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giovedì 01/12/2022 • 06:00

Fisco DDL bilancio 2023

Voluntary disclosure sulle cripto attività: trappola o liberazione?

L’art. 34 della bozza della Legge di Bilancio 2023 permette di “regolarizzare” le cripto attività sanando il passato. Il costo della Voluntary non è modesto e comporta la perdita dell’anonimato. Il successo della regolarizzazione tra i possessori di cripto assets dipenderà anche dalle modalità applicative che saranno scelte dall’Agenzia delle Entrate.  

di Federico Andreoli - Avvocato in Milano

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  • Tempo di lettura 12 min.
  • Ascolta la news 5:03

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Con la bozza della Legge di Bilancio 2023 (artt. 31 e 32) l'Italia introduce per la prima volta una disciplina fiscale che regola le cripto attività.

Il Legislatore ha modificato gli artt. 67 e 68 TUIR e il D.Lgs. 461/97 prevedendo che le operazioni su cripto assets danno luogo a redditi diversi soggetti all'imposta sostitutiva del 26% (art. 31 c. 1 al c. 18). I successivi commi 19, 20 e 21 dello stesso art. 31 vanno a modificare il DL 167/90 introducendo l'obbligo di monitoraggio fiscale per le cripto-attività sia per gli intermediari che per i contribuenti.

Sorgerà certamente un dibattito sulla natura dell'art. 31 TUIR: innovativa e quindi non retroattiva; oppure modificativa di obblighi già esistenti? Al riguardo l'Agenzia delle Entrate con le Risp. AE 24 novembre 2021 n. 788/E e Risp. AE 1° agosto 2022 n. 397/E aveva già affermato che le operazioni in criptovalute davano luogo a redditi diversi ex art. 67 c. 1 c-ter e che sussisteva l'obbligo di compilazione del Quadro RW. Tuttavia, la dottrina aveva contestato l'inesistenza di norme che legittimassero tali interpretazioni. È evidente che se l'obbligo per i contribuenti di compilare il Quadro RW è introdotto ex novo per il 2023 dall'art. 31 c. 21, non vi sarebbe la necessità di regolarizzare il passato aderendo alla Voluntary Disclosure prevista dal successivo art. 34. Tuttavia, prevedibilmente, la presenza stessa dell'art. 34 sarà utilizzata dall'Agenzia delle Entrate come interpretazione ex lege dell'esistenza degli obblighi di monitoraggio anche per gli anni precedenti all'introduzione della Legge di Bilancio 2023.

La Voluntary Disclosure: è una trappola o una liberazione?

La circostanza che la bozza della Legge di Bilancio da un lato introduce ex novo un obbligo (monitoraggio fiscale) e, dall'altro, afferma che si possono regolarizzare le violazioni di norme di dubbia esistenza in passato, può sembrare una sorta di trappola; perché se le norme non esistevano non potevano essere violate, quindi la regolarizzazione sarebbe inutile. Tuttavia, la Voluntary Disclosure prevista dall'art. 34 potrebbe essere anche una liberazione. Infatti, è facile immaginare che molti contribuenti siano stati timorosi all'idea di adeguarsi alle Risp. AE 24 novembre 2021 n. 788/E e Risp. AE 1° agosto 2022 n. 397/E per paura di vedersi applicare enormi sanzioni per gli anni precedenti. È anche facile immaginare che gli stessi timori abbiano sconsigliato a molti contribuenti di trasformare le loro cripto-attività in ricchezza ordinaria, obbligandoli a restare nel “mondo cripto”. Tali incertezze non sono state risolte dalla bozza di Legge di Bilancio, anzi. In tal senso la Voluntary Disclosure, sebbene a costi non sempre modesti, può costituire per molti contribuenti una straordinaria opportunità per monetizzare gli investimenti e uscire dalla super volatilità dei cripto-assets. È chiaro, tuttavia, che il Legislatore non ha introdotto la Voluntary Disclosure solo per esigenze di cassa, ma anche per mappare/monitorare gli investimenti e gli investitori in cripto-attività che aderendo alla Voluntary Disclosure rinunceranno all'anonimato. 

La Voluntary Disclosure per chi e per quali periodi d'imposta?

Su queste premesse si può esaminare il testo dell'art. 34 della bozza del Disegno di Legge di Bilancio 2023. Il c. 1 indica quali sono i soggetti che possono aderire alla regolarizzazione richiamando i soggetti di cui all'art. 4 c. 1. DL 167/90; si tratta quindi di persone fisiche, enti non commerciali (anche i trust), le società semplici ed enti equiparati ex art. 5 TUIR. Il presupposto oggettivo è quello di non aver indicato nella dichiarazione dei redditi le cripto-attività detenute entro il 31 dicembre 2021 nonché i redditi realizzati attraverso le stesse attività. Il riferimento al periodo d'imposta 2021 è legato al fatto che il Quadro RW per il periodo d'imposta 2022 può essere aggiunto o modificato anche nel corso del 2023 (cioè nei 90 giorni dal 30 novembre 2022) con il pagamento di una sanzione molto ridotta costituendo solo una violazione formale. La legge fa riferimento a violazioni poste in essere entro il 2021, ma non chiarisce quale sia l'arco temporale in esame.

Certamente la Voluntary Disclosure riguarda gli anni dal 2017. Tuttavia, valgono per le cripto-attività le stesse regole previste per la localizzazione degli altri investimenti a seconda che siano o meno in Paesi c.d. black list con il conseguente raddoppio degli anni regolarizzabili ex art. 12 c. 2-ter DL 78/2009? Si ritiene che non ci sia raddoppio. Infatti, l'art. 31 c. 20 della bozza di Legge supera totalmente il tema della territorialità, imponendo l'obbligo di monitoraggio per tutti i cripto-assets (anche se “localizzabili” in Italia). Quindi se a partire dal 2023 non vi sarà più il tema della territorialità per effetto di una norma introdotta ex novo, non si vede perché in assenza di norme si dovrebbe discutere sulla localizzazione geografica. Si ricorda per altro che la dottrina aveva utilizzato proprio l'argomento della a-territorialità dei cripto-assets per affermare l'inesistenza dell'obbligo di monitoraggio. Invece, non si dovrebbe porre il tema del raddoppio delle sanzioni previste dall'art. 12 c. 2 DL 78/2009 per le attività localizzate in Stati Black list, in quanto l'art. 34 prevede solo la una sanzione nella misura dello 0,5%. In conclusione, ci si augura che il Provvedimento dell'Agenzia delle Entrate, che dovrà disciplinare la Voluntary Disclosure, non preveda la suddivisione geografica e il raddoppio dei termini di accertamento per i Paesi Black list.

Ciò in considerazione: 

  • delle tante critiche della dottrina che affermavano la a-territorialità delle cripto-attività; 
  • delle oggettive difficoltà tecniche legate alla individuazione geografica delle stesse cripto attività; 
  • del fatto che l'art. 31 c. 20 supera totalmente il concetto di territorialità; 
  • del fatto che l'art. 34 prevede una sanzione unica dello 0,50% per ciascun anno indipendentemente dalla localizzazione geografica; 
  • dal fatto che l'assenza degli intermediari, che caratterizza le cripto-attività, rende oggettivamente ininfluente la circostanza che uno Stato sia o meno “collaborativo” nello scambio di informazioni. 

La Voluntary Disclosure per i soli obblighi di monitoraggio

L'art. 34 distingue due procedure distinte di regolarizzazione: 

  • il c. 2 disciplina la regolarizzazione per le sole violazioni del monitoraggio RW;
  • il c. 3 prevede la regolarizzazione per i soggetti che hanno anche realizzato e redditi.

La previsione del c. 2 è abbastanza semplice e ripercorre le modalità già sperimentate per la Voluntary Disclosure del 2015. Se il contribuente si è limitato a detenere le cripto attività senza realizzare redditi, può regolarizzare versando la sanzione prevista per le violazioni del monitoraggio (DL 167/90) ridotta dello 0,5% per ciascun anno. Importo che è calcolato sul valore al termine del periodo d'imposta. Così come nella “vecchia” Voluntary Disclosure, non dovrebbero quindi avere rilevanza le variazioni infra-annuali.

Quanto al concetto di “valore”: ai fini della determinazione dei redditi diversi l'art. 31 c. 2 (che modifica l'art. 68 TUIR) fa riferimento al valore normale ex art. 9 TUIR. Poiché il mondo delle cripto attività è caratterizzato dalla assenza di intermediari, il valore normale dovrà essere reperito dallo stesso contribuente. La misura dello 0,5% non sorprende essendo pari alla sanzione dovuta in caso di ravvedimento per attività in paesi collaborativi (1/6 del minimo pari al 3%). L'art. 31. c. 1 dispone che non costituisce fattispecie fiscalmente rilevante (ciò non comporta la realizzazione di plus e minusvalenze) la permuta tra cripto-attività “aventi le medesime caratteristiche e funzioni”. La norma sarà introdotta per il 2023 ma è difficile pensare che non sia applicabile anche per il passato.

Quindi, i soggetti che si sono limitati a passare da una valuta virtuale ad un'altra dovrebbero poter regolarizzare ex c. 2 con il pagamento dello 0,5%. 

La Voluntary Disclosure ai fini reddituali 

L'art. 34 c. 3 dispone che i contribuenti che hanno realizzato redditi “nel periodo di riferimento” possono regolarizzare la propria posizione con il pagamento di una imposta sostitutiva nella misura del 3,5% del valore delle attività “al termine di ogni anno o al momento del realizzo”. Ciò oltre al pagamento della sanzione dello 0,5% di cui al c. 2 per regolarizzare la violazione RW; per un totale del 4%. La procedura ipotizzata dal legislatore si discosta molto dalla vecchia Voluntary Disclosure prevista del L.186/2014. In quel caso, per il regime forfettario, era presunto un reddito pari al 5% del patrimonio a fine anno su cui veniva applicata l'imposta sostitutiva nella misura del 27%, con un gravame effettivo del 1,375 oltre sanzioni e interessi. Quindi, seppur in termini presuntivi, il punto di riferimento era un reddito a cui si applicava una imposta con relative sanzioni e interessi.

La bozza della Legge di Bilancio abbandona gli aspetti reddituali e formali per giungere ad una sorta di patrimoniale: 3,5% sul valore normale a fine anno. Per altro, la norma sembrerebbe prevedere il pagamento del 3,5% per ciascun periodo d'imposta; pertanto la procedura non ha un costo modesto (circa il doppio rispetto alla Voluntary Disclosure forfettaria del 2015). Ciò forse si giustifica alla luce dei rendimenti stellari di alcune criptovalute. Tuttavia non tutti i contribuenti hanno goduto allo stesso modo di tali rendimenti.

Il rapporto tra il comma 2 e il comma 3 dell'art. 34

L'art. 34 fornisce indicazioni minimali sulle modalità applicative della regolarizzazione, lasciando al Provvedimento dell'Agenzia delle Entrate un'ampia discrezionalità. Spetterà quindi all'Agenzia delle Entrate determinare i rapporti tra le due procedure.

Infatti, come si dovrà comportare un contribuente che ha acquisto le cripto in anni risalenti e ha realizzato un modesto reddito solo nel 2019? Può presentare la istanza di regolarizzazione ex c. 2 per tutti gli anni ed ex c. 3 solo per il 2019? Può presentare l'istanza ex c. 2 e fare un ravvedimento ordinario per il modesto reddito del 2019?

Ci sembra che il testo dell'art. 34, non ponendo limitazioni, possa legittimare entrambe le soluzioni. Ciò con la conclusione che, in presenza di redditi in un solo periodo d'imposta, non è necessario procedere alla regolarizzazione ex c. 3 pagando l'imposta sostitutiva del 3,5% per tutti gli anni.

Il Provvedimento dell'Agenzia delle Entrate

Il c. 1 dell'art. 34 demanda all'Agenzia dell'Entrate l'individuazione delle formalità con cui presentare la dichiarazione di regolarizzazione. Visto il contenuto molto sintetico dell'art. 34 è facile immaginare che l'Agenzia delle Entrate procederà ad indicare tutta una serie di elementi che potranno incidere in modo molto rilevante sulla “appetibilità” della regolarizzazione. Quanto al modello di dichiarazione, ci si chiede se sia opportuna una replica dei formalismi burocratici che hanno caratterizzato la Voluntary Disclosure del 2015. Infatti, è indubbio che il “successo” della vecchia voluntary è dovuto anche al ruolo degli intermediari finanziari (italiani ed esteri) e dei vari consulenti (commercialisti, avvocati, advisor finanziari) che hanno spinto i loro clienti a procedere alla regolarizzazione, utilizzando banche e fiduciarie. Invece, il mondo delle cripto-attività è caratterizzato dalla assenza di intermediari. L'Agenzia delle Entrate dovrebbe quindi trovare modalità innovative per digitalizzare e semplificare al massimo la procedura di regolarizzazione al fine di incrociare le attitudini dei possessori delle cripto-attività. Si pensi, ad esempio, alle modalità di pagamento: è facile immaginare che molti soggetti potenzialmente interessati alla regolarizzazione, debbano convertire criptovalute in euro per procedere al pagamento in euro.

Si innesta quindi un circolo vizioso: viene prima la conversione o la regolarizzazione?

L'art. 34 c. 4 conferisce all'Agenzia delle entrate grande autonomia nella determinazione dei termini e modalità di pagamento della regolarizzazione. L'Agenzia delle Entrate dovrà fare buon uso di tali poteri discrezionali.

La dimostrazione della provenienza lecita art. 34 c. 5

Un ultimo aspetto di grande rilevanza pratica. L'art. 34 c. 5 subordina l'efficacia della regolarizzazione alla “dimostrazione della liceità della provenienza delle somme investite” in cripto-attività”.

È evidente la ratio della norma: il Legislatore non vuole aprire le porte a capitali provenienti da attività illecite (e evasione fiscale), considerato che post regolarizzazione tali capitali possono essere investiti nell'economia tradizionale. Non si può che condividere la prudenza del Legislatore, tuttavia, è evidente che in molti casi per i contribuenti non sarà facile fornire una dimostrazione (certa e documentale) della provenienza dei fondi convertiti in cripto-attività. Certamente l'Agenzia delle Entrate andrà ad interpretare tale comma 5 per meglio specificarne il contenuto. Al riguardo si ritiene che le indicazioni che verranno date dall'AE convinceranno o scoraggeranno i contribuenti dall'uscire dall'anonimato accedendo alla regolarizzazione. 

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