sabato 10/12/2022 • 06:00
La disciplina del diritto alle ferie rappresenta sia un tema organizzativo per l'impresa che un diritto individuale di ogni lavoratore votato al recupero delle energie psicofisiche. Non di meno, l'istituto appare foriero di relativi problemi operativi: chi decide l'epoca delle ferie? Come gestire i saldi ferie? Quali conseguenze ne derivano?
All'interno delle aziende assume sempre maggiore interesse il tema della gestione del periodo di ferie. Non è solamente una questione di costi da monitorare, ma di diritti e doveri da regolamentare. Da un lato il lavoratore, in ragione di un diritto costituzionalmente garantito, vorrebbe poter gestire liberamente il periodo di assenza. Dall'altro il datore di lavoro vorrebbe una flessibilità organizzativa massima, senza vincoli o costrizioni. Una cosa è certa, il lavoratore ha diritto ad un periodo di ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi. Di tale diritto è più che consapevole anche l'Inps che, come uso oramai dal 2001, pretenderà a fine giugno 2023 il pagamento dei contributi sulle ferie maturate dal lavoratore nel corso del 2021 e non ancora fruite. La prassi infatti (lettera del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale n. 6/PS/60985 del 14 maggio 1998, circolare INPS n. 134 del 23 giugno 1998, circolare INPS n. 186 del 7 ottobre 1999) prevede che entro il diciottesimo mese dall'anno di maturazione, l'ente previdenziale richieda una anticipazione contributiva sulle ferie non godute. Ed è forse per questo che nel 2004, con il D.Lgs. 213/2004, si è imposta la coincidenza di fruizione, sempre riferita ai 18 mesi successivi, anche per il godimento delle meritate ferie. Chi decide il periodo di ferie? È possibile uno spostamento unilaterale? E una monetizzazione? Come noto, l'obiettivo dell'istituto delle ferie è quello di reintegrare le energie psico-fisiche impiegate nella prestazione lavorativa e allo stesso tempo permettere la partecipazione alla vita familiare e sociale. La maturazione, la durata minima, i termini di fruizione e la retribuzione da corrispondere al lavoratore durante le ferie sono materie disciplinate direttamente dalla legge, mentre il periodo di fruizione e le modalità di godimento in genere sono stabiliti dal datore di lavoro e dalle prassi aziendali. Tuttavia, non mancano gli interventi da parte della contrattazione collettiva, la quale, nonostante la pluralità delle fonti legislative, è riuscita a guadagnarsi un ruolo importante per la regolamentazione delle ferie. Il D.Lgs. 66/2003, ad esempio, dispone una maturazione minima di n°4 settimane per un anno di servizio con godimento: di almeno due settimane nel corso dell'anno di maturazione; le restanti due settimane entro i 18 mesi successivi all'anno di maturazione (salvo un periodo maggiore previsto dai contratti collettivi). Il mancato rispetto di disciplina comporta, in capo al datore di lavoro, sia l'applicazione di sanzioni amministrative importanti sia la possibile richiesta di danno da parte del lavoratore, qualora la ragione del mancato godimento sia da collegarsi al continuo diniego del datore di lavoro alla fruizione del periodo di riposo. Attenzione: il disposto normativo appena citato può anche essere letto in un altro modo, forse pragmatico ma efficace. Nei primi due anni di assunzione, il lavoratore potrà godere di due settimane di ferie, consecutive o meno a seconda della sua scelta. Dal terzo anno in poi, al fine di evitare tematiche di riferimento sia previdenziali che civilistico-amministrative, il godimento effettivo dovrà sempre sostanziarsi in quattro settimane. Rimane l'annoso tema. L'epoca delle ferie è decisa da quale parte del rapporto sinallagmatico? È necessario un accordo? Certamente il lavoratore, in questa fase, non sembra favorito. In tal senso basti citare Cassazione n. 21918/2014 nella quale si afferma come “l'esatta determinazione del periodo feriale, presupponendo una valutazione comparativa di diverse esigenze, spetta unicamente all'imprenditore, quale estrinsecazione del generale potere organizzativo e direttivo dell'impresa; al lavoratore compete soltanto la mera facoltà di indicare il periodo entro il quale intende fruire del riposo annuale. Da ciò discende che non può, comunque, ritenersi consentito al lavoratore autoassegnarsi le ferie in assenza di una preventiva autorizzazione da parte del datore o qualora abbia ricevuto un espresso diniego dallo stesso.” Deve però rilevarsi come la decisione aziendale di collocare un lavoratore in ferie non sia poi suscettibile di modifiche indolori (a meno che non sopraggiunga con estrema velocità rispetto alla comunicazione del periodo in favore del dipendente). Le conseguenze nel caso di mutamento unilaterale di un periodo di ferie concordato sono riassumibili dalla Cassazione con la sentenza n. 1557 del 2000, la quale afferma che, salvo diversa disposizione della contrattazione collettiva, “Il potere attribuito all'imprenditore di fissare il periodo di godimento delle ferie da parte dei dipendenti implica anche quello di modificarlo pur in difetto di fatti sopravvenuti, in base soltanto a una riconsiderazione delle esigenze aziendali, senza che in senso contrario rilevi la prescrizione relativa alla comunicazione preventiva ai lavoratori del periodo stabilito”. Certo, considerando però eventuali conseguenze di natura patrimoniale che la scelta inciderà sul lavoratore (rimborsi biglietti aerei, mancati pernottamenti, etc). La monetizzazione ed il rapporto con il dirigente Già la Carta Costituzionale sancisce, ove occorresse, che la fruizione delle ferie è un diritto irrinunciabile del lavoratore e qualsiasi patto contrario è nullo. Questo significa che le ferie non godute non possono essere sostituite da un'indennità, salvo i casi previsti tassativamente dalla legge. Ad esempio, potranno essere monetizzate le ferie non godute alla cessazione del rapporto di lavoro ovvero quelle giornate di ferie ulteriori rispetto alle ordinarie quattro settimane di ferie annuali disposte, eventualmente, dal contratto collettivo (Circolare Ministero Lavoro n° 8 del 2003). Questo, si deve intendere, con accordo del lavoratore. Di certo l'indennità sostitutiva di ferie dovrà essere sottoposta a contribuzione. Questo è quanto stabilito dalla Cassazione con ordinanza n. 13473/2018 nella quale si afferma che il datore ha l'obbligo di pagare i contributi anche sull'indennità per le ferie non godute, poiché l'emolumento ha natura retributiva e, dunque, giustifica l'imposizione, trattandosi di un'attribuzione patrimoniale che non rientra nell'elenco tassativo delle erogazioni escluse dalla contribuzione. In relazione alla tematica della monetizzazione, diversamente, il profilo del dirigente merita un chiaro approfondimento. In linea generale, il dirigente che, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, non abbia fruito del meritato riposo, ha diritto a un'indennità sostitutiva a meno che il datore di lavoro dimostri di aver operato affinché il dirigente potesse esercitare il diritto in questione prima di tale cessazione, mediante un'adeguata informazione nonché, se del caso, invitandolo formalmente a farlo. Questo è quanto sancito dalla Cassazione con sentenza n. 18140/2022, nella quale viene esteso il diritto alla monetizzazione delle ferie anche ai lavoratori che ricoprono la qualifica dirigenziale. La sentenza citata merita un approfondimento, atteso che assume altresì principi già disposti dalla Direttiva 2003/88 del Parlamento Europeo concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro. La Corte di Giustizia Europea, al fine di consentire al giudice nazione di interpretare la norma italiana mantenendo fissi i principi cardine stabiliti dalla Direttiva UE, stabilisce tre argomentazioni da considerare per comprendere se il datore di lavoro ha adempiuto agli obblighi di informazione e pianificazione, al fine di porre il lavoratore nelle condizioni di fruire di tale diritto: la necessità che il lavoratore sia invitato “se necessario formalmente” a fruire delle ferie e “nel contempo informandolo in modo accurato e in tempo utile” – ne consegue che la mancata fruizione di tali ferie comporterebbe la perdita delle stesse al termine del periodo di riferimento; la necessità di “evitare una situazione in cui l'onere di assicurarsi dell'esercizio effettivo del diritto alle ferie annuali retribuite sia interamente posto a carico del lavoratore”; attribuire l'onere della prova a carico del datore di lavoro che dovrà dimostrare tutta la diligenza necessaria tale da mettere nelle condizioni il lavoratore di fruire delle ferie. Dalla lettura di tale sentenza si può ora comprendere come, guarda caso, la contrattazione collettiva dei Dirigenti Industria contiene una previsione in senso analogo (art 7 comma 4). Forse non una casualità dopo tutto.
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Daniele Bonaddio
- Consulente del lavoroRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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