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lunedì 03/10/2022 • 06:00

Lavoro Licenziamento per giusta causa

Legittima la registrazione di conversazioni tra colleghi sul lavoro

La Cassazione, con la sentenza 29 settembre 2022, n. 28398, ha ritenuto illegittimo il licenziamento irrogato alla dipendente che aveva registrato conversazioni sul posto di lavoro all’insaputa dei colleghi. Si tratterebbe dell’esercizio (legittimo) di un diritto incomprimibile alla difesa.

di Federico Manfredi - Avvocato - Head of practice Diritto del Lavoro – Carnelutti Law Firm

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  • Tempo di lettura 6 min.
  • Ascolta la news 5:03

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Si può ritenere o meno che l'uso di muovere dai principi costituzionali nella trattazione degli istituti di legge sia un espediente retorico. Rimane, tuttavia, ferma la presenza nell'Ordinamento di presidi diretti della Carta costituzionale caratterizzati da norme non programmatiche, ma cc.dd. direttamente dispositive, ossia autonomamente idonee ad attribuire situazioni giuridiche soggettive ai consociati.

È questo il caso del diritto alla difesa, previsto all'art. 24, c. 1 e 2, Cost., laddove viene previsto che “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”.

Il dispositivo di cui all' art. 24 Cost. non è da ritenersi circoscritto alla sola sede processuale, ma si estende per recetta giurisprudenza di merito e di legittimità ad ogni fatto ed atto teso ad acquisire prove anche precostituite utilizzabili in giudizio, essendo coperta dall'efficacia scriminante dell'art. 51 c.p.., di portata generale nell'ordinamento e non già limitata al mero ambito penalistico (Cass. 29 dicembre 2014 n. 27424).

La portata del dettato costituzionale è senz'altro assai vasta. Tuttavia, con specifico riguardo al tema che ci impegna, il diritto di difesa del dipendente deve essere bilanciato con la libertà della persona, sotto il profilo della protezione che l'Ordinamento assicura alla sfera privata e alla riservatezza delle comunicazioni (Cass. 2 novembre 2021 n. 31204). Il punto di equilibrio tra i due diritti è da rinvenirsi nell'art. 24, lett. f, D.Lgs. 196/ 2003 (Cod. Prvacy), il quale prevede la legittimità delle registrazioni effettuate all'insaputa dell'interlocutore e di utilizzarle nell'ambito di un procedimento giudiziario, solo nel caso in cui vi sia necessità di tutelare o far valere un diritto e i dati raccolti siano trattati esclusivamente per finalità di difesa e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento.

In tale contesto normativo si inserisce la sentenza in commento della Suprema Corte 29 settembre 2022 n. 28398, la quale – nel giudicare un'impugnazione di licenziamento per giusta causa – ha trattato dei limiti di legittimità dell'acquisizione delle registrazioni di conversazioni tra colleghi sul luogo di lavoro.

Il caso giunto al vaglio della Cassazione

La vicenda in esame trae origine dal licenziamento per giusta causa intimato ad un'impiegata che – per quanto qui di ragione – aveva registrato le conversazioni tra lei stessa e i suoi colleghi presenti, all'insaputa dei conversanti, integrante a detta della società una grave violazione del diritto alla riservatezza del proprio personale, tanto da giustificare il licenziamento in tronco.

Da ultimo la Corte d'Appello di Salerno aveva rilevato come gli addebiti contestati alla dipendente fossero privi di riscontro e, comunque, relativi a condotte di inefficienza o negligenza, conosciute e tollerate da parte datoriale ed anzi conformi alla prassi aziendale praticata. Considerando tali addebiti non sufficienti a giustificare l'irrogazione della sanzione espulsiva, essendo al più sanzionabili con una misura conservativa, era stata confermata la sentenza di primo grado.

Proponeva ricorso per Cassazione la società datoriale, mentre la dipendente proponeva ricorso incidentale.

Il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte

La sentenza in commento – pur nel cassare la gravata sentenza – si accosta all'orientamento maggioritario assunto dalla Suprema Corte negli ultimi anni ritenendo che la registrazione di una conversazione tra presenti possa costituire fonte di prova entro i limiti e le condizioni specificamente individuate dalla legge (Cass. 10 maggio 2018 n. 11322).

Più in particolare, l'art. 24 Cod. Privacy permette di prescindere dal consenso dell'interessato quando il trattamento dei dati, pur non riguardanti una parte del giudizio in cui la produzione venga eseguita, sia necessario per far valere o difendere un diritto, a condizione che essi siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento (Cass. 20 settembre 2013 n. 21612).

Conseguentemente, la Suprema Corte ha ritenuto che “l'utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente e i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, in ragione dell'imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto dall'altra e pertanto di contemperare la norma sul consenso al trattamento dei dati con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio” (Cass. 29 settembre 2022 n. 28398).

È pertanto da considerarsi legittima e, per l'effetto, inidonea all'integrazione di un illecito disciplinare di qualsivoglia gravità, la condotta del lavoratore che abbia effettuato tali registrazioni per tutelare la propria posizione all'interno dell'azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la stessa, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto (Cass. 8 agosto 2016 n. 16629). Valutazione che nel caso affrontato dalla pronuncia di merito non era stata effettuata dalla Corte Territoriale, portando alla cassazione della sentenza.

Eppure, occorre soggiungere che perché possa ritenersi legittimo l'esercizio del diritto di difesa il giudicante dovrà effettuare una valutazione delle circostanze del caso concreto, non potendo considerarsi sufficiente, da parte del lavoratore, la mera affermazione per la quale le registrazioni occulte effettuate all'insaputa dei colleghi sarebbero finalizzate all'esercizio del suo diritto di difesa. Occorre al contrario che la registrazione audio sia strettamente strumentale alla tutela giurisdizionale di un diritto da parte di chi effettua il trattamento, in ragione “dell'imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto dall'altra e pertanto di contemperare la norma sul consenso al trattamento dei dati con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio” (Cass. 16 maggio 2018 n. 11999) contemplata dall'art. 167, primo comma 1 Cod. Privacy, restando violata la riservatezza se il lavoratore dovesse diffondere la conversazione per scopi diversi dalla tutela di un proprio diritto.

Al di fuori di tali limiti – ferma restando la possibile rilevanza penale delle condotte – l'assunzione di registrazioni fonografiche all'insaputa dei conversanti integra una lesione dei requisiti minimi relativi al dovere di fedeltà di cui all'art. 2105 cod. civ. e, dunque, di una condotta idonea a ledere irreparabilmente il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore.

Fonte: Cass. 29 settembre 2022 n. 28398

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