lunedì 05/12/2022 • 06:00
La Corte di Giustizia UE dispone che l’esercizio del diritto di detrazione dell’IVA può essere negato al soggetto passivo soltanto qualora si dimostri che lo stesso sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con l’acquisto dei beni e servizi partecipava a una frode in materia di IVA.
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I Giudici unionali, con la sentenza C-512/21 del 1° dicembre 2022, tornano sul tema delle condotte fraudolenti riaffermando con fermezza che spetta all’autorità tributaria dimostrare “che il soggetto passivo ha partecipato attivamente alla frode o che sapeva o che avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento di tale diritto si iscriveva in detta frode”.
Il caso
La domanda pregiudiziale sottoposta alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’articolo 267 TFUE (Trattamento sul funzionamento dell’unione europea), è stata presentata nell’ambito di una controversia tra una società di diritto rumeno (in prosieguo: «la ricorrente»), registrata ai fini IVA in Ungheria e la Nemzeti Adó- és Vámhivatal Fellebbviteli Igazgatósága (direzione dei ricorsi dell’Ufficio Nazionale delle imposte e delle dogane in Ungheria), relativamente all’esistenza di una differenza di imposta sul valore aggiunto (IVA) dovuta dalla società nel periodo intercorso tra i mesi di agosto e novembre 2012.
La società ricorrente si occupava in via principale di servizi di vendita all’ingrosso per conto terzi di vendita di beni alimentari, bevande e tabacco, mentre in Ungheria la stessa era inquadrata nel settore del commercio all’ingrosso di prodotti alimentari.
Nell’anno 2011, nell’ambito delle sue attività produttive, la società concludeva un contratto di agenzia con una compagnia rumena, il cui core business era il settore alimentare e, nel frattempo, nel paese ungherese acquistava olio ad uso alimentare, rivendendolo a sua volta in un altro stato membro.
A seguito di indagini ispettive approfondite su un periodo di circa cinque anni (2012-2017), il 16 gennaio 2017 l’autorità tributaria di primo grado ungherese (Nemzeti Adó- és Vámhivatal Fellebbviteli Igazgatósága) emetteva nei confronti della ricorrente quattro decisioni, nelle quali constatava l’esistenza di una differenza d’imposta sul valore aggiunto per la maggior parte a titolo di rimborso indebito e, in entità minore, come imposta non pagata.
Orbene, in relazione a tali accertamenti l’amministrazione applicava alla suddetta società una sanzione e una penalità di mora.
L’Ufficio finanziario riteneva che la stessa, qualificata come “società broker o agente”, avesse partecipato intenzionalmente e consapevolmente in un carosello volto a frodare l’IVA.
In particolare, secondo l’autorità ungherese la società non dimostrando sufficiente diligenza, era incorsa in responsabilità oggettive in quanto non solo aveva violato alcune disposizioni della legge sull’IVA, ma non aveva neanche rispettato le principali norme in materia di sicurezza della catena alimentare.
Pertanto, secondo i giudici nazionali era doveroso sospendere il beneficio dell’esercizio alla detrazione in quanto taluni principi della prassi nazionale non erano compatibili con il regime del diritto a detrazione previsto dalla direttiva 2006/112 (direttiva IVA).
Avverso a tali decisioni, la ricorrente proponeva un ricorso giurisdizionale amministrativo dinanzi il giudice del rinvio Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale, Ungheria).
Al fine di dirimere il dubbio interpretativo sulla compatibilità dei principi normativi descritti, il giudice del rinvio sospendeva il procedimento sottoponendo alla Corte di Giustizia domanda di pronuncia pregiudiziale vertente “sull’interpretazione dell’articolo 9, paragrafo 1, degli articoli 10 e 167, dell’articolo 168, lettera a), dell’articolo 178, lettera a), della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, in combinato disposto con i principi di neutralità fiscale, di proporzionalità e di certezza del diritto, nonché con l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”.
Le valutazioni della Corte UE
Nell’esaminare la questione, i Giudici unionali hanno innanzitutto confermato che, il beneficio del diritto alla detrazione può essere negato al soggetto passivo solo se l’Autorità tributaria dimostri, sulla base di elementi oggettivi, che lo stesso sapeva o avrebbe dovuto sapere di essere coinvolto in un’operazione fraudolenta di evasione dell’IVA, come risulta già dalla sentenza di cui alla causa C-591/26 del 24 novembre 2022.
Premesso tanto, la Corte UE chiarisce che, per quanto l’esistenza di una catena di fatturazione circolare rappresenti un significativo indizio di una condotta evasiva in tema di IVA, l’amministrazione non può utilizzare tale circostanza come onere della prova.
Di conseguenza, “spetta all’autorità tributaria, da un lato, individuare con precisione gli elementi costitutivi della frode e fornire la prova delle condotte fraudolente e, dall’altro, dimostrare che il soggetto passivo ha partecipato attivamente a tale frode o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento di tale diritto si iscriveva in detta frode”.
Tuttavia, quanto asserito, non implica necessariamente il coinvolgimento alla frode di tutti i soggetti passivi che ivi hanno partecipato.
Di conseguenza, la mera circostanza che i membri della catena di operazioni si conoscessero, “non costituisce un elemento sufficiente per dimostrare la partecipazione del soggetto passivo all’evasione”.
Altresì, la Corte è concorde nel ritenere che il diniego della detrazione può, ciononostante fondarsi su elementi probatori che dimostrino che il contribuente, fornendo prova di tutta la necessaria diligenza, avrebbe potuto essere a conoscenza che le sue operazioni sarebbero state condotte al fine di aggirare l’imposta.
Richiamando autorevole giurisprudenza (sentenza del 16 giugno 2022. DuoDecad, C-596/20), la Corte ribadisce che è competenza esclusiva dei giudici nazionali, stabilire se il soggetto passivo “abbia dato prova di sufficienza diligenza e abbia adottato le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere in tali circostanze”.
In ultima ratio, la Corte si sofferma anche sul diritto all’equo processo, sancito dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea asserendo che “esso non osta a che il giudice investito del ricorso avverso la decisione dell’autorità tributaria prenda in considerazione, quale elemento di prova dell’esistenza di una frode dell’imposta sul valore aggiunto o della partecipazione del soggetto passivo a tale frode una violazione di detti obblighi, qualora tale elemento di prova possa essere contestato e discusso in contraddittorio dinanzi ad esso”.
In conclusione, la posizione assunta dalla Corte di giustizia richiede una riflessione circa l’esigenza del rafforzamento del sistema tributario nazionale sull’assetto dell’onere probatorio, al fine di consentire agli enti impositori di individuare con puntualità, non solo la catena di fatturazione circolare ma in particolare, la partecipazione attiva del soggetto passivo alla frode, consentendo al contribuente di evitare la decadenza dell’esercizio di detrazione sulla base unicamente di comportamenti presunti.
Fonte: CGUE n. C-512/21 del 1° dicembre 2022
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