mercoledì 19/10/2022 • 06:00
Un nuovo approfondimento della categoria passa in rassegna la portata del segreto professionale, nella sua veste di obbligo cui è sottoposto il consulente e di prerogativa di cui lo stesso si può avvalere nell'ambito di un processo penale.
redazione Memento
“L'obbligo del segreto professionale per il consulente del lavoro” è questo il titolo del nuovo approfondimento pubblicato dalla Fondazione Studi per fare il punto su un aspetto della professione che, se da un lato, si atteggia come un “obbligo” che il consulente del lavoro è tenuto a rispettare, dall'altro costituisce una prerogativa di cui si lo stesso si può avvalere nell'ambito di un processo penale, in tal modo esimendosi dal deporre su quanto a lui confidato o pervenuto a sua conoscenza per ragione della propria professione. A livello normativo, come noto, il segreto professionale è disciplinato dall'art. 6 L. 12/79 sull'ordinamento della professione di consulente del lavoro, che, al primo periodo, ne impone l'obbligo e, al secondo, stabilisce che nei confronti di tale professionista “si applica l'articolo 351 del codice di procedura penale”. Il dovere di osservanza è, inoltre, ribadito nel precetto ex articolo 25 del Codice deontologico per l'esercizio della professione di consulente del lavoro. L'oggetto sul quale il consulente deve mantenere il segreto ed il massimo riserbo è rappresentato dalle attività prestate e da tutte le informazioni che gli siano fornite dal cliente, nonché da quelle di cui sia venuto a conoscenza in dipendenza dell'incarico affidatogli. Pertanto, i presupposti affinché il consulente del lavoro sia tenuto all'obbligo del segreto sono: l'esistenza di un mandato professionale; il fatto che le notizie gli siano state riferite dal proprio cliente in funzione del mandato ricevuto. L'obbligo sussiste non solo nel corso dell'espletamento dell'incarico professionale, ma anche dopo che questo si sia concluso. Per converso, non può ravvisarsi alcuna lesione dell'obbligo del segreto professionale nel caso in cui il consulente del lavoro riferisca fatti conosciuti al di fuori di uno specifico conferimento di incarico professionale cui gli stessi attengono. Il documento della Fondazione studi passa in rassegna i presupposti dell'obbligo e della responsabilità penale, soffermandosi sulle conseguenze dirette nei casi in cui si riveli il segreto “in ragione della propria professione” e “senza giusta causa”. È presa in analisi anche l'ipotesi in cui l'autorità giudiziaria chieda al consulente la consegna “immediata” di documenti e informazioni relativi ad un cliente sottoposto a indagine penale. L'approfondimento, infine, delineato il perimetro normativo, attraverso la ricognizione della giurisprudenza della Corte di Cassazione, individua la documentazione che il consulente è tenuto a consegnare per poi soffermarsi sulla facoltà di opporre il segreto professionale alla richiesta di esibizione dei documenti, che, come evidenziato, può essere esercitata anche senza il “preventivo avvertimento da parte dell'autorità che procede”. Fonte: Approfondimento Fondazione Studi Consulenti del Lavoro 18 ottobre 2022
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Chiara Ciccia Romito
- PhD - Avvocato - Consulente Commissione Parlamentare Inchiesta Condizioni di LavoroRimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
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