giovedì 27/10/2022 • 06:00
L'aggiornamento delle istruzioni operative sull'applicazione delle sanzioni previste dalla normativa antiriciclaggio ad opera del MEF permette di ribadire alcune perplessità su un sistema sanzionatorio che appare incentrato su una discrezionalità troppo ampia dell'amministrazione finanziaria nel declinare i criteri di determinazione dell'importo delle sanzioni.
A distanza di oltre cinque anni dall'emanazione della circolare DT 54071 del 6 luglio 2017, esplicativa del sistema sanzionatorio introdotto dal D.Lgs. 90/2017 (di recepimento della quarta direttiva antiriciclaggio), il Dipartimento del Tesoro ha ritenuto di dover aggiornare le istruzioni operative fornite agli uffici centrali e territoriali del Ministero dell'economia e delle finanze competenti all'irrogazione delle sanzioni nei confronti dei destinatari degli obblighi antiriciclaggio ritenuti inadempienti. L'ambito applicativo della circolare DT 56499 del 17 giugno 2022, diffusa nei giorni scorsi, è quello delineato dall'art. 65 D.Lgs. 231/2007: vi rientrano a pieno titolo i professionisti quali soggetti obbligati non sottoposti alla vigilanza delle autorità di vigilanza di settore. Le istruzioni operative sono fornite con riferimento a ciascun singolo obbligo previsto dalla normativa antiriciclaggio e contengono importanti puntualizzazioni rispetto alla versione precedente. Omessa segnalazione di operazioni sospette Con riferimento all'omessa SOS l'art. 58 D.Lgs. 231/2007 prevede: al comma 1 una fattispecie “base”, non connotata dalla presenza di ulteriori elementi qualificanti della condotta materiale, per la quale è prevista l'applicazione della sanzione pecuniaria nella misura di € 3.000; al comma 2 una fattispecie “qualificata”, legata alla presenza, alternativa o cumulativa, di ulteriori elementi concernenti il carattere “grave”, “ripetuto”, “sistematico”, “plurimo” della condotta che dà luogo alla violazione. In tal caso, la sanzione da applicarsi varia tra un minimo e un massimo edittali (da 30.000 euro a € 300.000 euro). Muovendo da tale presupposto, la circolare si sofferma in primo luogo sui suddetti elementi della condotta materiale, fornendo indicazioni in merito ad alcune differenze di non immediata percezione, in ordine alla ricorrenza della ‘violazione qualificata' cui la norma associa - conseguentemente - l'inasprimento del trattamento sanzionatorio. Seguendo la trattazione esposta nel documento, il primo dei parametri che viene analizzato è la ripetitività della condotta. Al riguardo, il richiamo a “ulteriori contestazioni della stessa violazione, almeno una delle quali sia stata riconosciuta sussistente con irrogazione della sanzione” evoca il concetto di recidiva, di carattere penale, laddove appare sostenibile escludere la violazione ripetuta ove non sia della stessa natura di altra già accertata con irrogazione della sanzione. Del resto, il documento prosegue affermando testualmente che incombe - a tal fine - sui componenti del nucleo ispettivo l'onere di assumere informazioni presso l'incolpato circa medesimi provvedimenti sanzionatori (e non già procedimenti) notificatigli per la medesima violazione nell'arco dell'ultimo quinquennio. In tale contesto, tutto sommato garantista nell'interesse dell'incolpato, mal si concilia una illimitata discrezionalità tecnica che si vorrebbe riconosciuta all'autorità procedente con riferimento a provvedimenti sanzionatori anche più remoti. Appare infatti evidente come il concetto di ripetitività sia ontologicamente incompatibile, se non addirittura negato, con una ricerca di condotte sanzionate ancor più risalenti nel passato, dovendosi peraltro allineare con il termine quinquennale che è concesso all'amministrazione per l'accertamento delle violazioni. Quanto alla sistematicità della violazione, il collegarne la ricorrenza innanzitutto all'ampiezza dell'arco temporale di controllo rispetto alle violazioni accertate sembrerebbe poterne escludere la configurabilità soprattutto se, rispetto alla ripetitività, si contestano più omesse segnalazioni relative a operazioni e/o rapporti diversi. Seguendo l'approccio della circolare, appaiono quindi censurabili tutti quei PVC in cui gli accertatori hanno ritenuto le condotte contestate integranti violazioni qualificate senza dettagliare e motivare quali elementi di cui all'art. 58, c. 2, D.Lgs. 231/2007 siano rinvenibili e in che misura. Dalla lettura del documento, si potrebbe infatti arrivare anche a ritenere detti parametri antitetici tra loro perché la ripetitività, che si basa sul comportamento recidivo rispetto a violazioni già notificate, non pare cumulabile con la sistematicità in assenza di provvedimenti sanzionatori pregressi se non nei casi in cui si riferisca ad operazioni o rapporti differenti. E così, venendo alla distinzione tra violazioni “sistematiche” e plurime”, essa è ricondotta dal MEF ad un criterio di carattere principalmente quantitativo/percentuale. In tal senso, la violazione deve ritenersi “sistematica” allorquando il relativo comportamento omissivo sia stato riscontrato e verbalizzato dall'autorità con riferimento ad un numero sufficientemente elevato di singole operazioni, riconducibili a prestazioni professionali distinte dal punto di vista soggettivo e/o oggettivo, non necessariamente riferibili allo stesso cliente. Di contro, il carattere “plurimo” di una violazione può riguardare anche una singola prestazione professionale, se articolata in più operazioni distinte sul piano oggettivo o economico-giuridico, che danno luogo a più fattispecie autonome, per ciascuna delle quali il professionista sia in grado di rilevare gli elementi di sospetto. Sulla scorta della circostanza in ragione della quale il carattere “sistematico” dovrebbe delineare la condotta omissiva quale modus operandi prevalente del soggetto obbligato, la circolare specifica che quest'ultimo potrebbe rigettare la relativa contestazione esclusivamente documentando le eventuali SOS effettuate in precedenza anche se in contesti diversi, purché non episodici e lontani nel tempo. Quanto ai criteri specifici ai fini dell'individuazione e della graduazione della gravità della violazione contestata, il MEF ne propone una descrizione dettagliata con alcune casistiche, quale ad esempio quella riguardante l'invio di una SOS priva di efficacia esimente per il segnalante, circostanza che si verifica allorquando la segnalazione è inviata in corso di accertamento oppure successivamente all'adozione da parte delle autorità di atti formali oggettivamente o soggettivamente connessi con le operazioni contestate. In tal caso, si osserva nella circolare, il grado di collaborazione attiva insito nell'invio della SOS potrebbe essere addirittura valutato negativamente in quanto reputato un atto palesemente privo di qualsiasi valore e utilità. Sul punto merita una annotazione specifica il pericoloso (e sostanziale?) accostamento degli indicatori di anomalia alle presunzioni semplici, pur difettando i primi di quei connotati di gravità, precisione e concordanza, parametri invece tipici delle seconde e assolutamente estranei - perchè incompatibili - ad una schematizzazione di comportamenti anomali di mero supporto alla valutazione da parte del soggetto obbligato anche dei soli ragionevoli motivi di sospettare che sia in corso, sia stata eseguita o solo tentata un'operazione di riciclaggio. Riconoscere cioè valenza, in termini di quantificazione della sanzione “aggravata”, ad un processo valutativo che prescinda dal dubbio circa la provenienza criminosa della provvista finanziaria veicolata nell'operazione accertata, senza uno specifico onere probatorio a carico dei verificatori, pregiudica irreparabilmente il diritto di difesa del soggetto obbligato sottoposto a controllo. Circa il quantum da applicare in caso di violazione “qualificata”, la circolare conferma l'ulteriore suddivisione dell'intervallo edittale previsto (da € 30.000 a € 300.000) in tre sub-intervalli di pari ampiezza, corrispondenti a tre gradi crescenti di intensità della violazione: 30.000-120.000; 120.000-210.000; 210.000-300.000. L'intervallo è selezionato in base al grado di intensità della violazione “qualificata” da sanzionare e alla tipologia dei parametri ricorrenti nel caso concreto, attribuendo maggior peso al carattere “sistematico” e a quello “grave”, la cui sussistenza – laddove accertata – fa necessariamente ricadere la sanzione nel secondo o terzo intervallo. Individuato il sub-intervallo, l'importo della sanzione dovrà essere determinato tenuto conto dei seguenti criteri applicativi di cui all'art. 67 D.Lgs. 231/2007 riferibili al soggetto obbligato, tra i quali le dimensioni e la capacità finanziaria, l'entità del vantaggio ottenuto, delle perdite evitate e del pregiudizio cagionato a terzi per effetto della violazione, il livello di cooperazione con le autorità, l'adozione di adeguate procedure di valutazione e mitigazione del rischio, le eventuali precedenti violazioni commesse. Inosservanza degli obblighi di adeguata verifica della clientela e di conservazione Anche con riferimento alle violazioni degli obblighi di adeguata verifica della clientela e di conservazione dei dati e delle informazioni, gli artt. 56 e 57 D.Lgs. 231/2007 individuano: al comma 1 una fattispecie “base”, non connotata dalla presenza di ulteriori elementi qualificanti della condotta materiale, per la quale è prevista l'applicazione della sanzione pecuniaria nella misura di € 2.000; al comma 2 una fattispecie “qualificata”, legata alla presenza, alternativa o cumulativa, di ulteriori elementi concernenti il carattere “grave”, “ripetuto”, “sistematico”, “plurimo” della condotta che dà luogo alla violazione. In tal caso, la sanzione da applicarsi varia tra un minimo e un massimo edittali (da 2.500 euro a 50.000 euro). In relazione ai criteri da adottare ai fini dell'accertamento della violazione “qualificata” degli obblighi di adeguata verifica si pone l'accento, in particolare, sull'elemento della gravità riferito alla “rilevanza ed evidenza dei motivi del sospetto” ex art. 56, co. 2. Tale elemento rileva sia nella circostanza che la violazione sia una diretta conseguenza dell'inosservanza dell'obbligo di segnalazione, nel qual caso l'omessa adeguata verifica risulta assorbita dall'omessa SOS, risultando quest'ultima l'unica violazione sanzionabile (ex art. 58, co. 5); sia nel caso in cui la violazione riguardi esclusivamente la sussistenza dell'obbligo o le modalità di adempimento dello stesso in relazione al livello di rischio. Anche in questo caso, la determinazione del quantum è subordinata all'ulteriore suddivisione dell'intervallo edittale previsto (da € 2.500 a € 50.000) in tre sub-intervalli di ampiezza diversa corrispondenti a tre gradi crescenti di intensità della violazione: 2.500-15.000; 15.000-30.000; 30.000-50.000. In particolare, l'ampiezza di ciascun intervallo cresce in corrispondenza della maggiore frequenza e/o intensità della gravità della violazione, del disvalore connesso alla adozione non episodica di pratiche non conformi al dettato normativo e delle ricadute negative prodotte sull'effettività dei presidi antiriciclaggio e sul sistema di prevenzione complessivamente considerato. L'importo della sanzione deve essere determinato considerando i citati criteri di cui all'art. 67 D.Lgs. 231/2007, con la precisazione che gli eventuali elementi relativi all'entità del vantaggio ottenuto, delle perdite evitate e del pregiudizio cagionato a terzi per effetto della violazione rilevano esclusivamente nel caso in cui l'omessa adeguata verifica sia assorbita dall'omessa SOS. Quanto alla violazione degli obblighi di conservazione, la circolare si limita ad evidenziare che le relative sanzioni possono riguardare esclusivamente condotte poste in essere a partire dal 4 luglio 2017, data di entrata in vigore del D.Lgs. 90/2017 che ha introdotto la nuova fattispecie sanzionatoria riferibile a detta violazione. Fonte: Circ. MEF n. 56499 del 17 giugno 2022
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