giovedì 20/10/2022 • 06:00
La Suprema Corte ha ribadito il suo orientamento secondo il quale il nesso di causalità tra l'evento morboso subito dal dipendente e l'attività lavorativa svolta dallo stesso, può essere dimostrato in giudizio anche mediante presunzioni semplici.
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In data 10 ottobre 2022 è stata pubblicata la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, n. 29435.
Il caso
La fattispecie riguardava la richiesta di un infermiere professionale, ex dipendente di una cooperativa privata che gestiva una RSA (Residenza Sanitaria per Anziani), di vedere riconosciuta la natura professionale, con conseguente indennizzo da parte dell'INAIL, dell'infezione da virus HCV (epatite C) che egli aveva contratto.
Nei primi due gradi di giudizio, promosso contro la medesima INAIL, i giudici di merito avevano rigettato le domande promosse dal lavoratore, per non essere quest'ultimo riuscito a provare, come invece era suo preciso onere, la cd. causa di lavoro, ossia la nocività dell'ambiente professionale che avrebbe determinato l'insorgenza della sua malattia, mediante la rigorosa, certa e puntuale dimostrazione del fatto all'origine della stessa.
La Suprema Corte, adita sulla questione ha cassato la pronuncia d'appello, richiamando propri precedenti oramai piuttosto risalenti (il primo, in particolare, del 2000) per affermare che «nell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, costituisce causa violenta [ossia, l'evento qua
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