venerdì 09/12/2022 • 06:00
Il diritto di vedere cancellati i propri dati personali da un motore di ricerca si spinge fino alla deindicizzazione su tutte le versioni, anche extraeuropee, del suddetto motore.
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Con la recentissima ordinanza 34658/2022 del 24 novembre 2022 la prima sezione della Corte di Cassazione si esprime su una tematica delicatissima come il cosiddetto “diritto all'oblio” fissando un principio interessante da un punto di vista della sua estensione territoriale.
Diritto all'oblio
Innanzitutto, precisiamo che per “diritto all'oblio” si intende una forma di tutela dell'interesse dell'individuo a che non vengano riproposte vicende ormai superate dal tempo; si tratta del diritto di essere dimenticato, a non essere più ricordato per fatti che in passato furono oggetto di cronaca. Il diritto all'oblio è quindi speculare al diritto di cronaca: esso è uno dei plurimi aspetti sotto i quali si manifesta il diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati personali.
In altre parole: un fatto privato può divenire oggetto di cronaca se c'è interesse pubblico a tale notizia, ma tale interesse è racchiuso in quello spazio temporale necessario ad informarne la collettività; con il trascorrere del tempo, però, si affievolisce fino a scomparire. Riassumendo, con il trascorrere del tempo il fatto cessa di essere oggetto di cronaca per riacquisire l'originaria natura di fatto privato.
Più volte la giurisprudenza si è occupata del diritto all'oblio (il quale, per altro, ha trovato la sua prima collocazione normativa all'interno dell'art. 17 del Regolamento UE 2016/679 (“GDPR”)): il diritto di una persona a vedere salvaguardato il proprio diritto alla riservatezza e identità personale deve essere bilanciato con il diritto della collettività all'informazione. Qualora sia pubblicato sul web un articolo di interesse generale ma lesivo dei diritti di un soggetto che non rivesta la qualità di personaggio pubblico, noto a livello nazionale, può essere disposta la “deindicizzazione”[1] della notizia dal motore ricerca, al fine di evitare che un accesso agevolato, e protratto nel tempo, ai dati personali di tale soggetto, tramite Il semplice utilizzo di parole chiave, possa ledere il diritto di quest'ultimo a non vedersi reiteratamente attribuita una biografia telematica, diversa da quella reale e costituente oggetto di notizie ormai superate (Cassazione, Sez. 1, n. 15160 del 31.5.2021; Sez. Unite n. 19681 del 22.7.2019). Il diritto all'oblio consiste quindi nel non rimanere esposti senza limiti di tempo ad una rappresentazione non più attuale della propria persona con pregiudizio alla reputazione e riservatezza.
La novità della ordinanza in oggetto è che essa, considerando l'esposizione potenzialmente planetaria di una informazione pubblicata sul web si occupa di valutare se una autorità nazionale possa ordinare a un gestore di motore di ricerca, una deindicizzazione su tutti i nomi di dominio del suo motore (inclusi quelli extra nazionali o extra UE).
È opportuno sottolineare che l'attività di un motore di ricerca consiste nel trovare informazioni pubblicate o inserite da terzi su Internet, nell'indicizzarle in modo automatico, nel memorizzarle temporaneamente e, infine, nel metterle a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza; questa attività, per altro, deve essere qualificata come «trattamento di dati personali», qualora tali informazioni contengano dati personali, e che, dall'altro lato, il gestore di detto motore di ricerca deve essere considerato come il «responsabile» del trattamento summenzionato.
La Corte di giustizia nella causa C-136/17 decisa con sentenza del 24 settembre 2019 denominata «CNIL» ha dedicato un apposito paragrafo all'argomento degli ordini extraterritoriali a tutela del diritto all'oblio, che l'ordinanza in oggetto ha ampiamente considerato: la Corte di Giustizia ha affermato che «Occorre sottolineare che il diritto dell'Unione, pur se non impone, allo stato attuale, che la deindicizzazione, accolta verta su tutte le versioni del motore di ricerca in questione, neppure lo vieta. Pertanto, un'autorità di controllo o un'autorità giudiziaria di uno Stato membro resta competente ad effettuare, conformemente agli standard nazionali di protezione dei diritti fondamentali un bilanciamento tra, da un lato, il diritto della persona interessata alla tutela della sua vita privata e alla protezione dei suoi dati personali e, dall'altro, il diritto alla libertà d'informazione e, al termine di tale bilanciamento, richiedere, se del caso, al gestore di tale motore di ricerca di effettuare una deindicizzazione su tutte le versioni di suddetto motore» ((v. in tal senso, sentenze del 26 febbraio 2013, Äkerberg Fransson, C-617/10, EU:C:2013:105, punto 29, e del 26 febbraio 2013, Melloni, C-399/11, EU:C:2013:107, punto 60).
Deindicizzazione
La ”deindicizzazione” è un'operazione differente dalla rimozione o cancellazione di un contenuto; la deindicizzazione non lo elimina, ma lo rende non direttamente accessibile tramite motori di ricerca esterni all'archivio in cui quel contenuto si trova.
L'affermazione viene considerata chiarissima dalla Corte di Cassazione e priva di alcuna ambiguità, così da escludersi la necessità di sollecitare nuovamente il supporto interpretativo della Corte UE. L'ordinanza in oggetto precisa quindi che sebbene il diritto dell'Unione non imponga agli Stati membri di far sì che la deindicizzazione incida automaticamente su tutti i nomi a dominio del motore di ricerca, (anche extraeuropei) tuttavia il diritto dell'Unione neppure vieta agli Stati membri di consentire questo risultato.
Nel caso di specie la estensione territoriale del diritto all'oblio era particolarmente importante poiché la persona fisica che aveva ottenuto il provvedimento di cancellazione verso il motore di ricerca aveva affermato essere ora residente a Dubai e operante professionalmente fuori dal territorio europeo.
Nella ordinanza in analisi la Corte di Cassazione stabilisce prima di tutto che il problema dell'estensione territoriale debba essere deciso esclusivamente secondo il diritto nazionale; conferma poi, in piana aderenza con le citata giurisprudenza della Corte di Giustizia, che è consentito alle autorità di controllo e giudiziarie italiane, (nel caso di specie al Garante per la protezione dei dati personali e a giudice), di ordinare al gestore di un motore di ricerca di effettuare una deindicizzazione su tutte le versioni, anche extraeuropee, del suddetto motore. Il principio di diritto sancito è infatti il seguente: “In tema di trattamento dei dati personali, la tutela spettante all'interessato, strettamente connessa ai diritti a riservatezza e all'identità personale e preordinata a garantirne dignità personale dell'individuo, ai sensi dell'art. 3 Cost., comma e dell'art. 2 Cost., che si esprime nel cosiddetto "diritto all'oblio” consente, in conformità al diritto dell'Unione Europea, alle autorità italiane, ossia al Garante per la protezione dei dati personali e a giudice, di ordinare al gestore di un motore di ricerca di effettuare una deindicizzazione su tutte le versioni, anche extraeuropee, del suddetto motore, previo bilanciamento tra il diritto della persona interessata alla tutela della sua vita privata e alla protezione dei suoi dati personali e il diritto alla libertà d'informazione, da operarsi secondo gli standard di protezione dell'ordinamento italiano».
Fonte: Corte di Cassazione ordinanza 24 novembre 2022 n. 34658
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