giovedì 27/10/2022 • 06:00
La Cassazione ribadisce che gli usi aziendali si configurano solo quando comportano l'attribuzione di un trattamento più favorevole ai lavoratori rispetto a quello previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva. Pertanto, non rileva la prassi aziendale, peggiorativa rispetto al CCNL, riguardo l'orario per il pasto dei lavoratori.
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Il 20 ottobre 2022, la Corte di Cassazione si è espressa a definizione del ricorso n. 21272 – 2021, promosso da una società a responsabilità limitata operativa nel settore della Metalmeccanica Industria, averso un proprio dipendente addetto a turni avvicendati (e dunque beneficiario della relativa maggiorazione).
La causa aveva ad oggetto la richiesta, da parte del lavoratore stesso, della maggiorazione per turni avvicendati “anche sulla mezz'ora retribuita prevista per la refezione” di cui all'articolo 5 del contratto collettivo nazionale die dirigenti industria.
La sentenza in questione contiene molteplici elementi di interesse.
Infatti, da un lato (il più lampante forse), l'esame della suprema Corte ricostruisce la retribuzione del lavoratore durante le fasce dedicate ai pasti, in applicazione dei dettami dell'art 5 del CCNL Metalmeccanica Industria applicato al rapporto di lavoro.
Dall'altro lato, la pronuncia in esame circoscrive il complesso tema delle rinunce del lavoratore e del rapporto complesso tra prassi aziendali e contrattazione collettiva (di ogni livello).
Il caso
Chiaramente, come in tutte le ricostruzioni giurisprudenziali, non si può prescindere dalla narrazione dei fatti.
La causa muove in prima battuta dall'opposizione ad un decreto ingiuntivo. Nello specifico il Tribunale ingiungeva alla società di procedere al pagamento di € 1.317,75 a titolo di maggiorazioni da indennità di turno spettanti al dipendente anche sulla mezzora retribuita prevista per la refezione in forza dell'art. 5 del CCNL Metalmeccanici Industria applicato al rapporto di lavoro. Peraltro, nel caso di specie, l'azienda era dotata di un accordo collettivo di secondo livello (aziendale) appositamente stipulato per lo stabilimento di Catania in data 09.05.2007 il quale non disciplinava pedissequamente la fattispecie della fruizione di mezz'ora per i pasti retribuita.
La società proponeva a sua volta opposizione averso il provvedimento monitorio, respinta dal Tribunale competente sulla base di molteplici determinazioni le quali, in linea principali, possono così riassumersi:
La medesima posizione veniva espressa anche dalla Corte di appello di Catania.
Pertanto, la società proponeva ricorso per Cassazione averso la sentenza di secondo grado.
L'orario di lavoro dei turnisti
Come citato in premessa, dal punto di vista della contrattazione collettiva, la disposizione di riferimento è l'art 5 del CCNL Metalmeccanici Industria. Dopo aver fornito le specifiche circa la durata massima dell'orario di lavoro cui nel settore possono essere sottoposti i lavoratori, l'articolo di riferimento fornisce alcune precisazioni circa l'orario di lavoro dei lavoratori addetti a turni avvicendati. Si riporta di seguito il passaggio di interesse:
“Con decorrenza dal 1° luglio 1978 tutti i lavoratori addetti a turni avvicendati beneficiano di mezz'ora retribuita per la refezione nelle ore di presenza in azienda. Da tale disciplina sono esclusi i lavoratori a turni avvicendati, i quali già usufruiscano nell'ambito delle 8 ore di presenza di pause retribuite complessivamente non inferiori a 30 minuti che consentano il consumo dei pasti, ad eccezione di quelle che siano state esplicitamente concesse ad altro titolo. Laddove se ne ravvisi l'esigenza, le parti in sede aziendale potranno concordare diverse modalità di regolazione della mezz'ora retribuita per la refezione”.
Ora, nel caso di specie la società ricorrente, evidenziava la presenza di una prassi (definibile anche uso o consuetudine) che, a suo dire, rilevava quale sostanziale disapplicazione dell'art. 5 del CCNL con riferimento al passaggio sopra riportato. In concreto, l'azienda sosteneva l'esistenza di una prassi consuetudinaria in deroga alle previsioni del contratto nazionale.
La prassi aziendale
Giova, a questo punto, consegnare una definizione, per quanto possibile, di uso e consuetudine o prassi aziendale.
Nel diritto civile si possono distinguere varie categorie di usi, tra i quali quelli normativi, negoziali o contrattuali, senza considerare quelli interpretativi o generali. Partendo dalla lettura delle disposizioni del codice civile, deve fin da subito rilevarsi come l'art 1 delle disposizioni sulla legge in generale (c.d. preleggi) cita da subito l'uso quale ultimo gradino della scala gerarchica delle “fonti del diritto” (mutuando l'insegnamento di un illustre costituzionalista, le fonti del diritto possono essere definite come qualsiasi atto o fatto idoneo a produrre nome giuridiche o a mutare l'ordinamento giuridico). Ed in effetti gli usi di cui alle preleggi (laddove l'art 8 delle stesse detta i rapporti tra gli usi e le altre fonti del diritto) devono considerarsi normativi, definibili anche come consuetudini.
Al di là della base normativa, la consuetudine per essere giuridicamente apprezzabile deve sostanziarsi di due fattori:
Tornando alla sentenza, il sistema legislativo italiano prevede la possibilità di derogare alle disposizioni statuite dalla contrattazione collettiva nazionale solamente in caso di deroga in melius. Elemento questo, ribadito e sottolineato anche dalla Corte di Cassazione che nello specifico precisa che “gli usi aziendali possono essere idonei a derogare soltanto in melius la disciplina collettiva, non avendo invece alcuna rilevanza nel caso in cui essi prevedano una disciplina peggiorativa della condizione del lavoratore (orientamento costante della corte, vedasi all'uopo Cass. n. 12156/2000 e 31204/2021)”.
A nulla rileva, pertanto, che gli usi applicati dall'azienda siano stati perpetrati per molto tempo, trattandosi di trattamenti derogatori in peius. In tal senso la suprema corte ha affermato la configurabilità degli “usi aziendali solo quando comportino l'attribuzione, in modo generalizzato, reiterato e spontaneo, di un trattamento più favorevole ai lavoratori rispetto a quello previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva. Desumendo quindi che l'uso aziendale non ricorre in caso di reiterata violazione dei diritti derivanti dalla disciplina legale dell'orario di lavoro, non suscettibile di rinuncia, fato salvo il potere di deroga riconosciuto dal legislatore alle OO.SS. (Cass. n. 15995/2016)”.
Decaduta l'ipotesi della prassi opponibile, il ricorso promosso dal datore di lavoro sia in secondo che in terzo grado valutava anche un fenomeno di “inerzia del lavoratore”, intendendo per tale un concetto di rinuncia tacita dello stesso alle richieste economiche derivabili dalla contrattazione collettiva.
A questo proposito, ricalcando quanto affermato dalla corte d'appello e dal Tribunale di Catania, la Corte di Cassazione ha ribadito che al fine di poter ritenere effettiva la volontà tacita di rinunciare ad un diritto è necessario che il titolare dello stesso ponga in essere dei comportamenti concludenti che dimostrino la sua volontà di non avvalersi del diritto in questione. Diversamente, la sola inerzia non sottenderebbe dunque in alcun modo alla volontà di rinunciare ad un diritto, dato che potrebbe derivare da ignoranza o temporaneo impedimento.
Conclusioni
La sentenza in parola offre la possibilità di comprendere l'intricato rapporto tra diverse fonti del diritto, nel caso di specie la contrattazione collettiva e l'uso o consuetudine. Lungi dal non ritenere meritevole il secondo di apprezzamento giuridico, la Cassazione ha sottolineato la sua natura derogativa in melius rispetto alle previsioni del contratto di diritto comune.
Nel contempo, dal punto di vista pragmatico, la suprema Corte ha anche offerto una lettura delle previsioni di cui all'art 5 del contratto collettivo nazionale del lavoro per le aziende della Metalmeccanica industria che non sembra lasciare molto spazio ad interpretazioni. Attesa la rilevanza oraria ex D.Lgs. 66/2003, della mezz'ora per la fruizione del pasto, le indennità di riferimento disposte per la turnazione avvicendata devono trovare riconoscimento.
Il tutto, salvo diversa previsione della contrattazione collettiva, non dell'uso.
Fonte: Cass. 20 ottobre 2022 n. 30928
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