Rafforzamento sui controlli all'attribuzione e all'operatività delle partite IVA
Nelle riunioni dei professionisti aderenti al Comitato Fiscale della Confédération Fiscale Européenne i nostri delegati sono sempre stati redarguiti dai colleghi degli altri Paesi, come quelli che possono aprire partite IVA senza nessun controllo da parte dell'amministrazione. A dire il vero l'art. 22 Reg. UE 904/2010, dispone che gli Stati membri devono attuare procedure di verifica in base ai risultati della loro valutazione del rischio. Le verifiche sono effettuate, in linea di massima, prima dell'identificazione (cioè dell'attribuzione della partita IVA) o, qualora prima dell'identificazione siano effettuate solo verifiche preliminari, entro sei mesi da tale identificazione. Queste regole sono state recepite nei modelli di inizio attività, nel quadro I, che chiede notizie sulla “fisicità” del soggetto.
Tra queste regole vi sono gli estremi di registrazione del contratto di locazione, relativamente al quale non si capisce come possano dare questa informazione i soggetti diversi dalle persone fisiche, prive del codice fiscale quando stanno compilando il modello. L'anomalia riguarda la possibilità di compilare questo quadro solo all'inizio dell'attività, quando dovrebbe essere possibile tenerlo aperto per almeno trenta giorni. L'art. 36 della bozza della Legge di bilancio 2023 integra l'art. 35 Legge IVA, che già ipotizzava riscontri automatizzati, tra cui quelli conseguenti all'elaborazione del citato quadro I. Il dato più significativo a livello europeo è la mancanza di una vera e propria struttura del titolare, ma questo elemento è poco significativo in Italia, tenendo conto dei milioni di partite IVA individuali, aperte solo per lavorare con i benefici delle norme di forfetizzazione del reddito. La norma proposta prevede la convocazione in ufficio dei soggetti individuati dall'algoritmo del rischio. Si dovranno esibire le scritture contabili (ovviamente da stampare, considerando le disposizioni sulla tenuta e conservazione elettronica), allo scopo di consentire in ogni caso la verifica dell'effettivo esercizio dell'attività di impresa o di lavoro autonomo e per dimostrare documentalmente l'assenza dei non meglio individuati profili di rischio. La mancata presentazione in ufficio o l'insufficienza della documentazione comportano la cessazione della partita IVA.
Nel caso in cui, dopo la cessazione d'ufficio, la partita IVA venisse riaperta anche come legale rappresentante di un soggetto giuridico (o viceversa), sarà necessario prestare una fideiussione con durata triennale di importo non inferiore a € 50.000. Se fossero state commesse violazioni prima della precedente chiusura d'ufficio della partita IVA, la fideiussione dovrà essere incrementata delle somme dovute, sempreché non siano state già pagate (ma allora non sono più dovute …).
La chiusura d'ufficio, anche in base alle precedenti disposizioni dell'art. 35 c. 15-bis Legge IVA, che già parlava di analisi del rischio, comporta una sanzione di € 3.000, di cui risponde solidalmente l'intermediario che ha trasmesso la dichiarazione di inizio attività.
Il richiamo alla deroga nell'applicabilità delle attenuazioni per continuazione dell'illecito non ha alcun senso, perché non siamo in presenza di una sanzione propria del professionista.
C'è molto da ridire su quest'ultima disposizione.
Ovviamente la norma ne demanda l'attuazione ad un provvedimento dell'Agenzia delle Entrate, che dovrà – come minimo – mettere un limite temporale.
Per intenderci chi ha collaborato all'apertura della partita IVA rischia di essere sanzionato se dopo dieci anni il contribuente attua condotte illegali?
Nessuna sanzione continua ad esistere per il c. 15-quinquies, relativo alla chiusura d'ufficio delle partite IVA inattive per più di tre anni.