mercoledì 12/10/2022 • 06:00
La Cassazione smentisce l'Agenzia delle Entrate che per decenni aveva ingiustamente negato la spettanza del credito per le imposte pagate su dividendi provenienti da Stati con cui l'Italia ha una convenzione contro le doppie imposizioni. Si aprirà quindi una calda stagione di istanze di rimborso.
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La normativa domestica
La Cassazione con la sentenza 25698 del 1° settembre 2022 riguarda l'interpretazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni e il suo rapporto con la norma domestica. Le convenzioni dovrebbero evidentemente superare le norme domestiche, se più favorevoli, anche in forza dell'art. 169 TUIR. Tuttavia, l'AE ha sempre opposto un netto rifiuto all'applicazione delle convenzioni con riferimento al credito per le imposte estere subite sui dividendi. La Cassazione, con la prima pronuncia sull'argomento, fa finalmente breccia nella granitica posizione dell'AE e da giustamente ragione al contribuente, fornendo così un precedente importantissimo per la presentazione di (numerose) istanze di rimborso.
L'art. 165 TUIR riconosce il diritto di detrarre dall'imposta dovuta in Italia le imposte pagate all'estero a titolo definitivo: il c.d. credito per le imposte estere (ovvero foreign tax credit). Il riconoscimento del credito è sottoposto ad una serie di complesse limitazioni e condizioni, ma è indipendente dalla circostanza che le imposte siano, o meno, state pagate in uno Stato con cui l'Italia ha sottoscritto una convenzione contro le doppie imposizioni.
In altri termini, l'art. 165 TUIR ha una portata generale con riferimento alle imposte sui redditi e trova applicazione a favore di tutti i soggetti passivi, persone fisiche, enti, soggetti passivi IRES, ecc. Le disposizioni previste dai dieci commi dell'165 TUIR sono state esaminate a tutto tondo per la prima volta solo con la Circ. AE 5 marzo 2015 n. 9.
I principi che fondano il foreign tax credit sono posti dal c. 1 dell'art. 165 che prevede: “Se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all'estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall'imposta netta dovuta fino alla concorrenza della quota d'imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all'estero ed il reddito complessivo al netto delle perdite di precedenti periodi d'imposta ammesse in diminuzione.”
Per quanto qui interessa il punto focale è dato dall'espressione che condiziona la spettanza del credito alla circostanza che i redditi esteri concorrano alla “formazione del reddito complessivo”.
Da sempre l'AE ha interpretato tale espressione affermando che “Per beneficiare del credito d'imposta previsto dall'articolo 165 del TUIR è necessario che i redditi prodotti all'estero concorrano alla formazione del reddito complessivo del soggetto residente. L'istituto non è quindi applicabile in presenza di redditi assoggettati a ritenuta a titolo di imposta, a imposta sostitutiva o a imposizione sostitutiva operata dallo stesso contribuente in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi ai sensi dell'articolo 18 del TUIR.” (così par. 1.2 Circ. AE 9/2015).
Per quanto riguarda i dividendi di fonte estera, guardando al caso delle persone fisiche, ad oggi, i dividendi non concorrono mai alla formazione del reddito complessivo IRPEF. Ciò da decenni per quanto riguarda i dividendi pagati su partecipazioni non qualificate e solo dal 1° gennaio 2018 per i dividendi percepiti su partecipazioni qualificate.
Infatti, come noto i dividendi, se percepiti direttamente, sono soggetti ad imposizione sostitutiva del 26% applicata in dichiarazione (Quadro RM) ex art. 18 TUIR; ovvero alla ritenuta alla fonte a titolo d'imposta con aliquota del 26% applicata dagli intermediari ai sensi dell'art. 27 c.4, c.4-bis e c 5 DPR 600/1973.
Il caso oggetto della sentenza riguarda dividendi da partecipazione non qualificata (in una partnership USA) e anche la Circ. AE n. 9/E del 2015 si esprimeva sulle partecipazioni non qualificate anteriormente alla modifica prevista dalla Legge di Bilancio 2018. Tuttavia, i medesimi principi sono ora applicabili ai dividendi su partecipazioni qualificate, che dal 2018 sono sempre soggette al 26%, in quanto l'art. 18, c. 1, TUIR esclude l'opzione per la tassazione progressiva IRPEF.
In conclusione, non vi è alcun dubbio che per le persone fisiche (non esercenti impresa) la norma interna riconosce il credito per le imposte estere solo a condizione che il reddito estero confluisca nell'imponibile IRPEF soggetto alle ordinarie aliquote progressive (e addizionali).
Convenzioni contro le doppie imposizioni
Come è noto il Modello di Convenzione dell'OCSE (all'art. 23) impone agli Stati contraenti di prevedere un meccanismo per l'eliminazione (totale o parziale) della doppia imposizione (con il metodo della esenzione o parziale esenzione o con il metodo del credito d'imposta).
L'Italia ha sempre applicato il metodo del credito d'imposta, in linea con quanto disposto dalla norma interna (art. 165 TUIR) e sostanzialmente in linea con quanto disposto dall'OCSE. Tuttavia, per tenere conto della presenza di imposizioni sostitutive nell'ordinamento interno, l'Italia ha inserito in tutti i suoi trattati una limitazione alla utilizzabilità del foreign tax credit.
Si consideri che in epoca più risalente l'imposizione sostitutiva si assestava sul 12,5%. Non stupisce quindi che l'Italia ritenesse che a fronte di una “limitata” imposizione in Italia fosse ragionevole escludere il riconoscimento di un credito per le imposte estere (che sarebbe andata ad abbattere il già “esiguo” prelievo erariale.
Tale limitazione per molti anni aveva il seguente tenore: “Tuttavia, nessuna deduzione sarà accordata ove l'elemento di reddito sia assoggettato in Italia ad imposizione mediante ritenuta a titolo di imposta su richiesta del beneficiario di detto reddito in base alla legislazione italiana”. Questo ad esempio il testo incluso nell'art. 23 par. 3 della convenzione con gli USA esaminata dalla Cassazione 25698/2022.
In altri termini il testo della convenzione permette all'Italia di escludere il foreign tax credit, ma solo nel caso in cui l'imposizione sostitutiva sia stata applicata per scelta / opzione del contribuente.
Il testo del trattato (che attribuisce un ruolo dirimente alla facoltà di opzione del contribuente), non è una svista, ma è il residuo storico di anni in cui i contribuenti, in base alle norme domestiche italiane, avevano davvero la possibilità di scegliere se:
Invece, per i dividendi su partecipazioni non qualificate l'opzione per la tassazione progressiva è venuta meno da molti anni. Dal 1° gennaio 2018 l'opzione è stata esclusa anche per le partecipazioni qualificate. Dall'accertamento che la possibilità di opzione non esiste più scelta, discende che il testo letterale del trattato con gli USA non permetterebbe all'Italia di disconoscere il foreign tax credit per le imposte prelevate negli USA.
Questa la materia del contendere esaminata dalla Cass. 25698/2022. Il testo del trattato deve essere interpretato letteralmente oppure si deve duplicare la disposizione dell'art. 165 che esclude il credito per i redditi soggetti ad imposizione sostitutiva?
Le nuove convenzioni stipulate dall'Italia
Il caso della convenzione con gli USA non è una eccezione, anzi è la regola. Delle oltre cento convenzioni sottoscritte dall'Italia nel corso di mezzo secolo, solamente una decina, tra quelle più recenti, prevedono un testo diverso.
Infatti, solo alcune convenzioni (o protocolli modificativi) negano il foreign tax credit nei casi in cui l'imposizione sostitutiva sia applicata “anche su richiesta del contribuente” (ad es. Arabia saudita, Malta, Cipro, Hong Kong e Singapore); ovvero “su richiesta o meno del contribuente” (ad es. Cile Giamaica e Colombia). Con queste espressioni l'Italia si assicura l'esclusione del foreign tax credit i tutti i casi di imposizione sostitutiva.
In altri termini nel negoziare i nuovi trattati l'Amministrazione si è trovata di fronte ad un bivio: (i) perseverare ancora ed ancora nell'introdurre nella convenzione un testo non più attuale; ovvero (ii) proporre un nuovo testo e correre il rischio di “sbugiardare” i vecchi trattati.
La sentenza
La Cassazione ha esattamente colto quest'ultimo aspetto e cioè ha esaminato i testi delle convenzioni più recenti, che non si basano più sull'opzione del contribuente, e ha quindi affermato che la convenzione con gli USA dove essere interpretata in senso letterale. Visto che per i dividendi pagati su partecipazioni qualificate il contribuente italiano è obbligato a subire una imposizione sostitutiva (senza possibilità di optare per fare confluire il reddito IRPEF), l'Italia deve riconoscere il foreign tax credit.
La Cassazione sancisce il seguente principio di diritto: “per i redditi di capitale di fonte estera, direttamente percepiti dal contribuente, persona fisica, titolare di una partecipazione non qualificata in una partnership di diritto internazionale (nel caso, statunitense), qualora l'assoggettamento a imposizione mediante ritenuta a titolo d'imposta (…) avvenga non «su richiesta del beneficiario del reddito» ma obbligatoriamente, non potendo il contribuente chiedere l'imposizione ordinaria, l'imposta sul reddito pagata in un Paese estero (nel caso, Stati Uniti d'America) si deve considerare detraibile. Ciò in quanto, l'interpretazione conforme della locuzione «anche su richiesta del contribuente», che figura nel testo di vari accordi internazionali (tra cui nel testo della Convenzione Italia – Stati Uniti di America), conferma che quando l'Italia ha inteso negare il credito d'imposta – non solo nei casi in cui l'assoggettamento dell'elemento di reddito a imposta sostitutiva o a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta avvenga su richiesta del contribuente, ma anche nei casi in cui esso sia obbligatorio in base alla legge italiana – lo ha espressamente previsto”.
Nella sua chiarezza e incontrovertibilità, il principio di diritto affermato dalla Cassazione ha una portata dirompente. Infatti, se è vero che sino a ieri le critiche formulate dalla migliore dottrina non erano riuscite a intaccare la diga eretta dall'AE per negare la detrazione delle imposte estere; da domani, in presenza di una convenzione il credito d'imposta non “dovrebbe” essere più negato,
In conclusione, con riferimento alla stragrande maggioranza delle convenzioni stipulate dall'Italia, il credito per le imposte spetta su dividendi su partecipazioni non qualificate e dal 1° gennaio 2018 anche sui dividendi da partecipazioni qualificate.
Istanze di Rimborso
Tuttavia, anche dopo questa favorevole decisione, i contribuenti si troveranno solo a “metà del guado”, perché per ottenere il riconoscimento del proprio diritto debbono affrontare una rilevante serie di problemi:
Tuttavia, gli intermediari finanziari che hanno in gestione attivi esteri di numerosi clienti, potrebbero valutare la possibilità/legittimità di presentare essi stessi delle istanze di rimborso cumulative per le posizioni aggregate dei loro clienti. Ciò assicurerebbe i benefici convenzionali anche a quei clienti che singolarmente hanno subito all'estero imposte di importo modesto.
Fonte: Cass. 1° settembre 2022 n. 25698
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