L'Ispettorato Nazionale del Lavoro si è conformato al nuovo orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità in ordine alla decorrenza del termine quinquennale di prescrizione dei crediti da lavoro, al fine di garantire al personale ispettivo una corretta adozione del provvedimento di diffida accertativa.
L'orientamento giurisprudenziale passato
Con la recente sentenza n. 26246 del 6 settembre 2022, la Corte di Cassazione, ripercorrendo l'evoluzione normativa degli ultimi anni (in particolare, L. 92/2012 e D.Lgs. 23/2015), ha ritenuto di superare il precedente orientamento giurisprudenziale secondo cui, per poter individuare il dies a quo della decorrenza del termine di prescrizione, fosse necessaria ed imprescindibile una valutazione, caso per caso, volta ad accertare tanto la sussistenza di una effettiva tutela reale a favore del lavoratore, quanto di un concreto timore del licenziamento strettamente connesso alla stabilità del rapporto di lavoro. Ne derivava che, avendo la diffida accertativa ad oggetto crediti certi, liquidi ed esigibili, come tali non fondati su elementi suscettibili di interpretazione, il personale ispettivo avrebbe dovuto considerare a tal fine solo i crediti da lavoro il cui termine quinquennale di prescrizione, decorrente dal primo giorno utile per far valere il diritto di credito anche se in costanza di rapporto di lavoro, non fosse ancora maturato, tenendo conto altresì degli eventuali atti interruttivi intercorsi.
Tale orientamento, secondo la Suprema Corte, è da considerarsi ormai inadeguato, sia perché fonte di incertezza del sistema (affidando ex post all'Autorità giudiziaria, in costanza di giudizio, il compito di ravvisare la stabilità del rapporto), sia in quanto incapace di assorbire, nello spirito di una interpretazione evolutiva del diritto, il cambiamento operato dalle riforme sul sistema della L. 300/1970.
La disciplina più recente e il nuovo orientamento giurisprudenziale
Come noto, le novità introdotte dalla L. 92/2012 e dal D.Lgs. 23/2015 hanno comportato, per le ipotesi di licenziamento illegittimo, il passaggio da un'automatica applicazione della tutela reintegratoria e risarcitoria, ad un'applicazione selettiva delle tutele e delle sanzioni applicabili. La tutela reintegratoria, per effetto degli artt. 3 e 4 D.Lgs. n. 23/2015, ha acquisito ormai un carattere recessivo e residuale tale da determinare, inevitabilmente, un timore del dipendente nei confronti del datore di lavoro per la sorte del rapporto ove egli intenda far valere un proprio credito nel corso dello stesso. Da qui, il nuovo orientamento della Corte di Cassazione secondo cui “il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della L. n. 92/2012 e del D.Lgs. n. 23/2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità. Sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della L. n. 92/2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro”.
Fa eccezione a tale principio di diritto il pubblico impiego, nel cui ambito il termine di prescrizione quinquennale per i crediti di lavoro inizierà a decorrere in costanza di rapporto dal momento in cui il diritto stesso può esser fatto valere.
Ripercussioni sulla diffida accertativa
Alla luce del principio di diritto enucleato dalla Corte di Cassazione, l'INL dovrà considerare oggetto di diffida accertativa i crediti (certi, liquidi ed esigibili) di cui il lavoratore dipendente è titolare tenuto conto che il dies a quo del termine di prescrizione quinquennale inizierà a decorrere solo dalla cessazione del rapporto di lavoro (le nuove indicazioni superano in parte quelle rese con la Nota INL 23 gennaio 2020 n. 595).
Fonte: Nota INL 30 settembre 2022 n. 1959