lunedì 14/11/2022 • 06:00
La Cassazione, con la pronuncia del 2 novembre 2022 n. 32228, dichiara che deve ritenersi legittima la trasformazione unilaterale, da parte del datore di lavoro, del contratto di lavoro part time in tempo pieno finalizzata al riassetto organizzativo dei propri uffici.
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Nel caso in oggetto, le lavoratrici di un'azienda sanitaria locale adivano il competente Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro per veder dichiarata l'illegittima condotta della direzione della predetta Asl che unilateralmente aveva trasformato i precedenti rapporti di lavoro part time a tempo pieno. Accolte le proprie istanze dal Giudice di prime cure, la Corte d'Appello Territoriale ne riformava la decisione. Le lavoratrici ricorrevano alla Suprema Corte con unico motivo di doglianza ai sensi dell'art. 360 c.p.c. per violazione e falsa applicazione della normativa di riferimento ex art 16 Legge 183/2010.
Il rapporto di lavoro part time tra potere datoriale e necessità organizzative
Per definizione, il contratto di lavoro a tempo parziale (part-time) è identificabile in quel contratto ove la prestazione viene resa dal dipendente per un numero inferiore di ore (giornaliere o settimanali) a quelle previste dal contratto di lavoro a tempo pieno (full-time) disciplinato dal CCNL di riferimento.
Ciò posto, la disciplina del rapporto di lavoro a tempo parziale ha subìto nel tempo alcune modifiche per cui, allo stato attuale, tale tipologia trova previsione nel D.Lgs. 81/2015 abrogativo del precedente D.Lgs. 66/2000. In base alla precedente normativa, il contratto di lavoro a tempo parziale poteva qualificarsi in:
Ciò premesso, ai fini della stipulazione, ovvero trasformazione, del contratto di lavoro part-time è necessario sempre:
In un'ottica di bilanciamento degli interessi (quelli del datore e quelli del lavoratore) vale la pena evidenziare, per completezza espositiva, che la stessa Suprema Corte (Ord. n.31349 del 3 novembre 2021) ha precisato che “il datore può modificare la collocazione temporale della prestazione nel rispetto dei limiti legali e contrattuali della durata massima dell'orario di lavoro” e che “lo ius variandi può subire una significativa limitazione solo in relazione ai contratti part time, ove la programmabilità del tempo assume carattere essenziale”.
Il comportamento secondo correttezza
Nel caso di specie, la direzione della resistente ASL avrebbe, con ampi margini di tempo, provveduto a comunicare ai dipendenti con contratto part time la volontà di rideterminare la qualificazione del loro rapporto in un'ottica di riassetto organizzativo. Avrebbe altresì consentito un consistente prolungamento del rapporto a tempo parziale al fine di consentire la creazione di una graduatoria riferita alle volontà dei dipendenti in merito alla possibile trasformazione. Insomma, avrebbe ottemperato a quanto previsto dalla disciplina ex art. 16 della L. 183/2010 secondo cui “entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le pubbliche amministrazioni possono rideterminare le assegnazioni temporanee in corso in base a quanto previsto dal comma 2-sexies dell'articolo 30 del citato decreto legislativo n. 165 del 2001, introdotto dal comma 2 del presente articolo”.
Sul punto, si evidenzia peraltro che “il potere attribuito alle pubbliche amministrazioni dall'art. 16 della Legge 183/2010 non consente in nessun caso la modifica unilaterale degli accordi contenuti nei singoli contratti individuali già stipulati, ma attribuisce solo al datore di lavoro pubblico la possibilità di riesaminare, alla luce dei più stringenti criteri previsti dall'art. 73 DL 112/2008, i provvedimenti di concessione del part time elativi ai rapporti di lavoro trasformati (da tempo pieno a tempo parziale) prima del 25 giugno 2008 (data di entrata in vigore del DL 112/2008); con la possibilità per l'Ente pubblico di trasformare unilateralmente tali rapporti di lavoro in tempo pieno anche contro la volontà del lavoratore (Trib. Rimini 27/6/2011).
Alla luce di quanto emerso in fase istruttoria, non può che non affermarsi che la condotta della direzione dell'azienda ASL non abbia rispettato il requisito di buona fede e correttezza ex art. 1175 c.c. che rappresenta uno dei principi fondamentali alla base di ogni rapporto contrattuale. Principio della buona fede oggettiva, intesa come reciproca lealtà di condotta, finalizzata a presiedere l'esecuzione del contratto così come deve presiedere nella volontà del legislatore, alla sua formazione ed interpretazione, accompagnandolo nel dovere di solidarietà e cooperazione (cfr. Cass. Civ. sez II n. 20399 del 18.10. 2004).
Conclusioni
Tanto su esposto, alla luce dei fatti emersi e dei principi di diritto afferenti alle norme di riferimento ivi illustrate, si può affermare (condividendo il percorso logico giuridico effettuato dal Giudice di legittimità) che la condotta contrattuale dell'azienda ASL datrice di lavoro sia stata perfettamente aderente alla volontà del legislatore e rispettosa dei principi fondamentali che disciplinano la materia dei contratti e delle obbligazioni.
Fonte: Cass. 2 novembre 2022 n. 32228
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