lunedì 31/10/2022 • 06:00
Con la sentenza C-641/21 del 27 ottobre 2022, la Corte di Giustizia UE propone una interessante novità relativamente all'azione di contrasto alle “frodi comunitarie”: “il luogo di una prestazione di servizi non può essere modificato, in violazione dell'art. 44 della direttiva 2006/112/CE, neanche quando l'operazione considerata è viziata da frode IVA”.
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La Corte ha stabilito che, nel caso di una prestazione di servizi fornita da un soggetto passivo stabilito in uno Stato UE a un soggetto passivo stabilito in un altro Stato UE, le autorità del primo Stato non possono ritenere che il luogo della prestazione (situato, ai sensi della direttiva IVA, in tale altro Stato membro) sia situato nel primo Stato membro se il prestatore sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare a una frode IVA commessa dal destinatario della prestazione nell'ambito di una catena di operazioni.
È appena il caso di richiamare cosa comprenda la “frode comunitaria”. Una precisa indicazione delle fattispecie che possono integrare tale nozione fu introdotta dalla Risoluzione del Consiglio del 6 dicembre 1994 sulla tutela giuridica degli interessi finanziari della Comunità, in base alla quale furono annoverati in tale concetto “tutti gli atti o le omissioni intenzionali che causano un danno per il bilancio delle Comunità o per i bilanci gestiti da esse o per loro conto e che implicano, da un lato, appropriazione indebita, detenzione illecita e distrazione dei fondi e, dall'altro, un'indebita diminuzione delle entrate”.
Nel contesto nazionale, alle operazio
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