lunedì 10/10/2022 • 06:00
La Corte di Cassazione respinge il ricorso di una dipendente che lamentava le vessazioni subite dal capo ufficio. Tuttavia, esaminando la situazione, la Corte concorda che si trattò di semplice conflittualità interpersonale, esclusa dal perimetro del risarcimento.
redazione Memento
Stress eccessivo in ufficio? Il lavoratore non sempre ha diritto ad essere risarcito. Lo afferma la Corte di Cassazione, con un'ordinanza del 6 ottobre con la quale ha respinto il ricorso di una dipendente di uno Comune. La donna lamentava la difficile situazione patita in ufficio, per colpa del capo. La donna era stata anche spostata da un ufficio all'altro: prima i servizi finanziari, poi quelli sociali ed infine quelli cimiteriali. Di fatto, un demansionamento. La dipendente aveva fatto ricorso evidenziando la forte componente “stressogena” sul luogo di lavoro, appellandosi all'art. 2087 c.c. ed evidenziando l'obbligo per il datore ad assicurare un ambiente idoneo allo svolgimento delle prestazioni dei dipendenti. Tuttavia, secondo i giudici di legittimità, nel caso di specie si sarebbero verificate soltanto delle divergenze interpersonali, quindi non si poteva delineare una situazione di nocività tale da avanzare pretese risarcitorie. Nello specifico: “quello che con certezza risulta emergere dagli atti è una situazione di accesa conflittualità tra le parti, non trasmodata da una condotta vessatoria da parte delle diverse amministrazioni comunali succedutesi nel tempo”. L'esistenza di un disagio eccessivo sul luogo di lavoro, cui faceva riferimento la dipendente nel suo ricorso, non è parso dunque decisivo ai giudici di legittimità i quali, sulla scia della Corte territoriale (che, con dovizia di dettagli ed ampia analisi dell'istruttoria, aveva escluso l'intento lesivo nei confronti della donna), hanno convenuto che la vicenda potesse essere riassunta in una più modesta situazione di conflittualità interpersonale. Il giudizio di Cassazione è stato quindi quello di respingere il gravame della ricorrente, in quanto la vicenda si colloca al di fuori del perimetro del cosiddetto “straining” (situazione di stress che la vittima può subire in ambiente lavorativo in maniera forzata). Fonte: Cass. 6 ottobre 2022 n. 29059
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Marco Sartori
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