giovedì 17/11/2022 • 06:00
La Cassazione, con l'ordinanza n. 30950 del 20 ottobre 2022, ha affermato - intervenendo in materia di licenziamento per GMO - che l'obbligo di repêchage impone al datore di lavoro di verificare l'assenza in azienda di posizioni lavorative corrispondenti alle mansioni di fatto svolte dal lavoratore interessato.
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Il caso in esame prende le mosse dal ricorso presentato da un responsabile di filiale avverso il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (consistente nella soppressione della posizione) intimatogli dalla società datrice di lavoro, affinché venisse accertata e dichiarata la sua illegittimità.
Il lavoratore fondava la propria domanda sul rilievo che le mansioni da lui ricoperte non erano state soppresse bensì trasferite presso la sede centrale, il suo posto era stato preso da un collega meno anziano e, comunque, avrebbe potuto essere assegnato, con uguali mansioni, ad un'altra filiale.
Il lavoratore chiedeva, altresì, la condanna della società al pagamento delle differenze retributive maturate a seguito del suo diritto di essere inquadrato nel livello contrattuale superiore.
Il Tribunale giudicava illegittimo il provvedimento espulsivo, ordinando alla società di reintegrare il ricorrente nel suo posto di lavoro e di risarcirgli il danno quantificato nelle retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione, oltre accessori di legge.
Il Tribunale riconosceva anche il diritto del lavoratore ad essere inquadrato nel livello superiore di cui al CCNL di settore, ordinando alla società di corrispondergli le differenze retributive per erroneo inquadramento, oltre accessori di legge.
La società impugnava la decisione di primo grado dinnanzi alla Corte d'appello territorialmente competente, la quale riteneva il licenziamento correttamente intimato, confermando la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva riconosciuto il superiore inquadramento e le annesse differenze retributive.
Nel richiamare i principi enunciati della giurisprudenza di legittimità in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, i giudici di merito osservavano che “il datore di lavoro aveva dato la prova dell'impossibilità di repêchage con riguardo all'inquadramento rivestito all'atto del licenziamento osservando che il diverso inquadramento risultava essere successivo allo stesso”. E, coordinando “l'onere di allegazione del lavoratore con quello di prova gravante sul datore”, concludevano i giudici “per l'insussistenza di posizioni utili cui riassegnare il lavoratore”.
Il lavoratore decideva, dunque, di proporre ricorso in cassazione, affidandosi a 5 motivi.
La soluzione della Corte di Cassazione
Secondo la Corte di Cassazione investita della causa, i giudici di merito, pur avendo riconosciuto che il lavoratore avesse svolto durante l'intercorso rapporto di lavoro mansioni riconducibili ad un livello di inquadramento superiore, non ne hanno tenuto conto “nel verificare in concreto l'esistenza di possibilità di ricollocamento in azienda in relazione all'avvenuta soppressione della posizione lavorativa di cui nei fatti non svolgeva i compiti”.
Sempre ad avviso della Corte di Cassazione, nel verificare la legittimità del licenziamento ed in relazione all'obbligo di repêchage, la Corte di appello avrebbe dovuto verificare, sulla base delle allegazioni e delle prove dedotte in giudizio, che non sussistevano all'interno dell'organizzazione aziendale posizioni lavorative corrispondenti alle mansioni di fatto assegnate al lavoratore.
A fondamento della propria tesi, la Corte di Cassazione ha ricordato l'art. 3 della Legge 604/66 ai sensi del quale “il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da (…) ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”. In particolare, la stessa ha ricordato che, ai fini della legittimità di tale tipologia di licenziamento, è necessaria:
Non da ultimo, la Corte di Cassazione, richiamando suoi precedenti giurisprudenziali, ha ribadito che l'onere probatorio circa la sussistenza dei citati presupposti è in capo al datore di lavoro, restando invece escluso che incomba sul lavoratore un onere di allegazione di posti assegnabili.
Alla luce di tutto quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore.
Fonte: Cass. 20 ottobre 2022 n. 30950
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