lunedì 17/10/2022 • 06:00
La Cassazione, con la sentenza n. 29342/2022, ha stabilito che non è inerente il maggior costo, rispetto a quanto originariamente pattuito dalle parti, che la contribuente aveva spontaneamente riconosciuto a controparte.
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La sentenza che qui si commenta appare, per certi aspetti, datata, almeno nella misura in cui argomenta la soluzione adottata con argomenti che si pensavano oramai superati. Non è necessariamente una soluzione sbagliata, solo che destano perplessità le ragioni in concreto impiegate.
Ragioni della decisione
Con la sentenza in esame, la Corte disconosce la deducibilità di un costo (nonché la detrazione della relativa IVA) sull'assunto che detto costo non sarebbe inerente. Nel merito, si trattava del maggior costo, rispetto a quanto originariamente convenuto dalle parti, che la contribuente aveva “motu proprio” riconosciuto a controparte (che, dal canto suo, aveva prontamente accettato). Ebbene, per la Corte un simile costo non sarebbe deducibile in quanto “la causa concreta del surplus del costo [è] al di fuori della corrispettività con l'attività funzionale all'impresa, rendendolo fiscalmente neutro”.
Formalmente, il ragionamento della Corte potrebbe apparire corretto, nella misura in cui sembrerebbe riprendere la più recente giurisprudenza della Suprema Corte in tema di inerenza.
In verità, la giustificazione adottata non convince.
Evoluzione della Cassazione sul tema dell'inerenza
In tema di inerenza, come noto, la Cassazione ha compiuto un'importante evoluzione, che ha portato a rimeditare in modo profondo l'istituto.
Così, ad esempio, l'inerenza non è più concepita come una necessaria correlazione di un costo con il reddito prodotto, che necessita di ritrovare uno specifico collegamento del costo con un reddito tassato (così, ancora, Cass. 11 agosto 1995 n. 8818). L'orientamento più recente, di contro, interpreta l'inerenza come correlazione del costo con l'attività, quindi in termini qualitativi e di compatibilità, coerenza e correlazione, non già con i ricavi in sé, ma con l'attività imprenditoriale svolta (Cass. 6 luglio 2022 n. 21362). In questo modo, un costo diviene inerente anche se è frutto di una libera scelta dell'imprenditore, che voglia attuare una determinata strategia economica al posto di altre. Il costo diviene inerente, sia quando è necessario al mantenimento dell'attività (ad es. costi per acquisto dei beni-merce), sia quando, pur non necessario né necessitato, risulti meramente utile ed indirettamente collegato all'oggetto dell'impresa. Quando, in altri termini, risulta comunque connesso al progetto imprenditoriale concepito in senso ampio. Il carattere dell'utilità/necessarietà o dell'utilità diretta/indiretta di un costo va così ricercato nella natura e nella ragione giustificatrice del costo stesso, alla stregua del progetto imprenditoriale, concepito in un'accezione ampia, anche prospettica e meramente potenziale.
Analoga evoluzione si è avuta sul tema della congruità dei costi, ossia sul tema della proporzionalità dei costi con l'attività di impresa. Rispetto alle originarie impostazioni, che riconducevano anche la congruità al tema dell'inerenza, sulla considerazione che un costo eccessivo doveva intendersi, per definizione, non giustificato né coerente con un progetto imprenditoriale, la più recente giurisprudenza ha cambiato impostazione.
A fronte delle più risalente soluzioni, per cui andava esclusa «la deducibilità di quei costi sproporzionati o eccessivi, in quanto non inerenti; un costo, pertanto, non è deducibile se non è funzionale all'attività della impresa, ed è inerente nella misura in cui può dirsi congruo» (Cass. 30 maggio 2018 n. 13596), la giurisprudenza più recente ha idealmente scollegato la congruità dall'inerenza. È pervenuta per questa via ad affermare che «in tema di detrazione [e deduzione] di costi, l'inerenza deve essere valutata secondo un giudizio di carattere qualitativo, e non quantitativo, correlato all'attività di impresa, con la conseguenza che […] la stessa non può essere esclusa solo in virtù di un giudizio sulla congruità del costo che non condiziona né esclude il diritto alla detrazione» (Cass. 8 giugno 2021 n. 15932). In questo modo, l'inerenza non comprende più anche la congruità e questo per l'assorbente ragione che il giudizio sull'inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo (Cass. 9 giugno 2021 n. 16003). La congruità finisce così relegata a mero indice, solo sintomatico di una eventuale patologia, che può essere, ma non solo, l'assenza di inerenza, una diversa patologia che, però, deve essere adeguatamente argomentata e provata (Cass. 7 aprile 2022 n. 11324).
Infine, la Cassazione ha emancipato l'inerenza dall'art. 109 TUIR, nel senso che oggi l'orientamento prevalente è nel senso di ritenere l'inerenza un principio immanente del reddito da attività, non più confinato alla regola contenuta all'art. 109 c. 5 TUIR (Cass. 11 gennaio 2018 n. 450). La regola di cui al c. 5 dell'art. 109 TUIR, infatti, riguarda soltanto il diverso aspetto legato alla riferibilità dei componenti negativi ai proventi imponibili, esclusi ed esenti.
Conclusioni
Come si è cercato di evidenziare, sul tema dell'inerenza, la giurisprudenza ha indubbiamente operato un'evoluzione importante. Ebbene, la sentenza in esame, pur mostrando di essere ben consapevole di tutta la descritta evoluzione, in concreto non sembra darne un coerente svolgimento.
A ben vedere, per disconoscere il costo la Corte avrebbe dovuto verificare se fosse stato provato o meno, solamente, un concreto interesse per la contribuente al sostenimento di un costo maggiore rispetto a quello convenuto (ad esempio, per fidelizzare il fornitore). Sicuramente non sembra invece essere adeguata ad argomentare la soluzione resa l'affermazione per cui l'indeducibilità va fatta discendere dalla «già descritta carenza di correlazione concreta con le prestazioni ed attività cui la spesa dovrebbe imputarsi». In questo modo, infatti, si fa strada l'impressione che la Corte abbia voluto far rientrare dalla finestra taluni percorsi argomentativi che erano stati fatti uscire dalla porta, come la congruità e la correlazione diretta costi-ricavi.
Fonte: Cass. 7 ottobre 2022 n. 29342
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