendibile rispetto alla verifica “a tavolino” dell'Olaf.

Come riconosciuto dalla sentenza in commento, la Commissione UE non soltanto ha svolto un'accurata indagine presso gli stabilimenti indiani, ma ha adottato un apposito Regolamento che certifica i risultati della propria inchiesta. Tale norma, adottata da una delle principali istituzioni dell'Unione europea, produce effetti vincolanti nei confronti di tutte le Autorità doganali dei Paesi UE.

L'importanza dei certificati di origine

Occorre ricordare che, a fronte di una contestazione sull'origine, il certificato di origine non preferenziale rappresenta uno strumento indispensabile per gli importatori.

Tale certificato, rilasciato dalle autorità competenti del Paese terzo da cui provengono i prodotti, deve essere redatto sulla base del formulario approvato dal legislatore europeo con tutte le indicazioni per l'identificazione della merce cui si riferisce (all. 22-14 e art. 57, par. 3, Reg. 2447/2015).

In caso di “fondati dubbi” sull'esattezza delle informazioni contenute nel certificato di origine, l'Agenzia delle dogane deve attivare una richiesta di cooperazione amministrativa ai sensi dell'art. 59 Reg. 2447/2015, chiedendo alle Autorità estere di verificare se l'origine dichiarata sia stata stabilita correttamente.

La certificazione rappresenta, pertanto, uno strumento di prova incontrovertibile, che dimostra che i prodotti importati hanno subito una lavorazione idonea ad attribuire l'origine non preferenziale.

Fonte: Corte di Giust. trib. II grado 23 novembre 2022 n. 1361

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