sabato 03/12/2022 • 06:00
Per la recente Cassazione n. 33492 del 14 novembre 2022 la risposta è affermativa anche in caso di liquidazione della società datoriale. Diversamente, si riverserebbe nel vizio di omessa comunicazione in sede di avvio della procedura di licenziamento collettivo e di informativa.
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Nella sentenza della Cassazione del 14 novembre 2022 n. 33492, la Suprema Corte ha dovuto motivare se la comunicazione di avvio della procedura di licenziamento collettivo formalmente corretta, ma non del tutto veritiera, stanti alcune omissioni che ne distorcevano de facto il senso complessivo, fosse da ritenersi “omessa” o meno.
Il caso affrontato dalla Cassazione
La fattispecie al vaglio della Cassazione attiene all'invio da parte di una società a tutti i dipendenti della comunicazione di inizio della procedura di licenziamento collettivo (artt. 4 e 24 L. 223/91), inserendo come finalità della procedura “crisi aziendale”.
Circa 30 giorni dopo, è stato sottoscritto un verbale di accordo sindacale in cui si dava atto delle intenzioni dell'azienda di risolvere la totalità dei rapporti di lavoro in seguito alla prevista cessazione delle attività di produzione.
Una tale operazione, per la natura e la portata della stessa, annullava qualunque necessità di stilare una graduatoria di fuoriuscita e pertanto, in seguito, la medesima società procedeva a inviare a tutti i dipendenti le rispettive lettere di licenziamento. Tutte tali lettere sono state impugnate sulla base del fatto che, appena 15 giorni dopo l'invio delle stesse, risultava essere stata costituita una società adibita a svolgere le medesime attività cui era deputata la cessata società datrice di lavoro, addirittura nei medesimi locali della stessa, in forza di contratto di cessione in affitto della stessa.
Adito il Tribunale di Castrovillari, questo giudicava in favore dei lavoratori, dichiarando l'illegittimità dei licenziamenti dei lavoratori e disponeva la prosecuzione dei rapporti di lavoro alle dipendenze della società produttrice di materassi da ultimo costituita e il risarcimento del danno ai lavoratori stessi.
Tale giudizio, confermato pienamente dalla Corte d'Appello, si basava sull'accertata circostanza che l'attività di produzione della cessata società non si fosse in realtà mai interrotta, ma fosse proseguita presso la cessionaria successivamente all'affitto di azienda.
L'omessa comunicazione delle reali finalità della società datrice di lavoro nella comunicazione è stata ritenuta tale da inficiare l'intero iter della procedura, integrando la violazione dell'obbligo di detta comunicazione (art. 4, c. 3, L. 223/91) e che, pertanto, i rapporti di lavoro, al momento della cessione, dovevano intendersi ancora in essere al momento della stipula del contratto di affitto di azienda.
La fase di avvio della procedura di licenziamento collettivo
Come noto, il licenziamento collettivo è disciplinato dalla L. 223/91, la quale regola i presupposti per consentire la riduzione dell'organico aziendale nel bilanciamento degli interessi dell'impresa nonché dei lavoratori coinvolti.
La procedura formulata dal legislatore si applica in due casi:
Il caso affrontato dalla Suprema Corte attiene alla fase di avvio della procedura che inizia proprio attraverso la comunicazione, inviata dal datore alle rappresentanze sindacali, segnatamente RSA o RSU nonché associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale.
La suddetta comunicazione deve presentare i seguenti elementi essenziali:
Con riferimento al contenuto della comunicazione alle rappresentanze sindacali, in ipotesi di cessazione di attività d'impresa, a rigor di legge il datore di lavoro non è tenuto a specificare i motivi della cessazione e/o del mancato ricorso ad altre forme occupazionali.
Parimenti, tuttavia, le comunicazioni di cui all'art. 4, c. 9, L. 223/91 devono comunque contenere le informazioni essenziali al fine di consentire un trasparente controllo sindacale sulla corrispondenza all'intenzione emergente dalla comunicazione iniziale circa il coinvolgimento dell'intero organico nella chiusura dell'insediamento produttivo (Cass. 14 dicembre 2016 n. 25737; Cass. 21 settembre 2016 n. 18504).
Tale "minimo di legge" viene generalmente ritenuto leso dalla giurisprudenza di legittimità qualora:
i) i dati comunicati dal datore di lavoro siano incompleti o inesatti;
ii) la funzione sindacale di controllo e valutazione sia stata limitata;
iii) sussista un rapporto causale fra l'indicata carenza e la limitazione della funzione sindacale (Cass. 10 novembre 2021 n. 33183).
Successivamente alla comunicazione, le rappresentanze sindacali, unitamente alle associazioni di categoria, possono richiedere un incontro, finalizzato ad esplorare soluzioni alternative al licenziamento collettivo; diversamente, sempre in sede di esame congiunto, sono valutate le possibili misure sociali, idonee a tutelare il personale eccedente, incluse l'eventualità di riqualificazione. Qualora non sia raggiunto alcun accordo, le parti sono convocate innanzi all'ITL per esperire un ultimo tentativo negoziale.
Esaurita la fase di esame congiunto, il datore è legittimato a procedere con i vari licenziamenti, purché già prospettati nella comunicazione sindacale, individuando solo ora i singoli lavoratori. La scelta viene effettuata alla luce dei criteri, stabiliti dall'accordo sindacale, riferiti alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative dell'intero complesso aziendale.
In mancanza di tale pattuizione, sovvengono i criteri legali, tra gli stessi in concorso, e riferiti ai carichi di famiglia, all'anzianità e, da ultimo, alle esigenze tecniche produttive e organizzative.
La Legge prescrive ulteriori imposizioni, volte a tutelare le minoranze nonché ad evitare le discriminazioni.
Individuati i singoli profili, il datore esercita il diritto di recesso, comunicando il medesimo per iscritto nel rispetto del termine di preavviso. Entro 7 giorni dalla lettera di recesso, il datore è altresì obbligato a riferire al competente ufficio pubblico, nonché alle rappresentanze sindacali coinvolte, l'elenco dei lavoratori licenziati con specificazione delle modalità, mediante cui sono stati applicati i criteri di scelta.
Per quanto conviene a questa ricerca, si puntualizzano le tutele disposte in caso di violazione della procedura sindacale.
Si distinguono ovviamente due casi:
La posizione espressa dalla pronuncia in esame
Si è dunque compresa l'essenzialità della funzione propria della comunicazione di avvio della procedura che rappresenta un atto fondamentale per la proficua partecipazione alla cogestione della crisi da parte del sindacato e per la trasparenza del processo decisionale del datore di lavoro.
L'incompletezza della comunicazione rappresenta, dunque, un vizio del licenziamento e il successivo raggiungimento di un accordo sindacale, pur essendo rilevante ai fini del giudizio retrospettivo sull'adeguatezza della comunicazione, non sana ex se il deficit informativo, atteso che il giudice di merito può accertare che il sindacato ha partecipato alla trattativa, sfociata nell'intesa, senza piena consapevolezza dei dati di fatto (Cass. 12 novembre 2013 n. 25394).
Ma una comunicazione caratterizzata come quella al vaglio della sentenza in esame può essere effettivamente predicata di “incompletezza” o “omissione”?
La Suprema Corte, facendo richiamo ai principi espressi in precedenza, ha ritenuto di dare convinta risposta affermativa alla questione, confermando che l'omessa comunicazione, in sede di avvio della procedura di licenziamento collettivo, delle reali finalità di parte datoriale inficerebbe l'intero iter della procedura, integrando violazione dell'obbligo di Legge (art. 4, c. 3, L. 223/91).
Per la pronuncia in commento, l'intera operazione di licenziamento collettivo, accompagnato alla cessazione dell'attività e di affitto di azienda, sarebbe da considerarsi elusiva dell'art. 2112 c.c. e – qualora non integralmente comunicata alle parti interessate in sede di avvio della procedura di licenziamento collettivo – circostanza valevole a ritenere omessa la comunicazione d'avvio formalmente inoltrata alle OO. SS.
Fonte: Cass. 14 novembre 2022 n. 33492
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