sabato 15/10/2022 • 06:00
Il legislatore impone nuovi obblighi per i datori di lavoro che vogliono procedere alle delocalizzazioni e al licenziamento del personale. In merito interviene il Tribunale di Trieste, che con la sentenza n. 362/2022 blocca i licenziamenti collettivi previsti da una multinazionale per violazione degli obblighi di informazione sindacale.
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Il caso Wartsila Italia ha suscitato molto scalpore: la multinazionale finlandese, avviando la procedura prevista dall'art. 1, c. 224, Legge 234/2021, in data 14 luglio 2022, preannunciava in maniera inaspettata la cessazione dell'attività di produzione motori e assemblaggio di propulsori nei suoi siti triestini, con il conseguente esubero di 451 lavoratori.
Tra le reazioni più importanti, quella sindacale. Con ricorso ex art. 28 Legge 300/1970 (la c.d. repressione della condotta antisindacale), FIM-CISL, FIOM CGIL, UILM UIL denunciavano l'azienda per non aver adempiuto agli obblighi di informazione sindacale previsti dalla contrattazione collettiva di settore e dalla contrattazione integrativa aziendale, non aver specificato nella comunicazione formale quali fossero le ragioni economiche, finanziarie, tecniche o organizzative della chiusura degli stabilimenti, non aver mai fatto trapelare nel recente passato tali intenzioni, anzi, al contrario, di aver sempre dato rassicurazioni sul futuro occupazionale della società. Anche la Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia interveniva nel procedimento, costituendosi in giudizio contro Wartsila.
La multinazionale, nella sua difesa, eccepiva come la decisione fosse stata presa dalla casa madre finlandese e di aver agito in conformità alla Market Abuse Regulation costituita ai sensi dei regolamenti europei, per tutelare la segretezza delle informazioni ed evitare impatti sui mercati azionari.
Il Giudice del Lavoro, dopo aver dichiarato inammissibile l'intervento della Regione, condanna la Società sostanzialmente per i seguenti motivi:
Il Tribunale quindi riporta indietro la situazione ed ordina la revoca della comunicazione di avvio della procedura ex art.1 Legge 234/2021, sancendo l'obbligo che sia tenuta la concertazione tra datore di lavoro e sindacati prevista dalla contrattazione collettiva, e che la stessa sia effettiva e non solo formale.
Il magistrato non si limita alla condanna per comportamento antisindacale della multinazionale, ma punisce la società anche per il danno di immagine al sindacato. “…Non v'è chi non veda che un sindacato messo dinanzi al fatto compiuto della chiusura di uno stabilimento senza avere avuto possibilità alcuna di interloquire con l'azienda come da previsioni contrattuali, è un sindacato che agli occhi dei lavoratori non è in grado di rappresentare le loro istanze …”, argomenta la sentenza. Ed il danno è ancora più grave, a parere del tribunale, tenendo conto che la vicenda viene portata all'attenzione anche di tutti i cittadini dai mass media locali e nazionali.
Accogliendo la domanda di risarcimento per danno all'immagine, il giudice condanna la società a corrispondere alle associazioni sindacali ricorrenti un importo di € 50.000 per ciascuna (oltre le spese di lite) e a far pubblicare l'estratto del decreto su sette quotidiani, anche a tiratura nazionale.
Fonte: Trib. Trieste 23 settembre 2022 n. 362
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